Nel XIX secolo, nonostante le speranze generate dalla Rivoluzione francese, la disuguaglianza sociale in Europa poggiava ancora su due solidi pilastri: una rendita – in genere fondiaria o derivante da titoli del debito pubblico – e un buon matrimonio. Godere di una rendita o ereditare un patrimonio (magari entrambe le cose) spesso era determinante per far parte di quella fetta di società – circa l'1% del totale – che non lavorava e viveva bene, quella descritta nei libri di Jane Austen o di Balzac.
Poi, ad un certo punto, a metà circa del XX secolo, le fortune ereditate sembrano scomparire dal "radar" degli economisti. Il mito è diventato quello americano, anche in Europa: fa perno sulla meritocrazia, sul farsi strada con le proprie forze e in virtù di una buona professione. L'idea della rendita rimanda ad una società ingessata, chiusa dentro rigide gabbie di classe, dominata da una borghesia parassitaria e da ciò che resta di un'aristocrazia ormai decadente. Tutto il contrario degli USA, dove i nuovi campioni del capitalismo sono self-made men, gente partita da zero e che si è arricchita in virtù del suo ingegno, della sua audacia, del suo coraggio. O della sua "fame".
E oggi? Oggi in verità l'importanza delle origini e dei patrimoni (specie nella forma "liquida" della ricchezza finanziaria) sembra essere tornata in auge, se mai era davvero tramontata. Lo prova ad esempio il criterio rigorosamente censitario per l'accesso alle migliori università statunitensi: a frequentare Harvard e altri atenei di questo tipo sono quasi esclusivamente i figli del 2% della popolazione più ricco.
Tutto questo lo scrive l'economista francese Thomas Piketty nel suo Il capitale del XXI secolo, pubblicato nel 2013 e già tradotto in oltre 30 paesi del mondo (in Italia da Bombiani, in USA a cura di Harvard University Press). Ma a portarlo sul palcoscenico è in questi giorni l'attore Marco Baliani, in un viaggio appassionante fra storiografia, scienza economica e… letteratura.
Oggi, dunque, non parliamo solo di libri ma anche di uno spettacolo, anzi, per la precisione un reading, visto a Trento la scorsa settimana in occasione del Festival dell'Economia, una delle più importanti manifestazioni europee sul tema, che anche quest'anno ha richiamato all'ombra delle Dolomiti studiosi del calibro di Stiglitz, Atkinson e, appunto, Piketty, oltre a politici come il premier italiano Matteo Renzi e il suo omologo francese Manuel Valls.

Una scena di Ragione e sentimento (Sense and Sensibility), film del 1995 diretto da Ang Lee, tratto dall’omonimo romanzo di Jane Austen
Attraverso più di due secoli di storia, seguendo le intuizioni di romanzieri che già agli inizi del XIX secolo mettevano in luce splendori e miserie di una società diseguale per definizione, il recital di Baliani, con la regia di Claudio Longhi, e le musiche della fisarmonicista Olimpia Greco, incrocia i dati economici estrapolati dalla monumentale opera di Piketty con i personaggi di Jane Austen e di Honoré de Balzac. Il ritratto è quello di una società il cui ordine si basa sull'esclusione e la bella vita è per pochi: case e palazzi lussuosi, carrozze e cavalli, servitù, viaggi e così via sono resi possibili da una rendita che vale almeno 20-30 volte il reddito medio di un cittadino, ma può arrivare fino a 500 volte quello di un operaio o di un contadino. Poi ci sono i borghesi di Balzac, che oggi chiameremmo "affluenti", che si lanciano in operazioni spericolate per incrementare il proprio patrimonio e avvicinarsi quindi alla vera aristocrazia, o le giovani della Austen, la cui prima e principale preoccupazione è quella di un buon matrimonio.

Ritratto della scrittrice inglese Jane Austen
Nei romanzi di Jane Austen, forse la più attuale dei due autori oggi (specie per la popolarità arrivatale anche dal cinema), ci sono moltissime informazioni riguardanti le finanze dei personaggi, talvolta assai precise: una buona rendita viene indicata in 10-12.000 sterline annue, che tenendo conto del reddito medio di un operaio o di un contadino inglese dei primi dell'800, circa 20 sterline, e del costo della vita, valgono circa 4 milioni di euro attuali. Ma certo, se si punta ad uno scapolo piacente, ci si può accontentare di 3.000 sterline, e nei suoi libri ci sono famiglie "povere" che hanno iniziato la scalata sociale partendo da appena 500.
Il lavoro comunque non basta ad assicurare un tenore di vita elevato. Lo spiega bene uno dei personaggio della Commedia umana di Balzac, l'ex galeotto Vautrin, che dà al giovane Eugene de Rastignac, studente di legge a Parigi, una impareggiabile lezione di vita: anche esercitando la professione di avvocato, una delle più ambite, perché propedeutica alla carriera politica, non potrà mai e poi mai sperare di intascare quanto potrebbe se sposasse una ricca ereditiera. A quell'epoca – ci informano gli storici – la ricchezza ereditata rappresenta circa il 20% dell'intero reddito annuale in Francia.
I romanzi che hanno fornito materia per La fabbrica delle disuguaglianze, e per il saggio di Piketty, sono diversi, vanno da Papà Goriot a Ragione e sentimento a Mansfield Park. Marco Balliani dà voce magistralmente alle aspirazioni, alle paure e alle frustrazioni dei loro protagonisti, scegliendo i passaggi riguardanti la questione fondamentale del poter disporre di una rendita purchessia, ovvero di una ricchezza che non si consuma (la rendita per definizione non intacca il capitale) e che permette di vivere una vita conforme all'idea di decoro e agiatezza vigente nell'Inghilterra o nella Francia dell'800.

Un ritratto dello scrittore Honor├® de Balzac
È, in fondo, il sogno che coltivò lo stesso Balzac tutta la vita e che lo spinse persino ad imbarcarsi per la Sardegna alla ricerca di una speculazione mineraria rivelatasi poi una chimera. Mentre Austen, figlia di un curato, ebbe a soffrire essa stessa delle rigide barriere di classe della società inglese, dovendo rinunciare ad un matrimonio d'amore con Tom Lefroy perché la famiglia del promesso sposo la ritenne inadeguata socialmente. Va anche detto che i mondi di Austen e Balzac non sono perfettamente sovrapponibili: quello della prima è sostanzialmente il mondo dell'aristocrazia rurale, quello di Balzac è pieno di personaggi perfettamente "urbani" (imprenditori, giornalisti, artisti, medici), alcuni dei quali riescono in effetti a farsi strada con il proprio ingegno o la propria spregiudicatezza. Semmai la cosa che colpisce il lettore di oggi – ma nemmeno tanto – è che l'ascesa sociale, tolta la variabile matrimonio, riguardi quasi esclusivamente il sesso maschile.
Sia come sia, ad un certo punto le società "immobili" o restie al cambiamento fotografate in tanti romanzi dell'epoca sembrano destinate a scomparire: l'America, società meritocratica per eccellenza, può permettersi di guardare con malcelato disprezzo ad un'Europa dove le vecchie aristocrazie continuano a perpetuare i loro privilegi e le loro fortune.
Nel Secondo dopoguerra, dopo il periodo buio delle dittature e dei nazionalismi, nella stessa Europa le esigenze poste dalla ricostruzione, assieme allo sviluppo di sistemi di protezione sociale molto più robusti che in passato, aprono le porte ad una nuova stagione di dinamismo e benessere diffuso. È questa la seconda età d'oro del capitalismo, perlomeno di un certo tipo di capitalismo, caratterizzata da alti tassi di occupazione, salari parimenti adeguati, crescita esponenziale dei consumi, patto capitale-lavoro (in qualche paese che sperimenta la via socialdemocratica). Tutto questo entra in crisi, come noto, negli anni '70, con la crisi dei petroli, la stagflazione, la crescita del debito pubblico. La risposta è la Reaganomics, la scuola di Chicago, il neoliberismo. Gli Stati lentamente arretrano, arretra il peso della mano pubblica sull'economia. E parimenti, si allenta la tensione redistributrice che aveva caratterizzato i decenni precedenti. L'idea di fondo, sintetizzata dalla famosa curva di Kuznets, è che non importa se il divario fra ricchi e poveri torna ad allargarsi, il benessere dei primi ricadrà comunque, "a cascata", anche sui secondi, prima o poi, e il gap si colmerà.
Siamo arrivati al XXI secolo. Per Piketty, non c'è stato nessun apprezzabile "effetto cascata", nessun divario è stato colmato, anzi, la disuguaglianza, in America come in Europa, si accentua, anche per effetto della crisi economica internazionale. Se l'economia non cresce, infatti, i ricchi continuano comunque a stare bene (specie se i loro "risparmi" sono depositati alle Cayman), mentre il ceto medio si impoverisce e i poveri diventano ancora più poveri. Non solo: il peso della famiglia di origine, e del patrimonio che essa può trasmettere alle nuove generazioni, è tornato ad essere determinante. La base della ricchezza si è un po' allargata, questo sì, e l'1% di benestanti dell'Inghilterra di Jane Austen è diventato il 15% dell'America attuale (anche se la percentuale di veri super-ricchi, come abbiamo visto con l'esempio dell'iscrizione alle università più prestigiose, è molto più esigua). Tuttavia, il cammino verso una società più giusta e che assicuri a tutti le stesse opportunità è ancora lungo. Quali saranno gli scrittori che lo racconteranno? Staremo a vedere.
Thomas Piketty, Il capitale del XXI secolo, Bompiani, 2014.
In America: Capital in the Twenty-First Century, (traduzione dal francese di Arthur Goldhammer), Hardvard University Press, 2013.