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Luca Coscioni, ricordarlo serve a tutti gli uomini di buona volontà politica

Quindici anni fa moriva il "maratoneta" malato di Sla che ha combattuto per la libertà della ricerca e il diritto alla conoscenza

Valter VecelliobyValter Vecellio
Luca Coscioni, ricordarlo serve a tutti gli uomini di buona volontà politica

15 luglio 2004: Marco Pannella con Luca Coscioni (Foto Associazione Luca Coscioni)

Time: 5 mins read

Il 20 febbraio del 2006, quindici anni fa, un uomo di 38 anni muore, stroncato dalla Sclerosi Laterale Amiotrofica, malattia per la quale la scienza, ancora, non ha trovato cura; quando va bene, la si può rallentare, ma una volta che viene diagnosticata è come una lenta, inesorabile, atroce condanna a morte. Quell’uomo si chiama Luca Coscioni, e sa di essere condannato nel 1995.

L’anniversario poteva essere una buona occasione per una riflessione, un dibattito, un confronto sulle tematiche che Luca ha letteralmente incarnato: il fine vita, la concreta assistenza ai malati e alle loro famiglie, la libertà di ricerca, in Italia ancora ostacolata e boicottata, in omaggio a veti che hanno a che fare con un’ideologia che rasenta il fanatismo: non si deve, non si può, perché così è e deve essere. Come ai tempi di Giordano Bruno, come ai tempi di Galileo Galilei.

Non è accaduto. Le televisioni pubbliche e private hanno completamente ignorato l’anniversario; i giornali non sono stati da meno. Pochissimi gli articoli, gli interventi; e scritti dalla vedova di Luca, Maria Antonietta Farina Coscioni, da sempre a fianco del marito non solo sostegno umano, ma “complice” e sodale anche nell’impegno civile e politico; e da qualche raro amico dei due.

Perché questo silenzio, questa indifferenza colpevole? Purtroppo in Italia, oggi come sempre,  ci troviamo a fare i conti con una classe politica omertosa, paurosa, timorosa di violare tabù indiscutibili e intoccabili. Eppure in più occasioni il Paese ha dimostrato una maturità che la sua classe politica, quella di oggi e quella di ieri, evidentemente non sospetta.

Su queste tematiche – che tutti conosciamo e viviamo, in prima persona o perché riguardano parenti ed amici – il silenzio regna sovrano. Abbiamo dovuto attendere “casi” clamorosi come quelli di Luca Coscioni, di Piergiorgio Welby, di Marina Ripa di Meana, per parlare, per qualche giorno e sommariamente, di queste problematiche: come se fosse uno scandalo interrogarsi sulla vita e sulla morte, sulla dignità dell’una e dell’altra; della malattia; di come assicurare che la volontà del paziente sia rispettata, di come informarlo e “accompagnarlo” con scienza e coscienza, nelle sue decisioni finali ed estreme.

Sono questioni che si preferisce ignorare, perché scomode; qualcuno ha deciso che non siamo ancora maturi; o forse, più propriamente, è consapevole di questa nostra raggiunta maturità, e temendola impedisce confronto, dibattito, conoscenza.

Chiedo scusa per l’auto-citazione. Anni fa, mi sono impegnato in un progetto editoriale ambizioso e forse arrogante: provare a raccontare in un libro di 250 pagine quel pozzo di San Patrizio che è stata la vita di Marco Pannella. Nel raccogliere l’enorme mole di materiale, a un certo punto ho pensato alle persone che hanno inciso e portato un contributo fondamentale al Partito Radicale e allo stesso Pannella che del Partito è stato cervello, cuore, anima.

Davvero tante. Pur consapevole di sacrificare molte persone che avrebbero meritato di comparire in quella “galleria”, mi sono concentrato su otto personaggi, che incarnano altrettanti capitoli fondamentali della storia radicale e pannelliana: Ernesto Rossi, Mario Pannunzio, Altiero Spinelli, Elio Vittorini, Pier Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia, Enzo Tortora, Luca Coscioni.

Personaggi importanti, per Marco, per il Partito Radicale, e anche per chi radicale non è; importanti per quello che hanno fatto, per quello che sono stati, per quello che sono stati capaci di essere. Un tutt’uno, il loro “fare” e il loro “essere”.

Pannella quando quindici anni fa dà la notizia che Luca è andato “altrove”, tra i singhiozzi, sillaba: «Ci ha lasciato la forza di combattere». Poi aggiunge: «Luca era un leader perché era in prima linea. Era in prima linea ed è caduto. Direi che è stato ammazzato anche dalla qualità di questo paese, della sua oligarchia, che lo corrompe e lo distrugge».

Ricorda come Luca abbia patito assurde, incredibili, violente censure; spesso proprio da coloro che avrebbero dovuto sostenerlo: «Fu continuamente censurato anche a livello politico. Non gli fu permesso di intervenire nella vita politica italiana. In occasioni di elezioni regionali il centrosinistra rifiutò l’accordo con i radicali perché le liste dei radicali portavano il nome di Luca». Quel nome non doveva comparire. Continui “rifiuti” che avrebbero schiantato un bue, e invece sembravano renderlo più forte…

Luca realizza un’operazione politica straordinaria: incarna alla lettera e nel quotidiano concreto quella specie di slogan che ha segnato tanti di noi: “il personale è politico”. La sua malattia, la SLA, diventa un ineludibile fatto politico. Individua nel Partito Radicale lo strumento per la “sua” politica, e ammirevolmente lo utilizza. Fa la cosa giusta. Con lui e dopo di lui, i malati diventano una realtà non più occultabile. Persone vive, con diritti da tutelare e garantire; e le loro famiglie nuclei di “resistenza” al male da sostenere e aiutare. Con Luca le tematiche della libertà di ricerca scientifica diventano argomento da agenda politica. Gli scienziati e i ricercatori trovano voce e sostegno.

Il 20 gennaio del 1961 a Washington, nel suo discorso di insediamento quale trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America, John Fitzgerald Kennedy, a un certo punto, parla del bisogno di tutti gli americani di essere cittadini attivi; e pronuncia la famosa frase: «non chiedete che cosa l’America vuole fare per voi, ma che cosa insieme possiamo fare per la libertà dell’uomo».

Ecco: Luca non chiede al Partito Radicale o ad altri, di fare qualcosa per lui. Lui fa, utilizza lo “strumento” Partito Radicale, molto più di qualcosa, per la libertà di tutti noi.

Trasmette coraggio; trasmette un messaggio semplice e chiaro: che non ci si deve arrendere e lasciare andare. Pannella amava citare un passaggio della “Lettera ai Romani” di Paolo da Tarso. Quello in cui ci si riferisce all’incrollabile fede di Abramo, il padre di tutti i Profeti: “Egli ebbe fede sperando contro ogni altra speranza”: qui contra spem in spem”.

Luca è fonte di speranza perché lui stesso è stato speranza. Trasforma la sua malattia in iniziativa politica. Atto di accusa verso l’imperdonabile indifferenza di tanti, la colpevole inerzia di molti. In questo è radicalmente pannelliano, almeno quanto Pannella è radicalmente coscioniano. Entrambi combattono, e sono combattuti, ostacolati, negati nella loro identità.

Ci ha dato tanto, e forse neppure siamo del tutto consapevoli del debito che abbiamo contratto con lui.

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Valter Vecellio

Valter Vecellio

Nato a Tripoli di Libia, di cui ho vago ricordo e nessun rimpianto, da sempre ho voluto cercare storie e sono stato fortunato: da quarant'anni mi pagano per incontrare persone, ascoltarle, raccontare quello che vedo e imparo. Doppiamente fortunato: in Rai (sono vice-caporedattore Tg2) e sui giornali, ho sempre detto e scritto quello che volevo dire e scrivere. Di molte cose sono orgoglioso: l'amicizia con Leonardo Sciascia, l'esser radicale da quando avevo i calzoni corti e aver qualche merito nella conquista di molti diritti civili; di amare il cinema al punto da sorbirmi indigeribili "polpettoni"; delle mie collezioni di fumetti; di aver diretto il settimanale satirico Il Male e per questo esser finito in galera... Avrò scritto diecimila articoli, una decina di libri, un migliaio di servizi TV. Non ne rinnego nessuno e ancora non mi sono stancato. Ve l'ho detto: sono fortunato.

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