Clinton contro Trump, ultimo atto. A meno di un mese dalla resa dei conti nelle urne, i due candidati alla presidenza si preparano al terzo confronto televisivo di mercoledì sera all’Università di Las Vegas, moderato dall’anchorman di Fox News Chris Wallace. Il clima è bollente, soprattutto dopo gli ennesimi scandali, le innumerevoli polemiche e gli immancabili polveroni mediatici a cui ci ha abituato questa campagna elettorale.
Al centro della scena, come al solito, c’è lui: Donald J. Trump, il quale continua a collezionare pesanti accuse di molestie sessuali (a oggi il conto delle donne che lo denunciano è arrivato a 9) per i comportamenti predatori tenuti nei confronti dell’altro sesso nell’arco di trent’anni. Una delle ultime accusatrici del tycoon si chiama Kristin Anderson, e ha raccontato di essere stata letteralmente “palpata” in un night club nel periodo in cui cercava di avere successo come modella a New York negli anni ‘90.
In generale, gli episodi confessati dalle donne in questione ripetono un copione fisso, con un Trump appiccicoso e pronto ad allungare le mani o a baciare in qualsiasi occasione le ignare vittime, come lui stesso ha d’altronde confessato nella registrazione del 2005 “rubata” dal Washington Post che diede inizio a tutto. Di fronte a tali evidenze a poco serviranno le parole di Melania, scesa recentemente in campo per difendere a spada tratta il marito: tra palpeggiamenti e “mani morte” la corsa del candidato repubblicano alla Casa Bianca ha subito un durissimo colpo e nei sondaggi il milionario newyorkese è in caduta libera. A livello nazionale, la media delle ultime rilevazioni lo pone in svantaggio di 7 punti percentuali e la situazione negli stati in bilico è in pieno trend negativo, tanto che con i numeri di questi giorni se il magnate vincesse in contesti di solito cruciali come Ohio, Florida e Nevada perderebbe comunque le elezioni.

In sostanza The Donald non è riuscito ad allargare la propria base elettorale e di fronte a una sempre più probabile sconfitta a novembre mette le mani avanti, denunciando “elezioni truccate” e gridando in anticipo al complotto ordito dai media con la regia di Hillary Clinton. Non è ovviamente la prima volta che il tycoon avvelena il clima politico con le sue sparate. Tuttavia a partire dal secondo dibattito televisivo, quando ha promesso di nominare in caso di vittoria un procuratore speciale per perseguire “legalmente” l’avversaria, le sue affermazioni hanno varcato una soglia pericolosa, minando la credibilità delle istituzioni democratiche americane e creando un clima da “guerra civile”.
Nella storia recente nessuno dei candidati alla presidenza ha osato tanto, anche se non sono di certo mancate le occasioni. I due episodi più celebri furono quelli delle elezioni del 1960 tra Nixon e Kennedy e del 2000 tra Gore e Bush, in cui il risultato fu talmente vicino da alimentare il giustificato sospetto di brogli. In entrambi i casi, però, sia Nixon sia Gore evitarono di mettere in discussione il verdetto delle urne con il chiaro intento di salvaguardare l’unità nazionale. Al contrario l’atteggiamento di Trump, il quale non esita a fomentare gli istinti peggiori della propria base (forse per fidelizzarla in vista di una futura avventura nel campo dell’informazione politica televisiva) potrebbe avere conseguenze disastrose a lungo termine, minando la tradizionale coesione nazionale a stelle e strisce.
Se dunque da un lato The Donald continua a dare scandalo, dall’altro Hillary, insieme alla pubblicazione dei discorsi pronunciati a suo tempo di fronte a banche d’affari come Goldman Sachs, sta continuando a subire l’emorragia di mail hackerate a John Podesta, uno dei personaggi di spicco del proprio staff. Oscurata dai continui scandali del tycoon, in altri tempi una tale vagonata di indiscrezioni avrebbe condannato qualunque altro candidato a una sconfitta senza appello, distruggendone la credibilità di fronte agli elettori. Le indiscrezioni emerse gettano infatti una luce sgradevole sull’immagine della ex first lady, confermando i motivi della sua nota impopolarità. Difficile riassumere in poche righe la mole di informazioni e notizie: si va dalle sane preoccupazioni di Chelsea Clinton per i possibili conflitti di interessi della fondazione di famiglia alla strategia usata per portare dalla propria i sostenitori di Sanders (considerati alla stregua di “estremisti”), figlia di un calcolo opportunistico più che di una concreta virata a sinistra, passando infine per la frustrazione interna allo staff della Clinton di fronte al suo iniziale rifiuto di chiedere scusa per la vicenda dell’emailgate. Negli speeches tenuti a Wall Street Hillary sembra confermare l’immagine di “falco” in politica estera, pronta a una preoccupante escalation con la Russia di Putin sul fronte siriano. Convinzioni molto più simili a quelle di un neo conservatore che di un liberal. In politica economica, la sua filosofia è globalista e fortemente contraria a qualsiasi forma di protezionismo economico (una posizione sicuramente popolare tra i banchieri newyorkesi, un po’ meno tra gli elettori democratici corteggiati dalla ex firt lady).

In breve, viene confermato il ritratto nudo e crudo di Hillary che tutti immaginavano: quello di una centrista con grande esperienza e competenza politica, ma al tempo stesso con fortissimi legami al mondo della finanza e con una propensione spesso ingiustificata all’interventismo militare.
Non bastasse, a tormentare l’ex capo della diplomazia americana è la pubblicazione di una parte del rapporto FBI sulla vicenda dell’email, in cui si evince un forte contrasto tra il Dipartimento di Stato e l’agenzia investigativa rispetto alla classificazione di alcuni pezzi di corrispondenza. Ultimo strascico di una storia (in)finita.
Insomma se non fosse per la palese impreparazione e impresentabilità di Trump, in un ciclo elettorale in cui la base odia qualsiasi manifestazione dell’establishment l’elezione della Clinton sarebbe un miraggio.
A poche ore dall’ultimo faccia a faccia a Las Vegas, i due candidati faranno un “all in”, giocandosi il tutto per tutto e mettendo in risalto gli aspetti che rendono l’avversario impopolare, mentre il moderatore Chris Wallace avrà una miriade di temi sui quali chiedere spiegazioni. E dati i precedenti, prepariamoci al peggio.