La stagione del gelato è alle porte. I viaggi internazionali sono ancora limitati, ma i newyorkesi amanti dei dolci possono almeno fingere di essere in Italia mentre si concedono un delizioso cono nelle numerose gelaterie della città, divenute punti di riferimento dopo l’apertura del primo negozio nel 1770, per intuizione dell’imprenditore genovese Giovanni Bosio. Siamo tutti uguali davanti al gelato. È il cibo dell’estate, che però mangiamo anche d’inverno e gocciola tanto sulla maglietta di un bambino quanto sul completo sartoriale di un manager. Gli americani rivendicano, come racconta il New York Times , di aver inventato lo storico cono, presentato nella fiera mondiale di St. Louis del 1904.

Altri sostengono invece che sia stato registrato nel 1903 da Italo Marchioni, un immigrato italiano residente a New York. All’epoca, siccome mangiare era un atto legato a regole comportamentali, anche il gelato veniva servito in un piatto o in un bicchiere di vetro e consumato con un cucchiaino. Uno dei venditori presenti alla fiera di St.Louis trovò un sistema più funzionale per permettere ai visitatori di mangiare il gelato in modo pratico e lo arrotolò in una pasta densa. Molti espositori della fiera si tuffarono sull’idea, attribuendosi l’invenzione del primo cono. Ancora oggi non è possibile risalire alla verità, come sostiene la storica Anne Cooper Funderburg, autrice di un libro sul gelato in America.

Infatti anche Italo Marchioni, gelataio da lunghe generazioni immigrato a New York, continuò a rivendicare di aver registrato il suo cono un anno prima della fiera mondiale e il brevetto negli Stati Uniti per un macchinario destinato a produrli. La paternità del cono tutt’oggi non è mai stata attribuita, ma Marchioni, per colpa del covid, dovrebbe servire il suo gelato in coppette e bicchieri igenizzati, così come Ellen Sledge, proprietaria della gelateria Penny Lick a Hastings, sull’ Hudson, che per adeguarsi ai requisiti di sicurezza ha dovuto installare i divisori, eliminare i posti a sedere e limitare il numero di clienti nel negozio.

Nonostante il 2020 sia stato un anno pieno di dolore e perdite per la metropoli, si è consumato molto più gelato dell’anno precedente. Ellen racconta di aver triplicato le vendite e ogni volta che bussava alla porta di un cliente, si generava uno scambio di gratitudine reciproca che a oggi è rimasto. “Si ha sempre bisogno di un buon gelato” ci racconta. Quando le chiediamo cosa sia cambiato del suo mestiere, risponde “a essere onesta, un po’ tutto, non solo le quantità”. Le trasformazioni aziendali hanno rispecchiato i cambiamenti della società, come il passaggio alla vendita online, al metodo di pagamento senza contanti e alla consegna a domicilio.

Non è cambiata invece la modalità di produzione e i newyorkesi (nonostante esistano prodotti industriali di buon livello) sembrano continuare a preferire il gelato artigianale, per la qualità delle materie prime, ma soprattutto per i classici gusti italiani. Quelli della gelateria dove lavora Giulia Guarducci, a Soho, sono 18 e il preferito è proprio quello che prende il nome dell’attività, il Saint Ambroeus. “La ricetta – ci spiega – nasce dall’unione della crema, con aggiunta di scorza di limone, arancia e una spolverata di lampone”. Con il covid è rimasta invariata anche l’attività dei venditori ambulanti dei gelati, tanto amati dai bambini newyorkesi.

Non li ha fermati nemmeno la pandemia e i loro carretti hanno attraversato per mesi le strade deserte di Manhattan per fornire un senso di normalità come racconta il New York Times. Un privilegio che non hanno potuto sfruttare i bambini colpiti dalla strage influenzale del 1919, quando il gelato dei carretti ambulanti veniva servito in spessi bicchierini di vetro, leccati dai piccoli fino a pulirli interamente, per poi essere sciacquati velocemente in una bacinella di acqua e riutilizzati. La pratica venne sospesa perchè diventò una potentissima fonte di contagio durante le epidemie di colera e tubercolosi, ed è per questo che nella metà degli anni ’20 l’utilizzo dei contenitori monouso è diventato obbligatorio anche in tutta Europa. Da allora però la corsa al gelato non si è più fermata, ma imposto regole rigide come “Non assaggiare mai i coni degli altri” scritta da Lauwernce Ruts Hills, nel 1968, in un suo ironico articolo sul New Yorker. Venne titolato: “Come mangiare un cono gelato”. I suoi consigli reggono ancora oggi.