Il simposio, tenuto all’istituto Italo-Americano John D. Calandra e co-sponsorizzato dalla Società Dante Alighieri, dalla Fondazione Giorgio Ammendola e dall’Associazione Lucana Carlo Levi, prende il nome dalla collezione di saggi “Tra Accoglienza e Pregiudizio: Emigrazione e immigrazione nella storia dell’ultimo secolo: da Sacco e Vanzetti a Jerry Essan Masslo” (2018).
Apre il simposio il dr. Anthony Tamburri, Decano dell’Istituto Italo-Americano John D. Calandra del Queens College di New York. A moderare il simposio la dottoressa Donna Chirico, Professore e Decano della facoltà di Arte e Scienze.
Prima di cedere il podio ai presentatori, Tamburri nota che, tra il 1880 e il 1920, più di 20 milioni di Italiani hanno lasciato l’Italia. Tamburri introduce poi un’idea che viene ripresa più volte dai vari presentatori durante i loro discorsi, che è l’idea che la storia ci può aiutare a comprendere i fenomeni che stanno accadendo in Italia in questi giorni. Prima è successo con gli albanesi, poi con gli europei del sud, e poi con gli africani. Come scrisse Gian Antonio Stella, dobbiamo ricordarci “quando gli Albanesi eravamo noi.” Per questo è così importante parlare di entrambi questi fenomeni insieme, emigrazione ed immigrazione.
Il programma comprendeva due discorsi di apertura e sei presentazioni da parte degli autori del libro e altri studiosi dell’argomento. Presentazioni in inglese seguivano quelle in italiano e viceversa, creando un’atmosfera perfetta per parlare del tema centrale della serata.
Domenico Cerabona dalla Fondazione Giorgio Ammendola apre la serata ricordando che il libro inizia con la storia di Sacco e Vanzetti, l’immigrazione a Boston, e i migranti lavoratori. Osserva poi che le storie di queste persone sono così simili alle storie dei migranti che arrivano in Italia oggi. (Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti erano italiani naturalizzati americani, ambiguamente condannati per omicidio durante una rapina a Braintree, Massachusetts. Sette anni più tardi, vennero sottoposti alla pena di morte tramite sedia elettrica, ndr).
Luigi Morgante, Consigliere regionale in Puglia, nota che gli autori hanno rappresentato la storia facendo una fotografia di quello che è successo più di cento anni fa, ma quella realtà è cosi vicina a ciò che sta succedendo oggi. Ognuno di noi si sposta dal luogo in cui è nato per tre motivi: per affermazione personale e professionale, per fuggire dalla guerra, o, che “il motivo peggiore”, per fame e perché non c’è speranza nel proprio Paese. Chi se ne va, come Sacco e Vanzetti, per quest’ultimo motivo e con una nuova speranza, spesso si trova davanti al pregiudizio. Ad Ellis Island sono conservate foto che immortalano immigrati italiani; questi avevano gli stessi occhi che hanno oggi i migranti in Italia, lo stesso sguardo che chiedeva aiuto, che trasmetteva disperazione. Per questo è cosi importante leggere questo libro, soprattutto per qualche politico italiano: per capire quello che hanno passato i nostri antenati allora e cosa subiscono i migranti che vengono in Italia oggi, che è disperazione.
Segue Giovanni Cerchia, editore del libro, che spiega come quest’ultimo colga l’occasione di raccontare la storia di Sacco e Vanzetti per fare una ricognizione più ampia e ricordare il novantesimo di un altro fatto di sangue, quando Jerry Essan Masslo, un giovane sudafricano fuggito dall’apartheid, venne assassinato a Roma in corso di una rapina. Jerry fuggì dal suo paese perché era perseguitato, ma non ha potuto ottenere lo status di rifugiato politico in quanto fino al 1991 quello era garantito solo a coloro che fuggivano da uno stato dell’Est Europa. Queste due vicende, di Sacco e Vanzetti e di Jerry Essan Masslo, hanno cambiato la storia e l’identità degli Italiani, di tutti gli italiani. L’italia, pur essendo un paese di migrazione, fa tutt’oggi fatica ad accettare questa situazione. La morte di questo ragazzo sudafricano fu il primo evento che costrinse l’opinione pubblica italiana ad interrogarsi su come fosse cambiato il paese, che non è piu solo un paese di partenza ma anche un paese di arrivo. In questa cornice, la consapevolezza della storia puo’ aiutarci ad affrontare diverse situazioni nel futuro. È questo che cerca di far capire il libro. La migrazione non è stato un accidente, ma ha costituito l’identità degli italiani. Quando l’italia si unificò dopo il Risorgimento, non fu un vero risorgimento di un’entità che esisteva prima, ma una vera e propria nascita. La prima esperienza unitaria italiana è la prima guerra mondiale, ma ancora prima di questa l’unica esperienza unitaria è stata l’emigrazione. Inoltre, bisogna considerare che gli immigrati italiani all’estero hanno mandato denaro che ha permesso e tuttora permette all’Italia di svilupparsi, e questo ha cambiato il destino dell’Italia: ha trasformato il paese di partenza prima ancora che il paese d’arrivo.
Fred Gardaphé, direttore del dipartimento di studi italo-americani alla State University of New York, parla dell’idea di umorismo come arma di riduzione di massa usato per creare distanza tra la popolazione locale e la popolazione di immigrati, soprattutto italiani, negli Stati Uniti. Questo processo crea una distorsione di identità ed ha due tappe: la paura del diverso e la familiarizzazione con le sue peculiarità. Questo è un processo per cui tutte le minoranze devono passare prima di diventare integrate ed assimilate. Gli italiani venivano spesso travisati in cartoni satirici che li rappresentavano come ignoranti e pericolosi, il che portò al risultato che essi erano temuti ed evitati dalla società. L’America stessa era un paese giovane che faticava con la definizione di cosa vuol dire essere americano, stava ancora imparando ad accettare immigrati non solo dall’Italia, ma anche da altri paesi del sud ed est europa. Gli americani si sentivano superiori agli immigrati: come diceva Aristotele, le persone ridono alle sfortune degli altri perché provano piacere nel sentirsi superiori a loro. La comicità separava ciò che era americano da quello che non lo era. Gli italiani riuscirono ad integrarsi solo nel momento in cui furono capaci di presentare la loro versione di se stessi tramite l’umorismo.
Riprende il discorso precedente Augusto Ferraiuolo, visiting professor alla Boston University, che parla di etnicità come controllo sociale. Per esempio, poco prima della storia di Sacco e Vanzetti, ci fu il famoso sciopero di Lawrence. Nel gennaio 1912, nel Massachusetts fu passata una legge che ridusse le ore lavorative nelle fabbriche di Lawrence da 56 a 54. I padroni delle fabbriche, allora, risposero diminuendo i salari. Questo è il momento che fa entrare la cittadina in uno sciopero unico nel panorama del sindacato americano. Nel giro di poche ore, 25mila operai cominciano a protestare. Di questi, 7 mila sono italiani, 6mila tedeschi, 5mila canadesi di lingua francese e altrettanti di lingua inglese, 2,5mila polacchi, 2mila lituani, mille belgi, un migliaio di russi, ed altri. Lawrence, che era una cittadina di 80mila abitanti, aveva dunque il 75% della popolazione appartenente a gruppi etnici diversi. Questo sciopero venne notato dalla Industrial Workers of the World, che spedì a Lawrence due sindacalisti, Joseph Ettor ed Arturo Giovannitti, per organizzare questo sciopero. 17 giorni dopo, accadde un evento drammatico: una delle scioperanti, Anna LoPizzo, venne uccisa da un colpo vagante. Per l’omicidio di Anna vengono arrestate tre persone: il poliziotto che ha sparato il colpo, ma anche Joseph Ettor e Arturo Giovannitti, considerati responsabili per il clima di violenza. Lo sciopero andò avanti e durò fino alla fine di marzo, quando si concluse con un’apparente vittoria sindacale: gli scioperanti non vennero licenziati e ci fu un aumento salariale. In realtà la vera fine dello sciopero si considera la fine del processo ai due sindacalisti, che vennero liberati.
Questa storia ci porta a fare due considerazioni: innanzitutto, questa si può considerare una prova per quello che succedera’ a Sacco e Vanzetti. Secondo, finalmente si usci’ da quella separazione etnica che è in realtà una forma di controllo sociale, sostituita invece da una solidarieta’ di classe: si riescono a compattare etnie diverse, volontariamente separate per esercitare il controllo prima nominato. La diatriba tra etnico e politico puo’ essere inquadrata all’interno di un discorso socio-politico più grande, che è l’”American dilemma”: il dilemma tra l’imperativo democratico che costituisce gli Stati Uniti (“the American creed,” il “credo” americano), e l’”American need”, cioè il bisogno capitalistico di mantenere il costo della manodopera vicino a zero. Come si supera questa dialettica? In questo vengono in aiuto gli accademici del 1800 che parlano di razza ed etnicita’ e che giustificano in questo modo il controllo sociale. Che cosa significa essere bianchi? Quando si diventa bianchi? La risposta è che questo processo è un percorso sociale, politico e culturale. E qua c’è la grande l’invenzione del concetto del “People in between,” le persone in mezzo, che piano piano conquistano nel corso delle loro vite questo spazio all’interno del mainstream.
Introduce un tema completamente nuovo Joseph Sciorra, direttore dei programmi accademici e culturali all’Istituto Calandra, che parla del suo lavoro sulle registrazioni degli immigrati napoletani. Quando le registrazioni presero piede, le persone capirono che questo sarebbe stato un buon modo per arricchirsi. C’erano due tipi di registrazione ai tempi: le registrazioni di razza per afro-americani, e registrazioni etniche per migranti europei, latino-americani, e asiatici. Di tutti i gruppi etnici registrati negli Stati Uniti, gli italiani rappresentavano la maggioranza. Molte registrazioni italiane famose parlavano del caso di Sacco e Vanzetti e chiedevano clemenza.
Vito Antonio Leuzzi, direttore dell’Istituto Pugliese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea, parla degli effetti che ha avuto l’emigrazione non solo economica, ma anche politica agli inizi del ‘900. Queste due emigrazioni si fondono nel caso di Sacco (e Vanzetti). I fratelli Sacco avevano gia’ alle spalle una militanza politica, avevano aderito alle idee socialiste e portavano avanti le battaglie per i diritti fondamentali. Ma le manifestazioni politiche, come quelle per una migliore condizione di vita, venivano soffocate nel sangue. Leghe ed esponenti politici venivano bloccati dal manifestare. A quel tempo viene coniato il termine “sovversivo”, che poi verrà utilizzato dal fascismo e Mussolini per descrivere ed accomunare non solo anarchici, socialisti, repubblicani e comunisti, ma anche rappresentanti di religioni diverse da quella cattolica. E viene coniato un termine per la Puglia: “la Puglia degli eccidi cronici.” Le manifestazioni per diritti si trasformano sempre in manifestazioni sanguinarie. Gli anni tra il 1907 e il 1910 sono anni di migrazione per i fratelli Sacco ed altri esponenti politici. L’omicidio di Sacco e Vanzetti unifica gli italiani all’estero di varie componenti politiche diverse. In italia, ci sono proteste nelle carceri e nelle località di confino; viene espressa solidarietà verso i “sovversivi”. Tutto questo avviene durante il periodo fascista (che inizia durante la Prima Guerra Mondiale, ndr), e continua anche dieci anni dopo quando vengono passate leggi contro i neri e contro gli ebrei. La storia di Sacco e Vanzetti ci permette di capire che cosa succede dietro la difesa della migrazione: difesa della migrazione diventa difesa del lavoro e della lotta al razzismo. Il clima di adesso sta portando indietro di decenni la vita delle persone (migranti, ndr), per cui si perdono di vista i valori fondamentali della vita in società. “La memoria di Sacco e Vanzetti ci serve per ripristinare non solo la giustizia, ma la dignita’ umana laddove questa viene calpestata,” conclude Liuzzi.
Conclude la serata Mary Anne Trasciatti, da “Remember the Triangle Fire Coalition” (“Coalizione per Ricordare l’Incendio del Triangolo, ndr) riflette sulla parola “accettazione.” Accettazione non è lo stesso concetto di realizzazione. Spesso gli italo-americani si concentrano su quest’ultimo: celebrano i successi di politici, businessmen ed atleti per guadagnare l’accettazione della società. Ma spesso questo non succede. Gli sforzi delle persone comuni sono quelli che meritano di essere celbrati e ricordati. L’”incendio del triangolo” è una storia di 146 persone che morirono nel 1911 in un incendio al Triangle Waist Company situato nel quartiere Greenwich Village di New York. I lavoratori al nono piano non vennero mai allertati dell’incendio, per cui quando se ne accorsero era troppo tardi. Alcuni scapparono prendendo l’ascensore, ma molti non fecero in tempo e 146 persone persero la vita. Joseph Zito, che comandava l’ascensore, salvo’ molte persone prima che l’ascensore crollasse. La maggior parte dei defunti erano donne e giovani, un terzo dei quali erano italiani. La Coalizione vuole ricordarli per chi erano: lavoratrici, immigrate, donne. Queste sono le persone che rendono l’America grande. L’avidità e la totale mancanza di protezione per i lavoratori ha causato la morte di 146 persone. Il lutto per queste persone si trasformo’ in un grande movimento sindacale che influenzo’ persino le proteste di Lawrence. Ora piu’ che mai, quando gli immigrati vengono demonizzati, abbiamo bisogno di un triangolo commemorativo (su cui l’organizzazione sta lavorando) per ricordarci la lotta della nostra gente, per illuminare il cammino futuro e per dimostrare cosa possono fare le persone per rendere il governo responsabile.
Ogni singola presentazione era unica ed originale, ma aveva in comune con le altre un messaggio di grande importanza: noi possiamo, e dobbiamo, imparare dalla storia per evitare di ripetere gli stessi errori. Rimane da sperare che l’Italia sarà capace di guardare indietro alle proprie origini e prevenire tragedie come quelle di Sacco, Vanzetti, e Jerry Essan Masslo.