Export ed investimenti, nuova Europa e tax reform USA, innovazione e glocale. Nelle ore in cui il Commissario UE Jean-Claude Juncker spaventa le borse di tutto il mondo prevedendo oscuri scenari post-elettorali in Italia (salvo poi ritrattare), a New York giovedì 22 febbraio si è tenuta l’ottava edizione della conferenza annuale “International Business Exchange”, dal titolo “Investing in Italy and a New Europe”. Un appuntamento in cui i Ceo di alcune delle maggiori aziende e alcuni rappresentanti di istituzioni italiane ed europee si sono riuniti, con un obiettivo ben preciso: confrontarsi con i leader e le personalità dell’universo americano, sulle opportunità di scambio e di investimento tra Italia e Stati Uniti, in nome di un mercato globale e moderno capace di rispondere alle sfide del futuro.

All’evento, organizzato presso il Time Warner Center da Italian Business Investment Initiative presieduta da Fernando Napolitano, si è parlato di relazioni tra Stati Uniti ed Europa, tra differenze e punti comuni da valorizzare, tra nuove generazioni da educare e giovani su cui investire, tra problematiche storiche da superare, e criticità moderne su cui pende lo spauracchio dei populismi. “Oggi l’Italia è solo la 38esima destinazione per gli investimenti diretti degli Stati Uniti, ma nel 2017 tali investimenti sono cresciuti del 50%, a 29 miliardi, e il 2018 si apre con segni di accelerazione” ha dichiarato Fernando Napoletano, che ha evidenziato come “la conferenza consente all’Italia di illustrare la propria forza industriale in settori strategici, di mostrare la qualità del sistema universitario e la stabilità dei governi regionali, e di portar più Europa in USA”.

La mattinata di panel si è aperta proprio sul tema della stabilità delle istituzioni: la sfiducia e la perdita di credibilità, nei governi e nei processi di riforma dei Paesi, spaventa i mercati e ne influenza in negativo le tendenze. A parlarne, durante la prima parte di mattinata, Fernando Napolitano e Simone Crolla, managing director della Camera di Commercio statunitense in Italia, in una conversazione con Jere Sullivan (vicepresidente di Edelman) e Daniel Malher (responsabile per il mercato americano di A.T. Kearney). Un momento in cui i principali punti emersi sono stati non a caso questi: i governi in affanno visti negativamente dalla rete delle imprese e ciò che le imprese possono fare per ricucire lo spread della sfiducia. Perché, come Jere Sullivan ha sottolineato nel suo intervento “le persone sono alla ricerca di nuovi business da guidare” e sviluppare, ma per farlo serve una struttura che sia capace di ascoltarle e valorizzarle.

Alla conferenza, a cui ha partecipato anche il Console Generale d’Italia a New York Francesco Genuardi, che ha evidenziato la necessità di fare rete e l’importanza di incontri istituzionali importanti come la conferenza annuale IBE, sono stati toccati numerosi aspetti del mondo delle imprese. La sostenibilità dei business e la redditività in primis, oggetto della conversazione tra Penny Abeywardena (commissaria dell’ufficio del sindaco di New York Bill de Blasio per gli affari internazionali) e Cjros Viehbacher, managing partner di Gurnet Point Capital. O ancora, l’importanza di saper valorizzare il patrimonio locale e di introdurlo a piene mani, ma senza strattoni, nel mercato globale.

Più facile a dirlo che a farlo, come ribadito nel terzo panel di mattinata l’assessore al coordinamento delle politiche europee dell’Emilia Romagna Patrizio Bianchi: “Dobbiamo unirci e operare uniti, questo è il tema. Dobbiamo imparare di nuovo a lavorare assieme, a ragionare assieme in sinergia, perché da soli si perde tutti: e parlo di istituzioni certo, ma anche di imprese e imprenditori” ha sottolineato, nel conversare con Pimm Fox (anchor man di Bloomberg), Juan Rossel Lastortras (presidente della Confederazione Spagnola dei datori di lavoro) e Bernardo Spitz (presidente MEDEF, l’associazione datoriale francese). Con i quali ha concordato che “Brexit paradossalmente ha avuto degli effetti positivi, perché ha svegliato l’Europa su numerosi temi economici”.

Mentre nel rapporto tra locale e globale, sono tutti d’accordo che il mondo di oggi sia in piena evoluzione: “Oggi, per un territorio, è fondamentale la capacità di attrarre energie esterne allo stesso. Energie esterne che però siano capaci di valorizzarne le peculiarità uniche al mondo” ha commentato a La Voce di New York Massimo Lapucci, segretario generale della Fondazione CRT, fondazione no-profit di origine bancarie, tra le maggiori in Italia. Un processo, ci spiega Lapucci, che vede “la filantropia come protagonista, una filantropia che però non è charity, ma che anzi lavora proprio in ottica di uno sviluppo economico e di una riduzione delle disuguaglianze”.
Paure e timori di disuguaglianze sono emersi anche nel parlare della riforma fiscale di Donald Trump. Di cui hanno discusso Matteo Tamburini (studio Gnudi) Donna Rapaccioli (rettore della Gabelli School of Business della fordham University), Francois Maisonrouge, senior managing director di Evercore, Alessandro Decio, amministratore delegato di SACE e Bob Stack, managing director del dipartimento fiscale di Deloitte a Washington. La tax reform di Trump rappresenta ancora un punto interrogativo per gli americani: quali saranno i benefici reali nell’economia delle imprese e delle famiglie? Quale sarà lo scotto da pagare in termini di spesa pubblica e di debito, per far quadrare i conti in futuro? Ma paradossalmente è emerso che al mercato italiano ed europeo potrebbe costituire un’opportunità, specie se le imprese nostrane dovessero trovare un terreno più fertile, ovvero le aziende statunitensi con maggior potere di investimento, a cui vendere i propri prodotti e proporre le proprie eccellenze: “Continuiamo a vedere questa corsa a ribassare la tassazione un modo per attrarre gli investimenti” ha detto Alessandro Decio di SACE.

Anche se il segreto è sempre lo stesso, quello di presentarsi uniti: “In Europa ci sono molte aziende che se unite potrebbero dare molto fastidio ai colossi americani, riforma o non riforma” ha spiegato La Voce di New York Dino Orlandini, M&A – North and South America alla Scouting SpA, che offre servizi di finanza straordinaria alle PMI per attività relative ai mercati nazionali e internazionali. Un passato alla Unieco come CFO, Orlandini fa la spola tra Bologna, Europa e gli Stati Uniti. E sul contesto economico delle imprese italiane ha evidenziato: “Il problema è il tessuto italiano composto da tante piccole realtà diverse, che in passato era stato il nostro punto di forza e ci diversificava nel mercato, ma che oggi rischia di penalizzare perché le sfide dell’innovazione, ad esempio, non si possono più combattere da soli”. Troppo costose. Anche se necessarie. Nelle chiacchierate che La Voce di New York ha fatto durante la mattinata di panel, sono emersi infatti due aspetti. Una generica positiva considerazione del Piano Calenda e dell’impegno del governo negli ultimi anni di aprire le porte dell’Industry 4.0 attraverso iper-ammortamenti e bonus fiscali per le aziende desiderose di intraprendere la rivoluzione digitale. Ma al tempo stesso anche la consapevolezza che quanto fatto non è stato e non può essere abbastanza.

E che senza gli Stati Uniti d’Europa le aziende italiane rischiano di essere inghiottite da un mercato mondiale dove i colossi sono sempre più colossi e dove le realtà emergenti crescono a una velocità molto competitiva: “In realtà a me sembra che siamo vicini agli Stati Uniti d’Europa dal punto di vista economico e finanziario” ha dichiarato a La Voce di New York Andrea Riposati, fondatore di Dante Labs, una startup innovativa con sede a L’Aquila e New York con focus internazionale nell’ambito delle biotecnologie e dei servizi biotech. Riposati non nega che ci siano casi in cui “in Francia e in Germania ancora si ragioni con l’idea di mercato nazionale”, ma al tempo stesso dice che “sugli Stati Uniti d’Europa siamo vicini livello finanziario e dei pagamenti con l’euro e il livello di tassazioni IVA e che con la logistica siamo a buon punto: spedire da Francia e Germania è ancora più difficile che spedire da New York a Los Angeles, ma ci sono gli estremi per farlo”. Ma nella sala del Business International Exchange c’è chi la pensa diversamente sugli Stati Uniti d’Europa: “È ancora un’utopia se gli stati combattono ancora su politiche fiscali disparate, se si fanno la concorrenza in casa a questo livello, siamo lontani” ha detto a La Voce di New York Luigi Parente, Senior Manager di G.C Consultants. Che sull’Italia ha aggiunto: “Sicuramente c’è l’idea che l’America è diventata più attrattiva e c’è tanto interesse, ma vedo sempre troppa cultura italiana disallineata dall’America e legata ai suoi costumi e alle sue relazioni: su quel sistema si deve fare di più”.

I panel del Business International Exchange si sono chiusi con la conversazione tra il rettore dell’Università Bocconi di Milano, Gianmario Verona, Guido Nola (senior country officer Italia di JP Morgan) e Mark W. Nelson (Dean of SC Johnson Graduate School of Management della Cornell University). Tema: giovani, educazione 4.0 e formazione nell’era della robotica. Il tema è delicato: nel contesto di oggi spesso c’è la domanda da parte del mercato di nuove figure digitali. Dal Cloud Architect al Big Data Specialist, dal Data Scientist al Blockchain Expert. Ma al tempo stesso mancano giovani che terminino il proprio percorso di studi con la giusta cassetta degli attrezzi e le giuste competenze per intercettare quella domanda: “L’importante, però, è continuare a implementare la tecnologia spingendo ai loro limiti gli esseri umani” ha spiegato Nola. Un tema, quello del saper mettere a sistema rivoluzione IT e formazione dell’essere umano, su cui hanno concordato sia Verona (rettore di un’università, la Bocconi che ha reso obbligatorio l’esame di programmazione nel 2016 “perché il coding è l’inglese dei nostri giorni) che Nelson.

E che è stato toccato anche da Jeffrey Hedberg, Ceo di Wind Tre, intervenuto da Londra nel discorso conclusivo di giornata prima del pranzo offerto a panelist e guests da De Cecco: “Ho imparato che le partnership pubblico-private sono facilitatori di innovazione efficaci e sostenibili. In Italia ad esempio – ha proseguito – Wind Tre ha creato una partnership innovativa con istituzioni pubbliche, startups, università e aziende locali per il lancio di trial della tecnologia mobile 5G in centro Italia, a Prato e a L’Aquila. Questa cooperazione sfrutta le competenze di ogni partner per testare e sviluppare l’ecosistema 5G nel nostro Paese”. Un Paese, l’Italia, che dal punto di vista della digital transformation e dell’innovazione ha ancora un vasto potenziale da sfruttare. Ma che, per essere appetibile agli occhi delle imprese statunitensi, deve camminare fianco a fianco all’Europa del futuro, che nei fatti è già presente.