Il Mediterraneo, solcato per millenni dalle navi dei popoli che si sono insediati sulle sue coste dando vita a fiorenti civiltà, custodisce una miriade di relitti, con il loro prezioso carico di merci, anfore e opere d’arte; esso costituisce un elemento fondamentale del patrimonio culturale e dell’ecosistema ambientale nazionale e internazionale: in Sicilia, in particolare, la Soprintendenza del Mare si occupa di più di 1000 chilometri di costa e di infiniti fondali sottomarini ancora da esplorare.
Nel mare intorno alla Sicilia ci sono circa 1500 siti archeologici subacquei, di cui 100 vincolati. Un grande patrimonio che oggi può essere in parte visitato. Il Mediterraneo è una porta sul passato e la Sicilia subacquea racconta storie che arrivano fino a noi da tempi lontanissimi e non smettono di sorprendere: dal relitto di Capitello alla nave punica di Marsala, da Marzamemi a Capo Graziano, da Taormina a Siculiana, da Gela a San Vito lo Capo, negli anni è stato un moltiplicarsi di scoperte. A Pantelleria, a Cala Gadir, si trovano relitti di origini diverse, databili tra il III secolo a.C. e il II secolo d.C.: parti lignee di scafi, anfore puniche e romane, un ceppo d’ancora romana in piombo, un grosso frammento di anfora greco-italica. Il percorso è situato in una porzione di fondale che, dall’insenatura del porticciolo, degrada a trenta metri di profondità.
Nell’area dell’antico porto della città di Lilibeo, l’odierna Marsala, fondata dai sopravvissuti all’assedio e alla distruzione di Mozia nel 397 a.C., è stato ritrovato un ricco giacimento di oggetti che le navi di passaggio gettavano in mare ripulendo stive e sentine. È per questo che si trovano frammenti di oggetti, soprattutto ceramici, risalenti a secoli che vanno dall’epoca ellenistica (IV secolo a.C.) all’epoca tardo romana (V secolo d.C.). I fondali custodiscono, inoltre, elementi edilizi gettati in mare a seguito dei saccheggi subiti ad opera dei Vandali.
A Marettimo, presso Cala Spalmatore, in un contesto suggestivo, è stato rinvenuto a 18 metri di profondità il relitto di una nave da guerra del ʼ700, il cosiddetto “Relitto dei cannoni”. Forse un brigantino pirata distrutto da un’esplosione. Tra i reperti sono stati ritrovati nove cannoni in ferro, probabilmente di manifattura francese, con i relativi proiettili.
La Battaglia di Levanzo, combattuta il 10 marzo del 241 a.C., fu uno scontro epocale. Mise fine alla prima guerra punica, vero spartiacque tra il periodo precedente, durante il quale i Cartaginesi controllavano il Mediterraneo, e quello successivo, in cui i Romani cominciarono a emergere come potenza egemone. La fonte principale è Polibio che, però, non essendo un contemporaneo, scrisse ciò che gli venne raccontato. Fino a poco tempo fa non si conosceva bene il sito esatto della battaglia; si è sempre pensato che il luogo dello scontro fosse Cala Rossa, ma quando tra gli anni ’50 e ’60 furono ritrovati sulla costa orientale di Levanzo più di trecento ancore in piombo, gli studiosi iniziarono a dubitare che la battaglia fosse avvenuta proprio lì. Le ricerche iniziarono nel 2004, con il supporto della fondazione statunitense RPM Nautical Foundation che fornì una nave oceanografica e a due miglia e mezzo a nord-ovest di Levanzo vennero ritrovati dodici rostri, sette elmi – uno dei quali, romano, reca inciso l’augurio euploia, buona navigazione – e centinaia di anfore, oggi esposti all’interno dell’ex Stabilimento Florio di Favignana. Il loro rinvenimento ha così permesso di individuare il luogo della battaglia.
E ancora a Levanzo, precisamente a Cala Minnola, nella prima metà del I secolo a.C., affondò una nave oneraria romana. Si presume scaricasse vino sull’isola per imbarcare garum a Punta Altarella. Il relitto, saccheggiato più volte, giace a 27 metri. Nel 2005 anfore vinarie e frammenti di vasellame sono stati recuperati e dal 2006, grazie al telecontrollo, fondali e reperti si possono ammirare su un monitor dell’ex Stabilimento Florio. L’immersione, infatti, è complessa a causa delle correnti marine.
A San Vito Lo Capo è stato ritrovato il cosiddetto “Relitto delle Macine”. Il sito presenta materiale archeologico che va dal IV secolo a.C. al XVI secolo. Il relitto, databile tra IV e V secolo d.C., è composto da un carico di 50/60 macine romboidali in pietra lavica e da un’ancora in pietra. In zona sono stati ritrovati anche frammenti di scafo.
Localizzato in un piccolo tratto di mare chiuso tra Punta Spadillo e Punta Forbice, a San Vito Lo Capo, si trova il relitto del Kent, meglio conosciuto come la “nave dei corani”: una motonave da carico di 72 metri battente bandiera cipriota. Trasportava merce varia, tra cui un carico di corani, sigarette e carburante. Il 7 luglio 1978, per cause ignote, scoppiò un incendio in sala macchine. Il giorno successivo, il Kent iniziò lentamente ad affondare di poppa, dove è visibile la vistosa ammaccatura provocata dall’impatto col fondale.
Il 2 giugno 1676 fu combattuta la cosiddetta “Battaglia di Palermo”, davanti alle coste del Foro Italico: Olandesi e Spagnoli affrontarono i Francesi che tentavano di minare il potere spagnolo in Sicilia. A questo scontro partecipò, da morto, l’ammiraglio De Ruiter, venerato in Olanda, ucciso da una cannonata ad Augusta e posto, per il viaggio di ritorno ad Amsterdam, in un barile di salamoia. Ma la nave fu impegnata nel combattimento e perse, a Palermo. La “Grande Spagna”, allora la nave più grande al mondo, saltò in aria e i pezzi invasero la città. Se si potesse avviare nel mare del Foro Italico il progetto di recupero, già redatto ma non finanziato, si troverebbero sicuramente dei cimeli e sarebbe interessante ricostruire lo scontro.
La singolare conformazione di Capo Graziano, a Filicudi, nelle isole Eolie, ha attirato verso di sé molte imbarcazioni che cercavano rifugio a ridosso dello stesso ma che lì sono affondate a causa della presenza di una secca. La conformazione dei fondali è tale che la concentrazione dei suoi relitti ha fatto sì che fosse definita come una “mangiatrice di navi”. A causa della pericolosità dello scoglio affiorante, situato quasi all’imboccatura del porto antico, il sito è stato spesso teatro di drammatici eventi; nei fondali della secca sono stati infatti individuati, nel corso degli anni, 11 relitti ad alta profondità databili dal V secolo a.C. al 1943.
La battaglia del Nauloco fu combattuta tra Sesto Pompeo e Marco Vipsanio Agrippa nel 36 a.C. Pompeo, Marcantonio e Ottaviano, che sarebbe diventato primo imperatore di Roma, si contendevano il potere e la Sicilia era un’importante base pompeiana. Non lontano da Mortelle, a poca distanza da Messina, è stato ritrovato un rostro e nella stessa area, negli anni ’60 e ’70, la Soprintendenza di Siracusa ha recuperato delle ghiande missili, cioè proiettili in piombo, con scritto Pompeo.
Durante le due guerre mondiali non ci sono state battaglie intorno alla Sicilia, ma solo “guerre dei convogli” che partivano dall’Italia per portare armi e munizioni verso l’Africa e venivano colpiti dai sommergibili inglesi. Un relitto ritrovato è il “Valfiorita”, una nave mercantile italiana: trasportava camion, camionette, motociclette, munizioni e fu colpita e affondata dal sommergibile inglese “Ultor”, all’uscita dallo Stretto di Messina, mentre si dirigeva verso Palermo. Oggi è una delle mete turistiche subacquee più belle per le immersioni per chi ama i relitti moderni, a un miglio da Capo Faro.
Roma, a partire dal II secolo a.C., si trovò al centro di una grande impero mediterraneo. In questo periodo crebbe la richiesta di marmo proveniente dalle cave dei territori conquistati, soprattutto Grecia, Egitto e Asia Minore. In questo contesto la Sicilia, soprattutto quella orientale, assunse un ruolo centrale come scalo commerciale del traffico lapideo. Negli anni ’70, furono individuati i resti del carico di una nave lapidaria di età imperiale (II secolo d.C.) al largo di Capo Taormina, il cui carico, ancora in situ, è costituito da 37 colonne e 2 blocchi rettangolari. Tra i marmi, “breccia di Sciro” e “porfido verde” di Larissa. La nave dovette iniziare il suo viaggio dalle coste egee della Grecia verso Roma. Lungo questo viaggio, forse per una improvvisa tempesta, la nave si infranse sul Capo Taormina dove affondò.
Ad Acitrezza, nella baia all’interno dell’Area marina protetta “Isola dei Ciclopi”, l’Università di Catania tra 1995 e il 2001 ha rinvenuto una grande varietà di anfore e 8 ancore in ferro. Dopo la catalogazione dei reperti, è nato un percorso archeologico “tattile”, un museo sottomarino visitabile anche da sub non vedenti.
A due miglia dalla costa di Noto, a 45 metri di profondità, si trova il cosiddetto “Relitto delle anfore”. I reperti ritrovati provengono, infatti, dal naufragio di una nave che trasportava un carico di anfore vinarie corinzio-corciresi databili tra la metà del IV secolo a.C. e il primo quarto del III secolo a.C. Si tratta di un ritrovamento importante perché ulteriore testimonianza dell’esistenza di un fervido commercio tra Siracusa e le città greche siciliane dello Ionio. Ma anche con Gela e Licata nello Stretto di Sicilia e, risalendo verso nord attraverso Calabria e Puglia, fino ad arrivare alla foce del Po e nella Pianura Padana, con le città di Spina e Adria.
A mezzo miglio dalla costa di Marzamemi, a 7 metri di profondità, giacciono colonne semilavorate e blocchi per basi o capitelli, trasportati da una nave romana del III secolo d.C. Il marmo pare provenisse dall’attuale isola di Marmara. Suggestiva la vista degli elementi che emergono tra le rocce, tra cui una colonna di 6.40 metri.Per visitare un parco archeologico subacqueo si scende seguendo una catena legata a una boa, muniti di una guida plastificata, si arriva in fondo, dove i reperti sono sistemati e numerati, e si risale dall’altra parte, dopo aver visto ancore, anfore, macine ed elementi in pietra. È straordinaria la visita delle navi lapidarie, quelle cioè che trasportavano pietra, sotto forma di blocchi da intagliare o di oggetti finiti, lastre decorate, capitelli, colonne, elementi architettonici. In questo contesto, interesse storico e naturalistico si coniugano perfettamente. Inoltre, l’archeologia subacquea accresce in maniera esponenziale il valore dell’offerta culturale che deriva dal patrimonio storico-archeologico sottomarino siciliano, con ricadute non indifferenti sull’incremento del livello di conoscenze della popolazione e nell’offerta turistica culturale della Sicilia.
La divulgazione e la valorizzazione del patrimonio culturale sommerso sono stati, fin dagli inizi, una delle attività più sentite della Soprintendenza del Mare, progettando ed attivando, tra le molteplici attività, i percorsi/itinerari o parchi archeologici subacquei visitabili, in linea con i principi della Convenzione Unesco sulla protezione del patrimonio culturale sommerso. Tale iniziativa si basa sulla convinzione che la tutela del mare non può prescindere dalla conoscenza e dalla sensibilizzazione non solo dei cosiddetti addetti ai lavori, ma anche del pubblico più vasto.
Mare e cultura è un binomio che rappresenta qualcosa di inscindibile che può essere, per il futuro della Sicilia, qualcosa di più di uno slogan turistico. La ricerca, la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico e archeologico sommerso sono aspetti di una medesima strategia che non vanno separati. Anzi, il coordinamento e, soprattutto, l’equilibrio tra le varie azioni è la chiave per garantire il successo di ogni corretta iniziativa volta a tutelare il grande scrigno del mare, per l’oggi e per le generazioni future. Un patrimonio, quello culturale sottomarino – a lungo negletto e, soprattutto, in balìa di pochi speculatori – che ha ancora tanta bellezza e storia da svelare e da raccontare.