Oggi, da quel fatidico 23 giugno 2016, la parola Brexit è ufficialmente entrata nel nostro vocabolario quotidiano. Non passa giornata senza sentirla pronunciare in qualche telegiornale o leggerla su svariati quotidiani locali e nazionali. In questo intensissimo tran tran mediatico, ad ogni modo, ciò che non sfugge all’occhio dei cittadini europei è l’incertezza e l’insicurezza che si aggira attorno a questo termine, ciò che esso ha fin adesso comportato e cosa comporterà in futuro.
Al momento le trattative tra Regno Unito e il resto del continente sembrano aver raggiunto un punto di stallo alquanto arduo da sbloccare. In particolar modo, i nodi della discordia tra le due parti sono stati i diritti dei cittadini UE in UK e la cifra che il Regno Unito debba versare nelle casse europee dopo il divorzio politico sancito nel 2016. Il primo ministro britannico, la conservatrice Theresa May, aveva cercato di ovviare a questo “blocco delle trattative” proponendo di garantire la permanenza dei diritti acquisiti solo ai già residenti in Regno Unito entro una data che sarebbe caduta tra marzo 2017 a marzo 2019. Tuttavia, una simile offerta non è parsa troppo convincente né al Presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, né al Parlamento Europeo, che ha bocciato in blocco la mozione. Gli ufficiali UE hanno difatti argomentato il rifiuto sostenendo che una tale proposta, “discriminatoria”, avrebbe creato cittadini (europei) di seconda classe.
Come accennato prima, il secondo grattacapo verte invece su problematiche di stampo più economico che sociale. Durante i mesi scorsi diversi sono stati i tentativi di vari media, continentali e non, di definire il prezzo della Brexit, ovvero il conto che il Regno Unito dovrà saldare per uscire dall’Unione Europea. Inizialmente molteplici fonti avevano stimato una cifra che si aggirava dagli ottimisti 20 ai salatissimi 100 miliardi di euro. Negli ultimi giorni, invece, alcune indiscrezioni provenienti da Bruxelles suggeriscono che il prezzo della Brexit ammonterà a ben 60 miliardi (mentre Londra, secondo il Sunday Telegraph, potrebbe spingersi fino a 40 miliardi). Questi, i soldi destinati a coprire i buchi nel budget europeo dovuti al “divorzio del Regno Unito” e ad onorare gli impegni economici contratti in precedenza. E intanto, la quotazione della sterlina britannica continua ad andare in picchiata, toccando l’euro e 12 centesimi, altro record storico.
Nel frattempo, questa bufera politica e le incertezze da essa scaturite hanno spinto molti cittadini europei oltremanica a fare le valigie e tornare nell’Europa continentale. Statistiche nazionali rivelano infatti che, nel 2016, più di 100 mila cittadini europei hanno lasciato il Regno Unito, in aumento di più del 30% rispetto alle quote del 2015. Al contempo l’immigrazione dai restanti 27 (26) Paesi Europei è in netto calo, in particolar modo dall’Europa dell’Est. Proprio dai paesi membri orientali si riscontra, infatti, un record in negativo di partenze verso il Regno Unito durante il 2016. A mettere il dito nella piaga per quanto riguarda la situazione degli Europei in UK sono le ultime notizie provenienti dal numero 10 di Downing Street.
Il Primo ministro Theresa May, tramite un suo portavoce, avrebbe infatti dichiarato che il mese di marzo 2019 segnerà la fine della libera circolazione dei cittadini comunitari nel Regno Unito. Questo avrà ovvie ripercussioni su coloro che avessero in programma un trasferimento oltremanica e su quelli già residenti in Gran Bretagna: permessi di soggiorno e visti lavorativi e/o studenteschi saranno beghe all’ordine del giorno, da aprile 2019, per tutti i comunitari.