Il Generale Leonardo Tricarico, del Trentino, classe 1942, già consigliere militare della sinistra, del governo di Giuliano Amato e poi anche di Silvio Berlusconi, è uno dei più autorevoli analisti strategici italiani. Oggi presidente dell’ICSA (Intelligence, Culture and Strategic Analysis), critica gli Stati Uniti e l’Italia per non avere le idee chiare sulla Libia: “Ci dicono: Armiamoci e partite. Gli Stati Uniti non sono impegnati come dovrebbero nel Nord Africa. Sembrano non interessati al Sud Europa che invece cambierà il mondo”. Tricarico è stato comandante dell’Aeronautica, ed ha avuto un’importante ruolo di regia con il generale della NATO statunitense Michael Short durante la guerra nel Kosovo del 1999. L’unico conflitto vinto esclusivamente con l’utilizzo dei raid aerei. Per questo è stato anche premiato dal presidente Bill Clinton.
Oggi Tricarico è in pensione ma non è nuovo a polemiche del genere: quando il presidente francese Sarkozy rise del premier italiano Berlusconi, lui restituì la Legion d’Onore, che la Francia gli aveva dato.
Mentre stanno rientrando in Italia le salme dei due ostaggi italiani uccisi in Libia, insieme agli altri due tecnici dell’Eni liberati, l’ambasciatore americano in Italia, John Phillips, in un’intervista a Il Corriere della Sera annuncia che 5 mila soldati italiani dovrebbe partire verso la Libia, scatenando una polemica con il presidente del Consiglio che chiede spiegazioni e il Parlamento in subbuglio.
Mentre gli italiani temono una guerra, La VOCE di New York ha delle domande per Tricarico.
Generale dobbiamo intervenire in Libia?
“Invece di sprecare energie contro la Russia, bisognerebbe unire le forze sulle sfide reali del presente. Ho collaborato con gli Stati Uniti, e mi ritengo un amico leale, e come amico leale devo dire quello che penso. Da un confronto si possono capire gli errori, e capire è utile anche agli amici americani.
Io oggi sono certo di un evidente un disimpegno degli Stati Uniti rispetto alle questioni della Libia e non solo. Un disimpegno largamente preannunciato già da Robert Gates segretario della Difesa del governo Bush e di Obama, nel 2010. Io capisco che è difficile spiegare ai contribuenti americani perché gli Usa si devono impegnare nella difesa di paesi Europei e della Nato. Dopo il 2011 l’impegno si è trasformato in un disinteresse e un disimpegno più marcato”.
Lei trova che gli Stati Uniti non abbiano una politica coerente pur contando tanto all’interno della NATO? Eppure è l’Italia che dovrebbe guidare la futura missione che in molti chiamano guerra.
“In questo momento con la Libia sta succedendo proprio questo. Io non ho capito se è stata un’offerta americana quella di dare la guida all’Italia o se è stata una rivendicazione italiana di avere un ruolo. Rivendicazione che gli Stati Uniti hanno accettato o tutte e due le cose insieme. Di fatto oggi la situazione è armiamoci e partite”.
Secondo lei si sta agendo in modo incoerente?
“Io credo che ci sia un disinteresse di carattere costruttivo nei confronti del problema Libico. Io spero che l’intervista che ho letto sul Corriere sia stata architettata tecnicamente perché, non posso credere che l’ambasciatore a Roma John Phillips abbia potuto addirittura indicare che l’impegno italiano deve essere di 5 mila uomini, senza specificare le modalità d’intervento. Questo attira l’attenzione sull’altra anomalia del comportamento statunitense. Gli State sono liberi di gestire il proprio impegno, ma se vogliono disimpegnarsi, allora devono smetterla di esercitare tanta influenza sulla NATO. Attualmente anziché diminuire è significativamente aumentata”.
Cioè, sta dicendo che gli USA sono troppo influenti all’interno della NATO?
“Gli USA continuano a dare l’indirizzo alla NATO su come si deve agire. Penso alla crisi Ucraina. Come la NATO si sia accanita nella disputa tra due paesi non membri, come l’Ucraina e la Russia. Come si sia attivata per proteggere i paesi baltici e del Nord Europa da una minaccia inesistente. Perché Putin non ha mai minacciato questi paesi. Poi penso a come oggi si stia disinteressando della questione Sud, nonostante siano 30 anni che l’Italia chiede alla NATO di occuparsi del Sud Perché il Sud cambierà il mondo e il fatti purtroppo ci stanno dando ragione. Penso all’ultima esercitazione della NATO, in cui lo scontro simulato era con un altro paese di fantasia ma che non era difficile identificare nella Russia. Un’esercitazione ha un senso quando simula un teatro che si può verificare, realistico. Se avessimo simulato uno scenario dove la controparte fosse stata il terrorismo, e non uno stato sovrano, sarebbe stato più intelligente. Questo dimostra che molte risorse vengono indirizzate verso un nemico che invece nemico non è. Anzi è uno dei player internazionale più influente per risolvere le vere crisi di oggi: la Siria e naturalmente la Libia”.
Quindi lei cosa suggerirebbe agli Stati Uniti?
“A mio modesto avviso all’amministrazione che si avvicenderà in autunno consiglierei di avere un comportamento più comprensivo nei problemi del nostro teatro nel Mediterraneo, delle relazioni con i nostri vicini, dell’Europa, della Russia. E un comportamento che tenga in maggiore considerazione la politica estere dei nostri paesi anziché entrare a gamba tesa con una politica che francamente, non risolve i nostri problemi ma francamente li aggrava”.
Ma a noi ci conviene intervenire in Libia?
“Intervenire in Libia con le maniere forti è un non senso. La scelta non è tra si o no, la convenienza o un vantaggio; la scelta è obbligata, ma non bisogna andare a caccia di obiettivi che non ci sono. Che semplicemente non ci sono. O meglio se ci sono è difficile perseguirli, con l’impiego della forza e i metodi tradizionali”.
Ma allora che fare?
“Prima di tutto definire una situazione finale sullo futuro della Libia che oggi nessuno ha. Quindi oltre a dire che bisogna tranquillizzare la situazione, che ci vuole un governo in carica, bisogna ricordare che si sta cavalcando un’utopia. Io spero di sbagliarmi, che invece quello auspicato dall’ambasciatore sia un disegno ambizioso. Ma di fatto un disegno finale della Libia, non lo ha in mano nessuno. Perché è uno scenario molto complicato, delicato, sul quale andrebbe puntata l’attenzione della comunità internazionale. Bisogna capire se tutti insieme possiamo mettere insieme una strategia che non può che essere all’origine diplomatica, politica. Finora non sono state utilizzate tutte le vie diplomatiche. C’è stata una diplomazia debole, che non ha affrontato questa problema, che ha portato alle lungaggini dell’ONU. Oggi è sbagliato dire intervenire o non intervenire, oggi bisogna domandarsi cosa fare. Siamo in ritardo e indietro”.