Paolo Gentiloni è quel ministro degli Esteri italiano che ha fatto della calma la sua virtù per dar forza a un paese di peso medio (tendente al leggero) sullo scacchiere internazionale. E Gentiloni, di nome e di fatto, calmo lo resta eccome. Anche quando noi de La Voce di New York, più volte, proviamo a “provocarlo” con domande puntute, rivolte durante la conferenza stampa tenutasi martedì mattina alla missione italiana all’ONU (dove c’erano ad ascoltare solo giornalisti italiani) ma anche all’importante appuntamento che Gentiloni ha tenuto mercoledì al prestigioso Council on Foreign Relations, il think tank sulla Park Avenue che dalle pagine di Foreign Affairs indica al mondo preoccupazioni e desideri geopolitici dell’establishment USA. E in questi giorni per Gentiloni “la calma è la virtù dei forti” soprattutto per quanto riguarda il prossimo intervento in Libia, che qualcuno vorrebbe subito per dare la caccia allo stato terrorista dell’ ISIS, o Daesh come lo chiama il ministro degli Esteri italiano, per non dargli troppi riconoscimenti di grandezza.
Gentiloni incontra i giornalisti italiani all’ONU perché ufficialmente lui era in visita al Palazzo di Vetro in questi giorni per rafforzare la candidatura italiana al seggio in rotazione del Consiglio di Sicurezza. La prima domanda di un collega avrebbe dovuto dare il là ad una conversazione su un argomento scontato – l’Italia infatti resta favorita perché attrarrà come sempre all’Assemblea Generale il blocco dei voti dei micro stati, soprattutto quelle isolette del pacifico, con cui dai tempi dell’ambasciatore Fulci “prende tanti caffè” e fa tanti “micro” favori… -, ma ci pensa La Voce a mettere subito sul tavolo ciò che scotta di più: l’imminente intervento in Libia. Anche perché la mattina di martedì, lo ricordiamo a Gentiloni, c’era la notizia dell’invio di alcuni soldati inglesi al confine con la Tunisia per evitare incursioni e passaggi di terroristi ISIS, mentre intanto la portaerei francese Clemenceau a tutta velocità aveva lasciato il Golfo Persico per attraversare il Canale di Suez e prepararsi alle “esercitazioni” con la flotta dell’Egitto nel Mediterraneo (gli egiziani con navi appena vendute dai francesi, ndr). Insomma ultime prove prima dell’invasione della Libia? Inoltre, nella domanda tosta per Gentiloni, ci mettiamo pure il caso Regeni e lo scontro con l’Egitto: ecco, ma che conseguenze potrebbe avere sul coordinamento e pianificazione di intervento in Libia le frizioni con una potenza regionale, appunto l’Egitto, che sicuramente avrà un ruolo nella guerra all’ISIS e nella stabilizzazione della Libia?
Gentiloni, calmissimo, inizia a rispondere: “Io non ho particolari fremiti interventisti. La situazione è abbastanza chiara. Affermazioni altrettanto chiare sono state fatte da Ashton Carter (segretario alla Difesa americano). Ha ribadito che noi siamo pronti, anche sul fronte della sicurezza, a rispondere alle eventuali richieste di un governo libico di unità nazionale. E come ha detto anche Carter, la nascita di questo governo ‘è la chiave per tutto questo processo’. Quindi non mi farei prendere da chissà quali tamburi interventisti. Il problema non è se il Regno Unito ha mandato 18 militari al confine con la Tunisia o no. Anche se la notizia fosse attendibile e confermata, farebbe parte delle normalissime attività che alcuni paesi fanno nell’area. Ci sono molti asset navali e militari nelle acque internazionali del Mediterraneo, europei e della NATO, e tante navi italiane…. Il punto è che l’Italia è pronta a coordinare, e ci sono livelli di pianificazione molto avanzati sul contributo della comunità internazionale alla sicurezza della Libia sulla base delle richieste di un governo libico. Quindi la fase attuale è quella in cui le diplomazie, a cominciare da quella italiana, quella americana e dalle Nazioni Unite, lavorano per creare le condizioni perché nasca un governo di accordo nazionale in Libia. Questo passaggio è assolutamente indispensabile per poter dare risposta alle domande su tanti terreni, incluso quello della sicurezza come molto chiaramente è stabilito dalla risoluzione 2259 di fine dicembre del Consiglio di Sicurezza. Il fatto che ci siano poi…”.
Ecco che qui Gentiloni fa una pausa, piuttosto lunga. Calma, calma… E riprende.
“Il fatto che ci siano poi delle attese da parte nostra di cooperazione piena e tempestiva ed efficace da parte delle autorità egiziane sul caso della fine, triste e orribile, del nostro connazionale Giulio Regeni, è noto. Noi ci aspettiamo una collaborazione piena ed efficace sul terreno investigativo. Abbiamo ricevuto assicurazione che i vari elementi dell’indagine come avevamo annunciato in Parlamento giorni fa ci verranno messe a disposizione in tempi molto rapidi, e mi auguro che questi elementi consentano ai nostri investigatori e alla procura di Roma di avere elementi di certezza. Credo che sia la famiglia che la dignità del nostro paese richiedano che difronte ad una tragedia di questo genere si abbiano degli elementi certi, seri e invece non si alimentino versioni, piste o storie più o meno improbabili. Ci attendiamo dalle autorità egiziane una piena collaborazione. C’è stata promessa, verificheremo queste promesse, Ma non vedo come queste debbano o possano influenzare la crisi in Libia”.
Non lo vede il nesso, ministro? Noi invece lo vediamo eccome. E infatti sull’argomento ci torneremo al Council of Foreign Relations.
L’Italia attende quindi che il nuovo governo libico sia legittimato dal Parlamento. Allora chiediamo a Gentiloni: ministro ma quale sarebbe il limite massimo di attesa? Rapporti di intelligence americana parlano di forze ISIS in Libia ormai oltre i 6.000 combattenti e nei prossimi giorni (dicono rapporti russi, ndr) ne potrebbero arrivare altri migliaia dalla Siria e dall’Iraq. Dove sta il limite di questa attesa?
“Sul piano della minaccia dell’ISIS, è chiaro che nessuno possa ignorare il fatto che i successi che la coalizione ha raggiunto in particolare in Iraq, con la riconquista di circa il 40% del territorio iracheno precedentemente controllato da Daesh, possa avere delle ripercussioni in paesi vicini ad esempio in Libia. Per il momento la presenza di Daesh in Libia, per quanto riguarda le nostre informazioni, che credo che siano tra le più attendibili, è di una presenza significativa ma circoscritta. La nostra valutazione è che si tratti tra i 4.000-4.500 combattenti presenti. E per darvi un ordine di grandezza il numero di milizie libiche presenti nel paese è venti, trenta volte maggiore rispetto a questi numeri. Come sapete sono spesso le milizie islamiche che hanno più volte contrastato la presenza di Daesh. Questo non deve in nessun modo indurci a sottovalutarne il rischio ma deve essere molto chiara la distinzione tra le attività di prevenzione e contrasto nei confronti del terrorismo, che non hanno scadenza, nel senso che sono già in corso e ci vedono impegnati; e il processo di stabilizzazione della Libia. Perché un paese come l’Italia ha bisogno certamente di contrastare il rischio del terrorismo, ma ha bisogno soprattutto di avere di fronte alle proprie coste un paese stabile, con un governo con il quale si possa interloquire nel contrasto ai trafficanti di esseri umani, delle grandi risorse economiche che ha quel paese e nella sconfitta definitiva della minaccia terroristica. Questo è il motivo per cui noi scommettiamo sulla nascita del governo. Non solo perché questa nascita può dare legittimità internazionale a richieste di collaborazione in termini di sicurezza, che è il fondamento della risoluzione dell’ONU, ma anche per il fatto che a noi serve un interlocutore di governo per stabilizzare gradualmente, perché ci vorranno anni, un paese in conflitto per degli errori che sono stati fatti 5 anni fa.
A che punto siamo? Se si guarda la situazione da quello che sarebbe necessario e dal rischio della minaccia terroristica, ogni impazienza è comprensibile e giustificata. Se si guarda invece a come era la situazione ancora a metà dicembre, abbiamo fatto passi importanti…. Questo tentativo libico di legittimazione del governo di unità nazionale ha raggiunto una maggioranza dei membri del parlamento di Tobruk ma il processo di voto per siglare la legittimazione è stato impedito da una minoranza… Ci aspettiamo che ulteriori tentativi possano esserci senza che posizioni estremistiche impediscano alla maggioranza di esprimersi”.
Buoni. State buoni e calmi. “Ripeto l’urgenza della situazione richiederebbe situazioni facili, ma le soluzioni facili non sono dietro l’angolo. E l’illusione degli intervenenti privi di una prospettiva politica sul terreno è una illusione che abbiamo già coltivato 4-5 anni fa e sappiamo che cosa ha prodotto quell’idea. Quindi tutto dobbiamo fare tranne che ripetere gli errori che abbiamo già fatto, anzi che abbiamo subito, perché noi italiani non siamo stati certi i promotori di questi errori. Certo l’Italia è pronta ad assumersi anche un ruolo di leadership sul piano della sicurezza ma è pronta a farlo, come ha ripetuto anche Ashton Carter, sulla base della nascita di un governo di intesa nazionale in Libia e sulla base delle sue legittime richieste”.
Ma dalla Libia, chiede a Gentiloni un collega, non c’è l’imminente rischio che arrivino minacce ISIS in Italia? “Non lo possiamo mai escludere. Il 2015 ci ha detto che le minacce possono venire da paesi esterni ma anche dai quartieri delle nostre città, dalle nostre carceri, da teatri diversi da quello libico. Penso anche ai Balcani… Si può escludere una minaccia che possa venire dalla Libia? Nessuno può escluderlo, ma se il tema ora diventa che siccome c’è potenzialmente questa minaccia allora bisogna intervenire in Libia, io dico: certamente se sono interventi mirati, di contenimento del terrorismo, ma dico anche che se qualcuno pensa di giustificare con queste minacce spedizioni militari nel deserto, questa non è la posizione del governo italiano”.
Ististiamo con Gentiloni: lei ha risposto su tutto tranne a come sta procedendo il coordinamento soprattuto con i francesi e i britannici. Cosa sapeva dell’intervento inglese al confine tra Libia e Tunisia…
“Consentitemi, tutto posso fare tranne che commentare quello che scrive un giornale. Quello che vi posso certamente dire è che il livello di pianificazione e coordinamento tra i diversi sistemi di difesa su questo possibile contributo alla sicurezza della Libia è molto avanzato, che va avanti da diverse settimane e capisco che possa non essere facile distinguerlo dal fatto che rullano i tamburi. Però è così. Si fa molto coordinamento e molta pianificazione ma gli interventi sono subordinati al verificarsi di alcune condizioni politiche e alle richieste che poi questo governo libico al quale stiamo lavorando ci formulerà. Il livello di coordinamento è avanzato, positivo e non mi aspetto fughe in avanti, per esser chiaro”.
Si continua con le domande, si chiede di eventuale utilizzo degli americani delle basi in Sicilia per colpire l’ISIS, ok devono chiedere il permesso prima e comunque si deve trattare di operazioni “difensive”. Cioè della “difesa”, spiega Gentiloni, di “forze impegnate in azioni anti terrorismo…”.
A questo punto un giornalista chiede quanti soldati italiani ci vorrebbero per la missione “difensiva” in Libia, prima si era parlato di 3.000, poi 4.000 o 5.000. Calma, calma, dice Gentiloni. “Scusate se sembro un ‘raffredatore’. Mi verrebbe da dire calma e gesso. Quando si dice che è in corso un coordinamento e pianificazione, stiamo discutendo che in questo tormentato paese finalmente si sta riuscendo a trovare un accordo per un governo di unità nazionale. E questo governo di unità nazionale si rivolgerà alla comunità internazionale avanzando delle richieste. Ora se noi partiamo già dicendo, ci saranno 4.722 soldati… Ecco, scusa, ao ma ch’i ta’ chiesti sti 4.722? E scusate il romanesco…”.
Gentiloni che deve fare la battuta in romanesco per lanciar un messaggio “calmante” a coloro che spingono per l’intervento, poi spiega di quanto la vastità immensa della Libia non rende assolutamente possibile pianificare una stabilizzazione del paese solo militare. Ci deve essere soprattutto quella politica. A noi intanto rimane impresso il numero indicato dal ministro degli Esteri di quanti sarebbero i combattenti dell’ISIS (4.500?) cioè più o meno quanti sarebbero, secondo alcune fonti, i soldati che l’Italia dovrebbe inviare per guidare la missione internazionale in Libia.

Alla fine della conferenza stampa alla missione ONU abbiamo chiesto a Gentiloni che succederebbe se non si arrivasse a far nascere il governo di unità nazionale libico. La risposta è stata secca: “Saremmo nei guai”.
Quando il giorno dopo Gentiloni va a parlare al Council on Foreign Realtions per discutere con gli americani che contano di “Beyond turmoil: challenges and opportunities in the Mediterranean”, noi siamo li ad ascoltarlo anche se stavamo per perdercelo. L’invito ci è arrivato grazie al tempestivo intervento della missione italiana all’ONU. Già, il Mediterraneo, in questo momento sbattuto da più pericoli che opportunità. Un mare, come ha detto Gentiloni, che rischia di trasformarsi da “Mare Nostrum” a mare di nessuno.
Presentato da Zoe Baird, President della Markle Foundation e componente del Board of Directors del CFR, Gentiloni parla delle varie, troppe crisi, mettendo al centro quella dei migranti, durissima prova anche per la tenuta e il futuro dell’Europa unita. Ci vuole una strategia diversa e superare leggi europee assurde e datate, quelle di un quarto di secolo fa che forse andavano bene ai tempi dei rifugiati dopo la crisi dell’impero sovietico ma non certo a questo diverso tipo di migrazioni. Gentiloni, che dice di non poter neanche immaginare che nel referendum britannico, il cosiddetto “Brexit”, possa vincere un no all’Europa, tuttavia parla di modi diversi di stare nell’UE. Chiediamo in giro a qualcuno dei grandi avvocati e businessman che ascoltano il ministro italiano se hanno seguito il discorso e la logica di Gentiloni. “Very clear“. Già. Ma anche la posizione dell’Italia su quello che farà in Libia risulta chiara?
Così ecco di nuovo la domanda da La Voce di New York, in cui si chiede specificamente a Gentiloni, questa volta davanti agli americani, cosa farà l’Italia se alla fine non si riuscisse a far nascere questo nuovo governo di unità nazionale libico? E poi aggiungiamo, perché anche su questo gli americani devono sapere, data la situazione con l’Egitto dopo il caso Regeni, ecco come si sta evolvendo questa crisi bilaterale e come potrebbe condizionare l’intervento dell’Italia anche in Libia, dato che gli egiziani avranno sicuramente un ruolo chiave nella stabilizzazione della Libia e la lotta con ISIS…
Il ministro degli Esteri ribadisce subito di essere riluttante a connettere i due problemi, e quindi risponde staccandoli: “Se la Libia non riesce a fare un governo creerà un enorme problema. Ma la discussione del problema B è secondo me non accurato. Il contenimento del terrorismo non è il piano B. Questo è quello che già facciamo e che dobbiamo continuare a fare. Ma il contenimento del terrorismo non è la stabilizzazione di un paese così grande e con tante risorse. L’idea di stabilizzare solo con un intervento militare un paese come la Libia è stata già sperimentata e non 50 anni fa, ma 5 anni fa. Ora capisco anche perché quella decisione fu presa, ma sicuramente non si può ritenere che sia stata un successo per la stabilizzazione del paese. Di sicuro la lezione impartita dice che si dobbiamo contenere e combattere il terrorismo ma non abbiamo alternativa alla stabilizzazione della Libia se non lavorando con un suo governo°.
Infine Gentiloni esprime nei confronti dell’Egitto, la fermezza della posizione dell’Italia sul caso Regeni: “Per la sua famiglia ma anche per la dignità dell’Italia noi vogliamo sapere chi sono i responsabili di quello che è accaduto a Giulio Regeni. Sentiamo il dovere di scoprire la verità e di sapere chi sono i responsabili della morte di Regeni. Abbiamo chiesto al governo egiziano di cooperare. Speriamo che questa cooperazione finora limitata diventi più seria. Abbiamo forti relazioni, anche economiche con l’Egitto, e riconosciamo la sua importanza per la stabilita della regione. Ma tutto questo non conta quando un cittadino italiano viene ucciso in certe circostanze”.
Nella sala queste parole cadono con un certo peso. L’Italia, che con l’Egitto ha praticamente relazioni commerciali non uguali in Europa, e che è sul punto di impegnarsi in una difficilissima missione in Libia dove l’Egitto avrà pure un ruolo determinante, ora fa pesare e tanto sul piatto della bilancia delle relazioni bilaterali il caso del suo cittadino torturato e ucciso, come ormai sospettano tutti, dalle forze di sicurezza del regime di Al Sisi, regime che ora si affanna a coprire la verità.
Pensiamo che sia stato un momento alto questo per l’Italia al Council of Foreign Relations, e non ci resta che sperare che non si tratti solo di parole di un ministro che sa come usarle bene. Parole pronunciate con calma e che restino un segno di forza per quell’Italia che pretende la verità.
Discussion about this post