Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione 2259 che dovrà servire come strumento legale per dar forza alla stabilizzazione della Libia sconvolta dalla guerra civile. Il tanto atteso passaggio ONU è potuto arrivare solo dopo l’accordo politico firmato a Skhirat in Marocco, tra le principali fazioni libiche, raggiunto solo dopo oltre un anno di difficilissimi negoziati. Mercoledì il Consiglio di Sicurezza, presieduto dall’ambasciatrice Samantha Power, ha approvato all’unanimità la risoluzione, dando quindi legittimità all’accordo firmato il 17 dicembre, che aveva istituito un Consiglio di Presidenza con l’impellente incarico di formare a Tripoli un governo di unità nazionale entro 30 giorni e di mettere in pratica le necessarie misure di sicurezza per la stabilizzazione del Paese e il ritorno quindi nella capitale Tripoli ancora in mano a svariate bande armate.
La settimana scorsa, a New York, il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni, in un incontro con i giornalisti corrispondenti dall’ONU, aveva ribadito il ruolo dell’Italia nella trattativa che aveva finalmente siglato l’accordo a Skhirat. La Conferenza di due settimane prima tenuta a Roma e in cui aveva partecipato anche il Segretario di Stato John Kerry era stata determinante. Quindi al Palazzo di Vetro, sempre pochi giorni fa, Gentiloni aveva avvertito che in tempi rapidissimi si approvasse una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che garantisse una “cornice di legalità” per il sostegno internazionale alla stabilizzazione della Libia. Cioè, il nuovo governo libico che dovrà nascere e che ora viene legittimato dall’ONU, dovrà lavorare immediatamente alle necessità della Libia, e per questo fin dalla sua nascita esso potrà chiedere supporto economico, umanitario e di sicurezza ai paesi che hanno tutto l’interesse affinché questo avvenga nei tempi più brevi. Quindi in prima fila l’Italia, che con Gran Bretagna e Francia, viene ormai considerata, se necessario, pronta ad un intervento militare in aiuto della stabilizzazione e, soprattutto, in funzione anti espansionismo dello Stato islamico (ISIS o Daesh).
Comunque, resta il fatto che anche dopo il passaggio della risoluzione al Consiglio di Sicurezza, la situazione rimane complicatissima perché non tutte le fazioni libiche hanno firmato l’accordo di Shirakt. “La porta è aperta e la mano dell’amicizia tesa”, ha detto l’ambasciatore britannico Matthew Rycroft, che ha presentato in Consiglio di Sicurezza la risoluzione da votare. Alla riunione e poi ad un incontro con i giornalisti, ha partecipato anche l’inviato speciale dell’ONU in Libia, il tedesco Martin Kobler, che ha poi riaffermato quanto la strada sia in salita ma che non ci siano alternative. In un successivo messaggio, Kobler ha detto che “siamo ad una settimana da quando è stato firmato l’accordo politico per la Libia che rimette il paese di nuovo sul sentiero che porta alla costruzione di un moderno stato democratico. Incoraggio tutti i libici ad unirsi per sostenere queste nuove e inclusive istituzioni”.
Kobler, ha anche ricordato che al suo fianco ha il generale italiano Paolo Serra, consigliere militare della missione UNSMIL che sta trattando con esercito e polizia regolare libici ma anche con le milizie per consentire al nuovo governo e alla missione ONU di rientrare nella capitale Tripoli ancora divisa tra fazioni armate. Quando durante la conferenza stampa gli è stato chiesto se Serra rappresenta l’ONU o l’Italia in Libia, Kobler sorridendo ha detto che “ognuno di noi che lavora per l’ONU mantiene un legame con il paese di appartenenza”.
Nella risoluzione adottata dal Consiglio di Sicurezza non ci sono riferimenti espliciti al Capitolo Sette, che autorizza l’uso della forza. Ma la risoluzione offre un mandato ai Paesi che intendano farlo, ad “assistere il governo di unità nazionale”, sollecitandone aiuti “se richiesti”, e su questi si intende anche militari soprattutto di fronte a minacce del’ ISIS.
Durante lo stake out con i giornalisti successivo al voto della risoluzione, La VOCE di New York ha chiesto all’ambasciatore britannico Matthew Rycroft se la risoluzione 2259 autorizzasse il suo paese, come anche l’Italia, ad un intervento militare in Libia in aiuto del nuovo governo soprattutto in funzione anti ISIS, o se si dovesse attendere per questo un ulteriore risoluzione. “Ha detto bene, c’e’ un serio pericolo ISIS in Libia” ha risposto l’ambasciatore britannico, che poi ha tolto ogni dubbio: “Se ci sarà la richiesta da parte del nuovo governo, noi saremo pronti ad intervenire”, senza aspettare quindi una nuovo risoluzione del Consiglio di Sicurezza (vedi video sotto).
Quando avevamo fatto la stessa domanda all’ambasciatore italiano Sebastiano Cardi, subito dopo il passaggio della risoluzione, il diplomatico italiano ci era apparso più prudente, dicendo che per questi scenari “fosse troppo presto” parlarne e che per un eventuale intervento militare sarebbe stato probabile un altro passaggio “al Consiglio di Sicurezza” .
Intanto l’ambasciatore della Libia all’Onu Ibrahim Dabbashi (che al Palazzo di Vetro rappresenta il governo di Tobruk, quello finora formalmente riconosciuto) ha tuttavia messo il piede sul freno: “Non vogliamo bombardamenti adesso”, ha dichiarato il diplomatico alla Reuters prima della riunione del Consiglio di SIcurezza, ma ha ribadito la revoca dell’embargo delle armi perché “l’Isis possiamo combatterla da soli”.