“L’inglese è una lingua che non si ama. Si usa”, scriveva il filologo americano Stuart B. Flexner. Cosa potremmo dire dell’italiano? “È una lingua che non si usa. Si ama”. O comunque non la si usa, ovviamente, come l’inglese. E perché la si può amare? Non solo perché è la lingua più seducente, come abbiamo già scritto, quella per “acchiappare”. Non solo perché è la lingua che dà accesso alla cultura italiana, alla musica, all’Opera, al cinema, alla letteratura, ad un’idea umanistica, incarnata nel Rinascimento, e pertanto universale. E neanche perché è quella del Papa. Fin quando il Papa si esprimerà in italiano, il futuro della lingua italiana è assicurato. Ma perché ,“banalmente”, è la lingua della simpatia.
E chi lo dice tutto ciò? Il nuovo presidente della Dante Alighieri: Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, storico della Chiesa cattolica, Ministro della cooperazione internazionale e l'integrazione durante il governo Monti.
Non solo, ma aggiunge, in una sua intervista per il quotidiano romano Il Messaggero, che si tratta di “una simpatia per l’Italia, per la sua cultura, la lingua, la musica, il design, lo stile, il modo di vivere italiani. Come spiegare, altrimenti, il mistero del perché l’italiano sia la quarta lingua più studiata tra gli stranieri nel mondo? Succede per lo stile di vita. È il piacere della bellezza prima che dell’utilità”. È il trionfo dell’italsimpatia. Lo sanno anche astuti comunicatori di marketing, che utilizzano lingua e modi italiani per esprimere simpatia rispetto al “noioso” inglese. La lingua italiana è divertimento, gioia, sorpresa, eccitazione, passione. Qui sta la peculiarità di questa lingua. L’italiano è la lingua della relazione. È la lingua, in altre parole, che avvicina empaticamente, che colpisce la sfera emotiva. Non a caso è la lingua della seduzione.
L’inglese è la lingua franca, globale, delle nuove tecnologie, indispensabile. L’italiano è una sorta di lusso, mercato che non subisce crisi.
A volte quella simpatia diventa canzonatura. Capita scimmiottando una lingua. L’italiano è pronunciato con la bocca sempre aperta, un po’ cantato e a voce alta, con le vocali prolungate accompagnate da inevitabili gesti con le mani. Il contrario del francese: bocca chiusa, parole sussurrate, nessun gesto, che evoca, seppur nel suo riconosciuto fascino, snob, distanza.
Non è raro, come ho constato personalmente, che due persone in grado di intendersi in inglese e in italiano inizino a parlare con la prima e finiscano a parlare con la nostra lingua. L’inglese introduce, dà il contatto, l’italiano costruisce la relazione. Esprime un sentimento comune, quello di amare l’italiano e, probabilmente, la cultura italiana.
Tuttavia, italicamente, pensiamo che per meglio comprendersi dovremmo essere in grado di parlare lingue diverse. Un proverbio africano dice “Un uomo che parla una lingua vale un uomo; un uomo che parla due lingue vale due uomini; un uomo che ne parla tre vale tutta l’umanità”. Diceva qualcosa di simile anche l’Imperatore Carlo V D’Asburgo, forse con tono diverso: “Parlo spagnolo a Dio, italiano alle donne, francese agli uomini, e tedesco al mio cavallo”.