Al festival del teatro italiano a New York, In Scena!, domani è la volta di WEBulli, lo spettacolo teatrale che affronta il tema del cyberbullismo tra gli adolescenti, troppo spesso protagonisti di un uso sconsiderato dei social network che li porta troppo spesso ad essere denigrati, derisi e vessati da altri. WEBulli fa parte di un progetto più ampio realizzato in alcune scuole medie e superiori della Lombardia per prevenire i fenomeni di cyberbullismo e sexting tra gli adolescenti e prende spunto da storie realmente accadute. Nel gioco delle identità virtuali portate in scena dallo spettacolo, i toni sono sì drammatici, ma smorzati da un linguaggio che a volte è leggero e comico. Scritto e diretto con la supervisione di Renata Ciaravino, WEBulli è di e con Serena Facchini ed Ermanno Nardi, della compagnia Elea Teatro e Industria Scenica di Milano, che raccontano a La VOCE qualcosa di più sullo spettacolo.
Da dove è nata l'idea di questo progetto teatrale?
Lo spettacolo WEBulli è parte di un progetto più ampio che ha trattato la prevenzione ai fenomeni di cyberbullismo e sexting tra adolescenti delle scuole medie e superiori della Lombardia. Da qui l’idea di portare questo tema in uno spettacolo, partendo dal mondo dei social network e da come si modifica in essi la nostra identità, per arrivare a parlare di questi fenomeni drammatici. Cerchiamo di intrecciare linguaggio leggero e comico ad uno più poetico e drammatico. Dai laboratori condotti nelle classi ci sono arrivati molti stimoli e materiali come la scelta delle musiche, il linguaggio, le storie.
Prima volta a New York?

Ermanno Nardi
Sì, è la nostra prima volta a New York. Siamo molto curiosi di vedere come reagirà un pubblico differente da quello italiano ad un tema purtroppo caldo a livello mondiale (una delle storie vere da cui abbiamo preso spunto è quella di una ragazza canadese, Amanda Todd). In particolare sarà interessante vedere come reagiranno gli studenti del College di Staten Island dove porteremo lo spettacolo. Fino ad ora gli studenti italiani si sono sentiti molto coinvolti dal linguaggio che abbiamo scelto e dalla storia. E al di là dello spettacolo in sé, sarà molto interessante confrontarsi con le altre compagnie ospitate all’interno del Festival.
Fare teatro in Italia oggi è facile o difficile?
Non è semplice. Non è semplice dare visibilità al proprio lavoro, non è semplice portare la gente al proprio spettacolo. L’idea di teatro si è un po’ fossilizzata, spesso fuori dalla cerchia di chi a teatro ci va, c’è l’idea che andarci sia una cosa di élite, una cosa noiosa, troppo impegnativa. È difficile essere ospitati nelle stagioni, i teatri fanno fatica ultimamente e tendono ad ospitare le compagnie più conosciute che chiamano pubblico e così il meccanismo diventa un serpente che si mangia la coda.
A vostro avviso il teatro italiano è esportabile?
Pensiamo che in Italia ci sia un fermento teatrale molto interessante, compagnie che fanno ricerche su linguaggi e tematiche di interesse e che producono lavori nuovi ed esportabili, anche se purtroppo a volte riescono ad avere poca visibilità.
Raccontateci protagonisti e temi dello spettacolo.

Serena Facchini
Lo spettacolo ruota attorno ad una trama principale, una storia esemplare che prende spunto da alcune storie vere di fenomeni di cyberbullismo. La nostra storia non è realmente accaduta, ma unisce elementi veri inseriti in un’unica trama: una storia d’amore tra adolescenti, un video intimo mandato al fidanzato, ma finito nelle mani di un amico che si sente messo da parte, la pubblicazione online di questo video e le conseguenze drammatiche sulla protagonista della storia. Intorno a tutto questo si alternano video, scene che parlano di social network ed identità, di adolescenza con il suo senso di inadeguatezza, del rapporto tra genitori e figli.
Quale è stata la cosa più bella e quella più difficile di scrivere e interpretare questo spettacolo?
È stato difficile dover entrare nel mondo dell’adolescenza ed interpretare dei personaggi di 16 anni senza sembrare patetici o ridicoli. Abbiamo cercato di far riemergere tutte le sensazioni e le occasioni in cui ci siamo sentiti inadeguati a quell’età, quali erano i nostri timori. Abbiamo visto che non erano poi così lontani da quelli degli adolescenti di oggi. Alcuni di questi timori di noi adolescenti sono entrati nello spettacolo, è stato un modo per metterci in gioco, per essere onesti e metterci in prima linea, dire: “Noi abbiamo 30 anni, non facciamo finta di averne la metà e dirvi come bisogna comportarsi. Ma questa cosa ce la ricordiamo bene sulla nostra pelle, non c’era Facebook, non c’erano gli smartphone, ma le paure di non essere giusti, fighi, erano le stesse”. E partendo da questo livello proviamo a raccontare la nostra storia. La cosa bella è vedere che, ogni volta che portiamo WEBulli tra i ragazzi, lo spettacolo funziona, che riusciamo a parlare il loro linguaggio in modo credibile. Non è facile.
Come convincereste il pubblico a venire a vedere lo spettacolo?
WEBulli è uno spettacolo per tutti. Parla di adolescenza, di genitori e figli, di adulti, di noi e dei nostri profili Facebook, della nostra identità virtuale, di cui a volte non ci accorgiamo o a cui non diamo peso. WEBulli non è solo una storia drammatica: con il suo linguaggio riesce anche a far sorridere.
6 maggio 2015, 3.30 pm – Center of the Arts, College of Staten Island (2800 Victory Boulevard, bldg. 1, Rm. 116)
8 maggio 2015, 7:30 pm – Bernie Wohl Center at Goddard Riverside (647 Columbus Ave, Manhattan)
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