Selvaggia anarchia modaiola o fucina popolare del fashion? Vien da chiedersi questo, passeggiando tra le Street e le Avenue di Manhattan. Ed è proprio con questa domanda che diamo il via ad una nuova "Voce di New York".
Nella città che non dorme mai le tendenze si creano, si trasformano e si distruggono col brivido della velocità, dentro e fuori le vetrine dei guru della moda di oggi e soprattutto di domani, come in un teatro a cielo aperto dove va in scena uno spettacolo a ciclo continuo. Uno spettacolo che non è appannaggio della notte, quando la movida prende le forme dello skyline, o della Fashion Week, dove tutto, ma proprio tutto, è concesso. Basta camminare per la città in una mattinata del fine settimana, o nel pomeriggio di un week day qualsiasi, per vedere quanto la libertà estetica e le contaminazioni stilistiche vestano senza inibizione i corpi di uomini e donne di ogni età. È questo il concetto del melting pot, l'incontro e lo scontro di culture e di gusti, al limite della fusione, pregni di quella leggerezza che solo la Grande Mela concede.
Come l’arcobaleno che tinge la manicure di ragazzine e signore, un colore per ogni dito, corredato da paillettes e segni zodiacali, o patriotticamente ispirate alla bandiera a stelle strisce. Un fenomeno trasversale e travolgente che parte dai trendissimi Soho, Village e Meatpacking district, ma che non risparmia nessuno. Nemmeno i più composti quartieri di Mid o Up Town dove la stravaganza si alterna al più ingessato doppiopetto.
JJ ne è l’esempio: nome vero non pervenuto ma sull’età si può ipotizzare la sessantina, eppure non rinuncia a cilindro, bastone, tinta arancio, e anfibi con zeppe, con i quali entra ed esce da uno dei più noti condomini nei pressi del Palazzo di Vetro, dove vive accanto a diplomatici e banchieri. Il barometro dell'eccleticità raggiunge il suo massimo durante il cambio delle stagioni, una sorta di limbo dove tutto è concesso, come flip flop abbinate a piumini ipertermici con tanto di lupo al collo. Alla fermata dell’autobus si alternano su lunghe file stivali di montone, ballerine, sandali ergonomici e persino pantofole. E spesso il maltolto da canotte e vestitini inguinali viene restituito da guanti e paraorecchie in pile. Nessuno scandalo se qualcuno in pigiama scende per strada, e non solo per portare a spasso il cane.
Per i più sofisticati invece, c’è il picnic, a tema, persino in maschera. Insuperabili quelli in cui ci siamo imbattuti al parco di The Cloisters, l'abbazia romanica arroccata su una collina dell'Hudson. Una colazione bucolica ai tempi del Re Sole, con abiti d'epoca, parrucche, tovaglie, piatti in stile, e anche maggiordomi in livrea come reggi-ombrello. E se è vero che guardando un cane si può capire molto del suo padrone, nessuna sorpresa per le sfilate di moda popolare degli amici a quattro zampe: cappottini, tute, scarpine e, ultimo delirio manhattiano, i tatuaggi. Nessun ago, basta tagliare il pelo dando espressione al disegno e colorandolo con materiali rigorosamente organici realizzati appositamente per gli animali. Nomi, disegni tribali, e persino spunti politici, come la 'A' cerchiata di anarchia. Anarchia modaiola, appunto, o fucina popolare del fashion? A questo punto conta poco, se non il fatto che questo fa di New York la città dove è possibile mettersi tutto addosso. Ma anche niente.