Ora che si innalzano le temperature, il sole sembra darci una mano per spazzare via il virus aggredito dai vaccini. Per la seconda volta, l’uscita dall’incubo della pandemia coincide con l’arrivo dell’estate. La prima, un anno fa, fu quella del “liberi tutti” e non andò tanto bene. I più giovani interpretarono il messaggio con la spensieratezza dell’età, ansiosi di gustare la ritrovata libertà. E di farlo a modo loro, senza limiti. Ma tutti lo pensavano, eravamo fuori dall’incubo, potevamo permetterci un po’ di spensieratezza.
Ci costò caro: un nuovo periodo di restrizioni. Ciascuno ha pagato il conto, a cominciare dai ragazzi, adolescenti o più grandi, studenti di ogni ordine o grado. L’esistenza quotidiana è stata – in questa fase – un’odissea, con l’alternanza senza fine di aperture e chiusure, di lezioni da remoto e in presenza. Un frastuono che ha stordito molti con la severità delle regole, la privazione delle libertà, il cambiamento di abitudini.
Le incertezze hanno messo tutti alla prova: isolamento in casa, riduzione dei rapporti sociali, limitazione della vita di comunità. Una condizione generalizzata, comune a tutti, più drammatica per i giovani. Come sarà allora questa estate? Come la vivranno i giovani? Un problema che interessa loro, i nostri figli, ma che interpella ognuno di noi, genitori ed educatori.
L’arrivo delle vacanze si accompagna ad un senso di potenzialità e divertimento, rappresenta una liberazione dagli obblighi, dalle responsabilità, dalle regole. La voglia di ribellarsi è ora più acuta. Finalmente dopo le angustie pandemiche c’è uno spiraglio, importante dopo i mesi di affanno. Il momento alimenta la spinta a mettersi alle spalle il periodo, spiega la volontà di recuperare il tempo perduto. Però non può farci dimenticare quanto accaduto.
Si è compiuto un passaggio da una vita piena, e libera, ad un’altra di segno opposto. Le giornate pre-Covid di grandi e piccoli erano regolate da ritmi intensi, quasi da catena di montaggio. Lo spazio temporale era occupato da mille attività. Dalla scuola alla palestra, alla musica, al divertimento e all’incontro con i coetanei. Uno stile di vita che teneva conto dei doveri e permetteva di coltivare aspirazioni personali. Lo stesso accadeva agli adulti, alle prese con giornate strapiene.
Per le restrizioni, le scuole sono state chiuse; tutti, giovani ed adulti, sono stati confinati in casa; la socialità è stata sostituita dai rapporti a distanza, via telefono o web. I giovani – separati dai contesti abituali – sono sprofondati in una condizione di isolamento. Non è bastato lo sforzo degli adulti: prodigatisi a riorganizzare le giornate dei più piccoli e costretti ad introdurre l’alternativa dell’istruzione a distanza per liceali ed universitari.
Che le lezioni siano state da remoto o meno, comunque si sia svolta la giornata, c’è stato un esito destabilizzante per gli equilibri psicologici dei ragazzi. Sempre incollati davanti agli schermi, l’illusione di combattere la noia li ha frastornati e noi, gli adulti, siamo stati trascinati in un abisso di dubbi, impotenti a trovare vie di uscita.
La conclusione è sembrata senza appello. Quello appena terminato è stato “un anno scolastico frustrante e segnato da un’insopportabile solitudine”, ha commentato la psicologa americana Lisa Damour sul New York Times. In queste condizioni, è difficile proporre – come soluzione – il semplice ritorno alla condizione di prima. Non basta invocare le vecchie abitudini per sanare le fratture psicologiche dell’isolamento.
Il livello di malessere giovanile si è innalzato. Lo dicono i reparti di neuropsichiatrie, i pronto soccorso, le statistiche sul consumo di droga. Sono aumentati gli episodi di autolesionismo, i disturbi del comportamento alimentare. Non sempre le scuole e le famiglie hanno saputo interpretare i disagi. Nessun fraintendimento, il problema non riguarda solo i giovani, è stato un anno difficile per tutti, non un periodo sabbatico. Ora che abbiamo messo da parte la paura della pandemia, dobbiamo prestare più attenzione ai giovani. Essi esprimono in forma più acuta le difficoltà di tutti.
Improvvisamente lo scenario è mutato. Non più il mondo conosciuto ed abitato, fatto di scuola, compagnie, incontri, schermaglie sentimentali, palestra e discoteche. Confuso ed eterogeneo certo, ma ricco di stimoli e necessario allo sviluppo intellettivo. Al suo posto, nell’impossibilità di uscire, vedersi di persona, interagire, si è diffuso un senso di isolamento e vuoto, che ha minato la sicurezza in sé stessi.
Non è stato un cambiamento da poco, banale sostituzione di quinte teatrali. Al posto di quella precedente, un’altra con colori differenti, dato che c’è da rappresentare un soggetto nuovo. La routine conosciuta, assorbente e prevedibile, aveva un rilievo in più. Era rassicurante a prescindere dal giudizio di valore, dalla consapevolezza delle scelte. Rappresentava un elemento di riconoscimento della propria identità.
La pandemia non ha solo introdotto altre cose da fare, al posto di quelle divenute impossibili. Ha come svuotato di senso le giornate dei ragazzi rendendo più complicato vivere le emozioni. La mancanza di riferimenti esterni si è tradotta in aridità, talvolta noia, spesso isolamento: una situazione nuova, per molti insopportabile, tanto da generare reazioni inconsulte.
Se certe somatizzazioni, per quanto più numerose durante la pandemia, rappresentano un caso limite, il problema non ha riguardato solo i ragazzi sensibili o fragili, in difficoltà a controllare l’irrequietezza dell’età. Per loro, non è stato facile soffocare la vitalità.
Ha fatto ingresso un’altra prospettiva, il contatto con sé stessi senza il filtro delle attività programmate: a confronto diretto con il proprio io, è sorta la necessità di sperimentare un tempo sconosciuto ed uno spazio nuovo. Luoghi da inventare di sana pianta. La realtà ha imposto un esercizio di introspezione, angoscioso per tutti, inquietante per i ragazzi abituati alle loro giornate di sempre.
Sperimentare la noia delle giornate in casa, la distanza dai coetanei, in una parola l’assenza della vita di prima, ha significato anche affrontare la prova del “far da sé”, del decidere in libertà, dell’esplorare ciò che piace e interessa, di agire in autonomia.
Il Covid ha solo svelato il disagio diffuso nelle maglie della modernità esasperata. Quello che espone al rischio di naufragare una volta persi riferimenti e sicurezze. Un mondo sempre collegato e connesso offre infinite possibilità ma finisce per creare una rete totalizzante. Senza rendercene conto, è una specie di prigione da cui è difficile uscire.
Si realizza il paradosso. La vita sociale – imprescindibile – ha dei risvolti anche negativi: può ridurre le occasioni per conoscere sé stessi, limitare la fantasia, ostacolare lo sviluppo di uno spazio interamente nostro. Il dialogo con la solitudine è una dimensione davvero particolare: esposta a insidie e ferite, è un’esperienza preziosa, passaggio arduo nella scoperta di sé.