“No dai, stasera facciamo venire una pizza”. Il turbine scatta lì. Alla sera, la città ronza di motorini guidati da extracomunitari con pile di cartoni dietro (spesso guidano con un piede giù, quasi a toccare l’asfalto e non si sa il motivo) e alla disperata ricerca di un indirizzo. Anche perchè, a volte, l’ordinazione è stata presa da un collega che al posto di Camorani ha capito Manzalani e quindi chissà quante pizze sono andate e andranno alla deriva di qualche indirizzo, per poi essere recapitate a casa da un certo Manzalani che sta guardando un porno, non sa niente e per giunta ha già mangiato.
Comunque, i Pizza Express pullulano. A New York la pizza è un culto. A parte che costa 28 dollari e quindi non è per niente a buon mercato, ma alcuni la fanno buonissima (a me piace quella di Serafina). E in tempo di Covid, il delivery è a pioggia. Col problema però che il ragazzetto con le pizze, per la sicurezza, la deve lasciare giù dal portiere e va a finire che la si mangia fredda.
In Italia c’è la consegna furtiva, al volo, sul pianerottolo, come roba compromettente, esplosiva e pericolosa. Il ragazzo va giù per le scale a rotta di collo (o di pizze). Di solito l’idea della pizza viene accolta nelle case con giubilo, chissà perchè.
Si raccolgono le ordinazioni. E la faccenda è subito complicata perchè bei tempi quelli della Margherita, o della Napoli con l’acciughina. Adesso il compilatore dell’ordine consuma quattro fogli quando scattano ordinazioni tipo: “A me ai funghi, carciofini, wurstel, con la mozza di bufala, il prosciutto cotto, olive, capperi, senape, salame piccante e melanzane”. O (urlato da una stanza chiusa): “Per me senza pomodoro, senza origano, ma con basilico, quindi bianca, con peperoni verdi, Emmenthal, gorgonzola, noci, una selezione di salami e un po’ di maionesee un po’ di tabasco però a parte”.
Figuriamoci quando l’ordine viene letto al telefono a uno del Bangladesh. Di solito sono bravissimi, ma appunto c’è quel Manzalani famoso, dell’indirizzo sbagliato, cui, a volte, arrivano a casa oltre alle pizze anche degli spaghetti alle vongole, dei polli o delle stufe. Finita l’ordinazione e la scansione dell’indirizzo con uno spelling che dura un mese, si chiede: “Quando arrivano?”. La risposta, universale, codificata nel mondo è: “Appena possibile”.
Dove dentro ci sta tutto. Nel senso che l’orario è sempre buono, fino alle prime luci dell’alba. Poi c’è una costante fissa. Quando a un certo punto, passato un tempo oggettivamente troppo lungo, con delle fami che volano a due metri da terra, quello che ha ordinato richiama e chiede notizie, le risposte sono due, senza possibilità di errore: 1) “Guardi, è partito in questo momento”. 2) “Ma…come, dovrebbe già essere lì”. E in questo secondo caso ci si preoccupa che il ragazzo abbia addrizzato una curva, come si dice in gergo. E ci si immagina le pizze, o meglio, i cartoni di pizza, sparsi in terra, magari mentre piove, con una quattro stagioni che fa capolino, perchè uno si è aperto.
L’arrivo è di solito da schizzofrenia pura. Uno si avventa sui cartoni roventi con il terrore che le pizze si raffreddino, un altro prende il bere che è dentro a un sacchetto pericolosissimo perchè si apre, un altro paga e lì scatta un gioco di resti in cui se uno si incarta può rimanere lì fino all’alba. L’apertura dei cartoni è un gioco meraviglioso nel quale raramente si riconoscono le pizze e c’è sempre uno che dice, per statistica: “Scusate, chi ha ordinato la prosciutto e funghi?”. Risposta: “Nessuno”. Controrisposta del babbo: “Va beh dai, la mangio io”.
In alcune famiglie le pizze si dividono e si tagliano con le forbici (in un trionfo di pomodoro rovente) poi si mangia alla velocità del suono sui cartoni con forchetta e coltelli che ingaggiano incontri di wrestling con la pizza stessa, la quale, col passare dei minuti, diventa intagliabile. Finisce con i cartoni in cui restano i bordi, che nessuno di solito mangia, e che formano curiose composizioni pronte per il Moma. Sul capitolo digestione stendiamo un elegante silenzio. Che è meglio.