Giardini attraversati da sentieri che si biforcano e s’incrociano costellano l’arte dell’imprenditorialità. Un giardino si trova nella siciliana Piraino, borgo medievale nella provincia di Messina. Qui il Professor Giuseppe Gembillo, già cattedratico di storia e filosofia della complessità e della scienza presso l’ateneo messinese, ha disegnato un orto che è un evento in continuo divenire. Sulla collina, una finestra che si affaccia sul mare e guarda le Isole Eolie, l’orto riceve il soffio di Eolo, il dio dei venti, che reca in dono il fascino dei miti. Da Piracmone (da cui Piraiano trae il suo nome), il ciclope che lavorava il ferro, progettava i fulmini e costruiva mura, Gembillo ha appreso l’arte del saper fare che si accoppia con il saper pensare, immaginare e capire. I quattro saperi sono essenze del fiore della “conoscenza della conoscenza”, la conoscenza che riflette su se stessa. Edgar Morin, filosofo e sociologo della transdisciplinarietà, è il nome del fiore. Coltivato nell’orto, il fiore fa bella mostra di sé a Messina nel “Centro Studi Internazionale di Filosofia della Complessità Edgar Morin”, diretto da Gembillo.
Con i muscoli delle braccia resi più possenti dalla forza della mente, il figlio Fabio Gembillo, anch’egli studioso di filosofia, contribuisce alla cura dell’orto. Per i Gembillo, l’orto è un demone che dà ispirazione. Le loro parole esprimono la cura dell’orto con l’intelligibilità e l’intelligenza, cioè con la comprensione di come ottenerne i frutti nel susseguirsi delle stagioni e con la facoltà intellettiva indispensabile per assicurarne l’esistenza evitando di stressare la terra per ottenere maggiori benefici a breve termine. Nell’orto di Gembillo il carpe diem oraziano si riappropria del suo significato originario. Non si tratta di afferrare ciò che si può ottenere all’istante, essendo il tempo una risorsa scarsa. Né si vuole la felicità propria recando danno alla comunità. La metafora orticola recupera il significato profondo delle parole di Orazio: affondare il corpo e la mente nelle radici del tempo della natura. Un lungo e profondo respiro che gratifica tanto se stessi quanto gli altri.
La capacità intellettiva dei due ortolani permette alle piante di comunicare, di rintracciare complementarietà e circolarità tra i tanti antagonismi della varietà di specie presenti nell’orto. Insomma, di tenere unito ciò che è diviso, così scongiurando la barbarie della specializzazione che crea un rigido ordine artificioso. È l’intelligenza che rigenera incessantemente l’orto, lo tiene sveglio non facendolo cadere nel sonno e nei sogni della ragione che non ammette di essere messa in discussione.
Siamo abituati ad osservare la creazione d’impresa dall’angolo visuale dei razionalisti ortodossi dell’innovazione a fini imprenditoriali. A loro si devono incubatori, acceleratori, spazi di lavoro condivisi e altri artefatti di coabitazione delle imprese in gestazione. L’orto gembilliano è una potente visione di discontinuità. L’innovazione classica è assimilabile alla marmellata spalmata lungo i sentieri uniformi degli artefatti. Gli orti à-la Gembillo mostrano una varietà di chicchi d’uva da cogliere attraversando i sentieri eterogenei della transdisciplinarietà e complessità dell’innovazione. Se gli artefatti a servizio dell’innovazione imprenditoriale mettono al lavoro le competenze predefinite degli esperti di creazione d’impresa secondo canoni di comportamento generalmente riconosciuti, l’orto gembilliano è nel contempo un organismo vivente e una metafora dell’arte dell’imprenditorialità per condurre esperimenti di coltivazione di inedite specie imprenditoriali.
Verdure e frutta coltivate nell’orto di Gembillo si traducono in parole e voci dell’innovazione durante il festival della complessità che annualmente nel mese di agosto si svolge a Piraino nella casa del professore. Lì l’arte dell’imprenditorialità si sposa con l’arte della conversazione la cui cultura dell’immaginazione nell’incertezza che circonda l’esplorazione del nuovo è stata la scintilla dell’Illuminismo e della Rivoluzione Industriale.