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Joe Masseria, il sarto menfitano che divenne Boss a New York

Risolto il mistero sulle origini del mafioso Giuseppe Masseria, arrivato a New York agli inizi del '900

Alessandro RiolobyAlessandro Riolo
Joe Masseria, il sarto menfitano che divenne Boss a New York

Giuseppe "Joe"Masseria, nella foto segnaletica scattata dal New York Police Department

Time: 5 mins read
Giuseppe Masseria, meglio conosciuto come Joe the Boss, fu un emigrato siciliano che divenne il capo di una delle più potenti cosche mafiose di New York, quella che oggi viene usualmente definita la “famiglia” Genovese, ma che nel secolo di storia criminale del gruppo venne di volta in volta denominata mutuando i cognomi dei suoi capi più significativi. E quindi divenne anche Morello o Luciano, e nel decennio intercorso tra il predominio di questi ultimi, appunto, Masseria.
Questa costola di Cosa Nostra inizialmente gestiva le attività criminali nella parte meridionale di Manhattan. Joe Masseria ne divenne il capo attorno al 1922, e viene generalmente considerato il supremo capo della mafia newyorchese per il breve periodo che va da verso la fine degli anni venti del secolo scorso all’Aprile del 1931, quando venne assassinato nel corso del conflitto interno alla mafia di New York. Un conflitto passato alla storia come guerra castellamarese, dal nome della cittadina del trapanese da cui provenivano i principali oppositori, il cui centro di potere era invece a Brooklyn, dello strapotere di Joe Masseria.
Ma chi era Giuseppe Masseria prima di diventare Joe the Boss? A chi appartiene?  Le fonti sulla sua nascita sono discordanti, questo perché a quanto pare Joe stesso si riteneva e si sentiva marsalese, e probabilmente si dichiarava nato a Marsala, città dove era probabilmente cresciuto, ma in realtà come risulta dall’atto di nascita era nato a Menfi. La famiglia paterna era menfitana, e portò per buona parte del XIX secolo il cognome di Massaria, che venne italianizzato in Masseria soltanto verso la fine del secolo. Il nonno e lo zio paterno, il padre, i fratelli e Joe stesso erano sarti. La famiglia Massaria veniva da Palermo. Non a caso troviamo un Giuseppe Massaria, sarto palermitano, a Menfi verso la fine del XVIII secolo. Sposato con la menfitana Leonarda Sciamè, i genitori di questo Giuseppe tardo-settecentesco furono i palermitani Bernardo Massaria e Teresa Bella. Tra i figli di Giuseppe e Leonarda, il sarto menfitano Bernardo Massaria, nato attorno al 1817 e morto prima del 1873, sposò Rachela Mangiaracina, con la quale ebbe a Menfi almeno cinque figli, tra cui almeno due, Giuseppe classe 1846 e Calogero classe 1847, sarebbero emigrati negli Stati Uniti, entrambi dopo aver compiuto i quaranta anni.
Un lustro prima che aprisse i battenti Ellis Island, arrivò prima Calogero, che oltre oceano divenne Charles, e poi, una dozzina di anni dopo, Giuseppe, che a Manhattan divenne Joseph. Quasi un quarto di secolo prima di trasformarsi in Joseph, Giuseppe Massaria aveva sposato nel 1873 a Santa Margherita la diciottenne Vita Marceca, definita nell’atto di matrimonio di professione “industriosa”. Quel matrimonio legittimò il primogenito Bernardo, che era nato a Menfi due anni prima. Il padre della sposa, Salvatore Marceca, era uno scalpellino, residente a Marsala ma nato a Trapani, figlio del trapanese Ignazio Marceca, e probabilmente imparentato o discendente dal rinomato mastro marmoraro settecentesco trapanese Mercurio Marceca. Dopo il 1860 Salvatore e la moglie Caterina Bussetta emigrarono in Tunisia, dove nacquero alcuni degli zii materni del futuro Joe, zii che daranno vita ad un ramo francese dei Marceca. Come Vita sia finita quindicenne tra le braccia di un sarto menfitano rimarrà forse per sempre un mistero.
Una foto di Coney Island agli inizi del ‘900, dove Joe the Boss venne ucciso nel 1931 su ordine di Lucky Luciano
Oltre a Bernardo, che negli States sarebbe diventato Benny, la coppia ebbe almeno una dozzina di figli. I primi otto nacquero a Menfi, per ultimo Giuseppe nel 1886, mentre il successivo, Mercurio, che in America diventerà Micheal, nacque nel 1889 a Marsala. A Marsala probabilmente nasceranno anche i fratelli più piccoli di Joe, tra cui Ignazio, che passerà a miglior vita ancora bambino a soli 7 anni nel 1905 a New York, e l’ultimogenito John, il cui corpo, trucidato con un colpo al cuore, verrà nel 1937 gettato sotto le ruote di un’auto della polizia dagli assassini, che dopo essere sopravvissuti ad un inseguimento in auto di 3 chilometri ed ad un frontale con un pilastro, si allontaneranno tranquillamente in taxi come se nulla fosse.
Mentre non conosciamo i precisi motivi che spinsero il sarto Giuseppe e la moglie Vita a trasferirsi da Menfi a Marsala e poi ad emigrare da Marsala a New York, le date coincidono con un paio di episodi storici significativi.
Tra il 1886 ed il 1888 si consumò per l’agricoltura siciliana una tragedia di dimensioni immani: la guerra commerciale tra il governo italiano e quello francese. I Massaria, piuttosto che emigrare in Nordafrica, si trasferirono a Marsala, probabilmente in qualche “chianu” (contrada) a sud della stessa. I siciliani nel frattempo stavano scoprendo l’America. Il primo a partire deve essere stato lo zio Calogero, segnato dalle tragedie familiari della morte della moglie ad appena 25 anni, ed un decennio dopo del figlio primogenito a soli 13 anni. Calogero nel dicembre del 1887 arriva a New York, e ci rimane. Lo raggiunge nel 1890 la figlia Leonarda, la cugina di Joe, che è possibile, anche se improbabile, sia partita addirittura da sola, diciassettenne.
Il sarto Giuseppe ed i suoi figli emigrarono dal 1898 al 1905. E qui c’è la seconda significativa coincidenza storica: nel 1898 si abbatté su Marsala l’apocalisse della filossera. L’impatto dovette essere terrificante. I Massaria, che, come tanti altri siciliani, a quel punto dovevano essere diventati poverissimi, tracimarono a Ellis Island a uno a uno, a due a due, probabilmente racimolavano in qualche modo i soldi per il biglietto, magari grazie alle rimesse di chi aveva già raggiunto l’America, ed imbarcavano il prossimo familiare nella lista. Alcuni viaggiarono probabilmente in quello che i Siciliani chiamavano “stiraggiu”, dall’Inglese steerage, un enorme stanzone ricavato nel ponte più basso dei transatlantici a vapore, dove si viaggiava per settimane in condizioni disumane. Il turno di Joe dovette arrivare tra il 1900 e il 1901, a 14 o 15 anni. I Massaria generalmente passarono tutti o quasi da quello che allora era il peggiore quartiere di New York: Little Italy. Vanno ad abitare a Elizabeth Street o a Forsyth Street, ed, almeno inizialmente, lavorano come sarti.
Un’infografica che mostra tutti gli spostamenti di “Joe” Masseria
Il fratello più grande, Benny, emigrato nel 1902 con la moglie Caterina, una Marceca marsalese anche lei, ed un figlio infante, si sarebbe presto diretto verso Brooklyn. Mentre altri fratelli prendono la strada per Cleveland, Ohio, ma Joe rimase a Manhattan. La sorella Caterina ha sposato nel 1902 Alfredo, Fred Ferraro, i due gestiscono un saloon in Forsyth Street, e, quando non è in prigione per qualche furto, Joe lavora dietro al banco, fa il barista. Sposa Maria Guarino, Mary, e tra il 1909 ed il 1927 metteranno al mondo almeno sei figli. Entrato in qualche modo nell’orbita della cosca Morello, la sua piccola banda di ultimi sbarcati, letteralmente, si deve accontentare delle strade attorno al quartiere generale della polizia di New York, probabilmente l’ultimo disponibile e meno desiderabile brandello di territorio per la criminalità locale.
Ed è proprio sotto il naso del gotha della polizia newyorchese, che lo trova l’approvazione del diciottesimo emendamento. Ed è proprio qui che il figlio del sarto e della ragazzina industriosa, Joe, il poverissimo topo di appartamenti che sbarcava il lunario come barista, ha il colpo di genio criminale e di fortuna che lo trasformerà in pochi anni in uno spietato e temuto padrino, in quel personaggio poi interpretato tra gli altri da Ivo Nandi in Boardwalk Empire o da Antony Quinn ne L’impero del crimine: creare un mercato nero per gli alcolici nelle strade attorno al quartiere generale della polizia.
Ma questa è un’altra storia, che altri hanno già raccontato.
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Alessandro Riolo

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