
Da 23 anni passo la maggior parte dell’estate nel giardino dell’Eden, con una quarantina di ventenni da tutto il mondo. Io invecchio e loro hanno sempre 20 anni e sono sempre belli, magri e con gli occhi pieni di stupore e meraviglia. Per sei settimane, infatti, io, una mezza dozzina di colleghi e un gruppo di studenti della New York University e di altri atenei ci trasferiamo a Firenze, a La Pietra, una tenuta che comprende uliveti, giardini formali e cinque ville, una delle quali quattrocentesca, ospita una rispettabile collezione d’arte. Si tratta del dono più grande e prezioso mai ricevuto da un’università americana. Il munifico donatore è stato sir Harold Acton scrittore e storico di famiglia angloamericana, nato e cresciuto a Firenze.
Durante l’anno accademico fra 300 e i 400 studenti gravitano attorno a La Pietra, mentre durante l’estate, ho il privilegio di guidare un gruppo assai più ristretto e di tornare a fare il maestro a tempo pieno che è la mia vera vocazione. Con i miei studenti non faccio solo lezione, condividiamo pasti, escursioni, scoperte, avventure e attraverso i loro occhi scopro ogni volta l’Italia e le mille sfaccettature della sua cultura.

Cosa cercano questi studenti americani, che poi sono americani solo di adozione perché studiano negli USA, ma in realtà vengono da molti altri paesi: dall’India alla Russia, dalle Mauritius alla Cina? La risposta breve è che vengono a cercare la Grande Bellezza, per citare il film di Sorrentino, premio Oscar tre anni fa. La bellezza monumentale, solenne e, forse, stereotipica del nostro paese racchiusa nella turistica trinità Roma-Firenze-Venezia, al di fuori della quale raramente gli americani si avventurano (soprattutto alla prima visita nel bel Paese). Cercano la grande bellezza del David di Michelangelo, della Cupola del Duomo di Brunelleschi, della Primavera di Botticelli, del Colonnato di Bernini e della Cappella Sistina, del Canal Grande e di Piazza San Marco. La bellezza grande e decaduta del Colosseo e del Foro, che parla soprattutto agli studenti che hanno studiato il latino e conoscono la civiltà di Roma Antica.

Nel corso di queste settimane vedo evolvere il gusto e le esigenze culturali dei miei ragazzi. Il David, dopo tutto, l’hanno visto riprodotto in migliaia di orrende statuette-ricordo di diverse misure e stampato su grembiuli e mutande, il Grand Canal (come lo chiamano loro) è da anni banalizzato dalla sua copia nel Bellagio di Las Vegas, gondole comprese; e il colonnato del Bernini appare così spesso in TV per le cronache papali che sembra loro di averlo già visto.
Ed ecco che, inevitabilmente, il loro occhio comincia a vagare e a esplorare fuori dal sentiero battuto dai milioni di viaggiatori americani che li hanno preceduti. Comincia la ricerca della piccola bellezza. E la chiamo piccola non perché è meno bella o importante dell’altra che ho appena cercato di definire, ma perché è più nascosta, meno evidente, più imprevista. È la bellezza delle città piccole e medie come Sabbioneta, Mantova, Parma, che i miei ragazzi non hanno mai sentito nominare prima della nostra visita, in cui scoprono gli affreschi di Mantegna e Parmigianino, le architetture di Scamozzi, Alberti e Antelami, ma scoprono soprattutto la piccola quotidiana bellezza di uno stile di vita diverso da quello a cui sono abituati sia negli USA che nella Firenze, ormai snaturata da una permanente e spropositata massa turistica.

Scoprono la bellezza della gente in bicicletta che si saluta per strada, del fornaio che conosce per nome i suoi clienti, di una cucina che cambia radicalmente a distanza di pochi chilometri e che usa ingredienti stagionali e ricette più antiche del loro paese, scoprono che il vino non è un intruglio fatto per ubriacarsi, ma un nettare che esalta i sapori delle vivande e che va assaporato e non trangugiato. Scoprono che il campanilismo (parola non traducibile in inglese) non è solo la conseguenza negativa della frammentazione politica del nostro paese, ma anche il sano orgoglio di appartenere a una comunità che si conosce e si ama.