Il suo motto è: “Make simple healthy choices”. Fate delle scelte semplici e salutari. Parliamo chiaramente di alimentazione e nutrizione, che per Antonella Ricco, private chef a New York e nutrizionista, fanno il paio con sostenibilità, qualità e consapevolezza. Da oltre vent’anni sta ai fornelli ma anche sui libri, diventando successivamente anche esperta in sustainable cooking. All’Institute for Integrative Nutrition di New York, ha ricevuto il suo training in Professional Holistic Health Coaching, mentre in Italia si è certificata in Culinary Nutrition presso l’AJN Academy, unica in Europa.

Pugliese di origine, arriva a New York nel 2010 con la Puglia nel cuore. Alla sua regione dedica pietanze e attività di promozione in veste di vice presidente di I Like Puglia International e come chef di riferimento della Camera di Commercio del Texas. Nella Grande Mela ha fondato Cookita NYC, un’organizzazione non profit creata per promuovere il cibo di qualità legato agli aspetti salutari. A casa cucina tanta verdura, cereali e pasta integrali, pesce, molluschi e crostacei “rigorosamente wild”, dice lei. Ma anche focaccia, panzerotti, pane e pasta fresca. Tradizione e gourmet, con l’obiettivo di educare e rendere consapevoli alla buona cucina.
Come si combatte l’Italiansounding? Solo con la piena consapevolezza del consumatore finale delle differenze sostanziali tra prodotti fake e quelli italiani autentici. Suggerisce sempre di sperimentare e provare nuove cucine e di non perdersi a New York quattro piatti indispensabili: rib eye steak, il mitico brunch domenicale con eggs Benedict, waffle e mix berries pancake e il banana bread!
Non sei semplicemente una chef, ma ti occupi anche di sustainable and healthy cooking. Puoi parlarci del tuo approccio alla cucina?
“L’approccio alla mia cucina si basa sul semplice concetto di considerare un tutt’uno l’alimentazione e la salute. Quando preparo un mio piatto, non mi concentro esclusivamente sulla qualità e il gusto, ma guardo anche alla sue caratteristiche nutrizionali e di sostenibilità, a partire dalla scelta delle materie prime per finire con i processi di trasformazione, di conservazione dell’alimento e di riciclo degli scarti della trasformazione. Per fare questo, ho arricchito negli anni le mie competenze ed esperienze di chef con studi specialistici legati alla nutrizione e all’healthy coaching, dando così vita ad una figura professionale unica nel suo genere, che unisce in chiave olistica l’aspetto culinario e la nutrizione. Oggi, oltre ad essere un private chef, sono anche un certified culinary nutrition expert e un board certified holistic health coach. Da qualche anno mi dedico, inoltre, a insegnare a cucinare a chi ha problemi di restrizioni dietetiche legati a intolleranze, allergie, sensibilià al glutine e alla celiachia”.
Qual è la cucina che porti avanti? A cosa si ispira e quali sono gli obiettivi?
“La mia è prevalentemente una cucina italiana rivisitata in chiave healthy, ovvero la scienza della nutrizione applicata alla cucina. Gli obiettivi principali sono due: quello di costruire piatti che contribuiscono sempre a prevenire e rallentare il processo legato all’invecchiamento cellulare del nostro corpo; quello di preparare piatti gustosi, nutrienti e salutari legati alla tradizione italiana e alla dieta mediterranea. La salute non deve andare mai a discapito del gusto e viceversa. Nessuna formula magica o alchimia segreta, ma semplicemente l’applicazione di regole e di tecniche della nutrizione alle classiche ricette della nonna. Nella mia cucina anche il particolare più insignificante fa la differenza, così come la fa la maniera di costruire interi menù, ovvero quella di trattare, cucinare, dosare e abbinare ogni singolo ingrediente”.
Oggi in America la cucina italiana è la più popolare. In che cosa è diversa la cucina italiana di oggi rispetto a quella di 50 anni fa? Come e perché è cambiata la ristorazione secondo te?
“La cucina da sempre è legata alla tradizione e alla cultura dei popoli e con essa si evolve e si adegua ai tempi e alle esigenze della varie civiltà che si susseguono. Anche la cucina italiana non è immune da questa dinamica evolutiva. Essa si è diffusa in America con lo sviluppo delle varie comunità di migranti italiani. Si è quindi trasformata ed evoluta di pari passo con il processo di integrazione della comunità negli Stati Uniti. Se 50 anni fa la nostra cucina in America era prevalentemente quella derivata dalle tradizioni di famiglia rivisitate con ingredienti reperiti in loco e la maggior parte della ristorazione italiana era a gestione familiare e rivolta a una clientela di soli italo-americani, oggi la cucina italiana è un fenomeno di massa, e la ristorazione un’attività imprenditoriale di tipo aziendale che richiede grandi investimenti e diverse professionalità”.
A cosa, secondo te, è dovuta la popolarità della nostra cucina?
“Innanzitutto va detto che viviamo oggi in una società globalizzata e tecnologicamente connessa dove comunicazioni, informazioni e prodotti mediatici non conoscono più barriere temporali, linguistiche e geografiche. Questo ha favorito la diffusione a livello esponenziale di format e trasmissioni televisive legate al cibo e alla nostra cucina in particolare, ampliandone la popolarità a livello globale. A questo si aggiunge il grande lavoro che svolgono tutti gli operatori del settore food&wine, sia in Italia che all’estero, alla grande qualità e unicità del prodotto italiano, alla maestria dei nostri bravissimi chef riconosciuti in tutto il mondo, e a tutti coloro che lavorano dietro le quinte per far conoscere e promuovere sempre di più il made in Italy”.
Com’è cambiato nel tempo l’approccio degli americani nei confronti del cibo italiano? Oggi sono più consapevoli?
“L’approccio degli americani che vivono nelle grandi città è sicuramente cambiato rispetto agli anni passati. Esiste una maggiore consapevolezza della qualità del prodotto italiano anche grazie al fatto che l’offerta dei nostri prodotti autentici reperibili sul territorio è aumentata notevolmente, merito dell’egregio lavoro dei nostri importatori e distributori. Conseguentemente è aumentata anche l’offerta da parte della ristorazione italiana con l’apertura di locali di ultima generazione in grado di presentare interessanti formule artigianali enogastronomiche che incontrano un gusto più evoluto rispetto a quello del passato. Altro discorso è per l’americano medio che vive lontano dalle contaminazioni culturali delle grandi città e che ha pochissime opportunità di approcciarsi alla cucina autentica italiana anche per mancanza oggettiva di materia prima e di servizi. In quel caso il fenomeno di risonanza mediatica di cui sopra funziona maggiormente per l’Italian sounding che per il made in Italy”.
Cosa fare per promuovere l’artigianalità dei nostri prodotti e della nostra cucina e combattere l’Italian sounding?
“È principalmente un problema culturale, prima che commerciale, e perciò la parola chiave deve essere ‘educare’. Solo con la piena consapevolezza del consumatore finale delle differenze sostanziali tra prodotti fake e quelli italiani autentici si potrà combattere l’Italian sounding. Ma per convincere il compratore americano medio (abituato oggi a scegliere solo in base al prezzo) bisogna educare tutti gli attori che partecipano alla catena del valore del prodotto made in Italy a partire dai produttori in Italia e dagli importatori negli USA, fino ai distributori e agli acquirenti. A tale proposito, va ricordato che da circa un anno il governo italiano ha promosso la campagna internazionale The Extraordinary Italian Taste, co-finanziata dal Ministero dello Sviluppo Economico e dal Ministero dell’Agricoltura proprio con l’obiettivo di promuovere l’autentico food&wine italiano negli Stati Uniti e nel mondo e di difenderlo dalle numerose contraffazioni presenti sul mercato internazionale. A questa campagna hanno anche aderito le agenzie dell’Istituto Commercio Estero e le Camere di Commercio con iniziative di internazionalizzazione e di promozione a cui hanno partecipato anche chef Italiani. Tra queste, le iniziative della Italy-America Chamber of Commerce of Texas, di cui sono lo chef di riferimento e il taste of Italy ambassador“.
Sei anche vice presidente di I Like Puglia International. La tua regione, la Puglia, ha fatto molto in questi anni per promuovere il turismo e il cibo. Quali sono i punti di forza di questa operazione?
“I Likepuglia International è una piattaforma culturale multimediale accreditata ufficialmente dalla Regione Puglia quale Associazione di Pugliesi nel Mondo. Nasce dall’unione e dalla forza di due donne pugliesi: la sottoscritta, di base a New York, e il presidente Annamaria Ferretti, direttrice della testata regionale ILikePuglia, di base a Bari. L’intento è quello di facilitare e promuovere scambi culturali e le eccellenze tra la mia regione e l’America. Un bridge virtuale finalizzato alla valorizzazione dei giovani emigrati pugliesi, con un occhio particolare alle donne, ma anche un’occasione per gli americani di conoscere una regione unica come la Puglia, in grado di offrire tante opportunità in campo turistico, enogastronomico, artistico-culturale e imprenditoriale”.
Pensi che gli americani siano consapevoli della regionalità culinaria italiana, delle varie differenze regionali in cucina?
“Parlare di consapevolezza e delle differenze della regionalità culinaria italiana mi sembra ancora molto prematuro. Esperienze come quelle di Eataly hanno avviato un primo processo di promozione dei prodotti e delle cucine regionali, ma siamo davvero molto lontani da una reale consapevolezza dell’americano medio”.
Come private chef cosa cucini? Quali sono i piatti che ami cucinare e che gli altri amano?

“Cucina tipica regionale italiana. Abbraccio tutte le regioni, ma mantengo sempre un occhio particolare alla mia Puglia. Seguo anche la cucina spagnola, quella greca e una fusion con la cucina giapponese. I miei ospiti amano soprattutto piatti e ricette del sud Italia”.
Come gourmet, dove ti piace mangiare a New York?
“È una domanda che mi rivolgono in tanti a cui non rispondo mai indicando luoghi e nomi. New York ha tante realtà culinarie davvero interessanti e nominarne alcune sarebbe riduttivo e discriminatorio per le altre. Suggerisco sempre di scoprire posti nuovi e di sperimentare nuove cucine. Se poi volete davvero sapere dove mi piace mangiare di più a New York, il posto migliore è a casa mia”.
Cosa ti manca della tua Puglia?
“I colori, i profumi, le passeggiate al mare, la mia famiglia d’origine, il mio nipotino e gli amici più cari”.
La top 3 dei piatti autenticamente newyorchesi imperdibili da provare almeno una volta nella vita.
“Sicuramente la rib eye steak, il mitico brunch domenicale con eggs Benedict, waffle e mix berries pancake e il banana bread!”.
Cosa cucina Antonella a casa?
“Tanta verdura, cereali e pasta integrali, pesce, molluschi e crostacei rigorosamente wild. Focaccia, panzerotti, pane e pasta fresca fatti da me, quando la voglia d’Italia si fa sentire. Preparo abbondanti colazioni e cene da gourmet”.
Pensi che gli americani stiano imparando a mangiar meglio?
“Magari dopo aver letto questo articolo”.