Durante il briefing al Consiglio di Sicurezza dell’ONU di martedì scorso, il messaggio dell’inviato delle Nazioni Unite in Libia Martin Kobler è stato chiaro: Nonostante i progressi militari raggiunti, nel paese permane una situazione di stallo e “molto resta ancora da fare”.
Un’esortazione, quella di Kobler, che giunge a pochi giorni dal primo anniversario del Libyan Political Agreement, che ha portato alla formazione di un governo di unità nazionale, proprio nelle ore in cui le milizie filogovernative di Misurata liberavano finalmente la città di Sirte dall’occupazione dell’ISIS, dopo mesi di durissimi combattimenti e il determinante aiuto dell’aviazione americana.
Mentre la popolazione festeggiava la fine di un incubo durato mesi, le parole di Kobler, che ha messo in luce le inefficienze e le difficoltà politiche a cui è sottoposto il governo di unità nazionale sono quantomai realiste.
“Fino a oggi, anche i più ostinati oppositori del Lybian Political Agreement riconoscono che si tratta dell’unica cornice politica possibile” ha detto, aggiungendo però che “l’accordo non ha soddisfatto le aspettative”.
I fattori che hanno portato allo stallo, secondo l’inviato ONU, sono sotto gli occhi di tutti, e vanno dall’estrema debolezza del governo di Tripoli (al quale di fatto l’Assemblea Nazionale ha negato qualsiasi potere) alla mancata cooperazione tra le nuove istituzioni locali, dal pesantissimo deficit economico (pari al 70% del PIL nonostante l’incremento nella produzione di petrolio) fino alle gravi condizioni di sicurezza nel territorio.
D’altronde, nonostante gli sforzi della comunità internazionale, la Libia resta un paese spaccato, assediato da una miriade di gruppi armati (islamisti o presunti tali), nel quale imperversano signori della guerra, milizie o semplici banditi, i quali di fatto controllano vastissime parti del paese.
Non bastasse, in Libia si gioca anche un’importante partita geopolitica: il recente coinvolgimento russo a sostegno di Haftar, leader militare del governo filoegiziano insediato a est del paese, non fa che complicare le cose. La scorsa settimana il generale ha incontrato a Mosca il ministro degli esteri russo Lavrov, ma dietro i proclami, formalmente diretti a dare un contributo alla stabilizzazione politica si cela il braccio di ferro tra la Russia e le potenze occidentali, che appoggiano due governi diversi.
Resta da chiedersi, a poche ore dall’imminente nomina del nuovo Segretario di Stato americano, come voglia sbrogliare la faccenda nei prossimi mesi Trump (il quale riceverà i pieni poteri solo a fine gennaio). Il Nord-Africa potrebbe essere, infatti, il banco di prova del tanto auspicato riavvicinamento tra Washington e Mosca. O almeno così sperano i più ottimisti.
Per ora, è chiaro come l’instabilità seguita all’intervento militare del 2011 non sia mai terminata, e l’equilibrio rimane quantomai precario. Nonostante i successi militari come quello di Sirte.
Nel suo discorso, nel quale ha messo anche in guardia rispetto alla proliferazione delle armi chiedendo un inasprimento dell’attuale embargo, Kobler si è anche dimostrato aperto a eventuali modifiche del Lybian Political Agreement, sulla base delle mutevoli circostanze che dovessero manifestarsi in futuro: “Non è scritto sulla pietra” ha affermato.
Infine, l’inviato ONU ha messo in luce le prossime tappe, chiedendo un’implementazione delle condizioni di sicurezza, un’attenzione maggiore alla ripresa economica e al rispetto dei diritti umani, e un prossimo ritorno della Missione di Supporto delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL).
Con l’obiettivo ultimo di spingere il paese verso un futuro politico più chiaro.
E terminare lo stallo, che ormai da quattro anni sta consumando la Libia.
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