Spira aria di crisi all’Aja. Dopo che il mese scorso Sud Africa, Burundi e Gambia hanno notificato al Segretario Generale dell’ONU la loro intenzione di abbandonare la Corte Penale Internazionale (con effetto a un anno dalla notifica), mercoledì anche la Russia, per bocca del proprio ministro degli esteri, ha dichiarato di non voler fare più parte dello Statuto di Roma, con un atto che suona come uno smacco alla credibilità dell’istituzione.
A differenza dei tre stati africani, Mosca (così come Washington) non è tra i paesi membri della Corte, pur avendo firmato nel 2000 (ma mai ratificato) il trattato che la istituiva. È proprio questa firma a essere ora ritirata, con un atto simbolico di protesta contro la recente posizione espressa dall’Aja riguardo al conflitto ucraino.
Nel dettaglio, i russi hanno reagito al report annuale reso noto lunedì dal Procuratore capo della Corte Fatou Bensouda, la quale per la prima volta ha equiparato ufficialmente quella situazione a una guerra tra Russia e Ucraina. “Le informazioni a nostra disposizione suggeriscono che la situazione nel territorio della Crimea e di Sebastopoli coincide con un conflitto armato internazionale tra l’Ucraina e la Federazione russa”, recita testualmente il documento, che continua definendo esplicitamente come “occupazione in corso” l’annessione della Crimea da parte di Mosca.
Una interpretazione che cozza con la retorica confezionata in questi anni dal governo russo, il quale afferma di non avere truppe sul terreno, insistendo sulla validità del referendum con cui nel 2014 i cittadini della Crimea hanno deciso “volontariamente” di unirsi alla Russia. Una versione respinta da quasi tutti gli stati dell’Occidente.
Non si tratta però solo di una questione formale dietro alla voce grossa di Vladimir Putin. Stando ai dati di Amnesty International, le vittime registrate nell’est Ucraina dal 2014 sarebbero ben 9000. Non bastasse, tra gli eventi sui quali negli ultimi tempi sta indagando la Corte ci sarebbe l’abbattimento dell’aereo della Malaysia Airlines sui cieli ucraini da parte di un missile di fabbricazione russa nelle mani dei ribelli.
Insomma, il tempismo di Mosca è stato perfetto, e ha sconvolto un quadro già problematico per la Corte, che oltre alle defezioni citate all’inizio registra in questi mesi le incertezze di altri 3 stati africani (Uganda, Kenya e Namibia), che stanno considerando anche loro lo scenario di un’imminente abbandono.
In quest’ottica, il discorso pronunciato mercoledì davanti all’Assemblea degli Stati Parte della Corte dall’Alto Commissario dell’ONU per i diritti umani Zeid Ra’ad Al Hussein suona come un disperato appello a non abbandonare la nave.
Chiamando in causa l’intera comunità internazionale a “proteggere collettivamente l’istituzione” e riaffermando la sua insostituibilità per la difesa della giustizia nel mondo, Zeid ha usato parole dirette e inequivocabili: “Non tradite le vittime, né il vostro popolo. Restate accanto allo Statuto di Roma e alla Corte” ha affermato, aggiungendo poi come “In un mondo che sembra sempre più alla deriva, le turbolenze che l’umanità affronterà in futuro potrebbero essere di gran lunga maggiori rispetto a qualsiasi sfida che abbiamo già sperimentato […] possiamo salvaguardare le nostre società non tradendo i principi di giustizia che stanno alla base di questa istituzione”, ha aggiunto.
Riferendosi direttamente ai recenti abbandoni il Commissario non è andato per il sottile, puntando il dito contro i secondi fini dei governi che li hanno promossi: “Non siamo convinti che la loro posizione sia basata interamente su questioni di principio. Al contrario, sembra che siano diretti più a proteggere i loro leader da eventuali azioni penali”, ha detto, aggiungendo come il ritiro dal trattato di Roma sia pensato dai leader in questione come una sorta di scudo dell’immunità, pagato però al prezzo di “privare i loro popoli della protezione di un’istituzione unica e essenziale”.
Ovviamente, è arrivato infine un monito agli Stati Parte dell’Assemblea a non indietreggiare rispetto all’articolo 27 dello Statuto di Roma, che sancisce il principio della cosiddetta “irrilevanza della qualifica ufficiale”. In altri termini, Zeid ha chiarito come “nessuna accusa dovrebbe essere sottovalutata in conseguenza della minaccia di abbandonare la Corte, e nessun emendamento toccherà gli articoli fondamentali dello Statuto. Il principio dell’irrilevanza della qualifica è al vertice, è un pezzo essenziale della Corte stessa”.