Rana Najib è una giovane donna siriana, oggi coordinatrice delle attività educative di AVSI–UNICEF in Libano. Nelle sale dell’ONU abbiamo parlato con lei e Maria Laura Conte, direttrice della comunicazione, che ci hanno spiegato senza mezzi termini come è realmente la situazione dei profughi nel sud del libano, i problemi che riscontrano ogni giorno, le speranze e le paure che li tormentano.

AVSI è un’organizzazione italiana non governativa che dal 1972 è impegnata con 107 progetti di cooperazione allo sviluppo in 30 paesi del mondo tra cui Africa, America Latina e Caraibi, Est Europa, Asia e Medio Oriente. “Le attività dell’organizzazione sono tante – afferma Conte – ma nell’ultimo periodo la questione dei migranti sta drenando molte energie”. La filosofia sulla quale AVSI fonda il suo operato crede che la questione dei migranti vada risolta tenendo conto di tutto il percorso compiuto dai profughi, a partire dal momento in cui lasciano la patria, passando per i paesi di transito fino al raggiungimento della meta finale. “Un approccio realistico al problema delle migrazioni deve seguire questo percorso, il problema è complesso ed è necessario seguire la loro strada” ci ha detto Conte. Per fare questo l’associazione opera su varie attività, molte delle quali mirate ad incentivare la permanenza delle persone nella terra d’origine tramite progetti di sviluppo, lavoro ed educazione. Quando ciò non è possibile, diventa fondamentale supportarli e favorirne l’integrazione. Rana Najib si occupa proprio di questo, curando i progetti educativi in Libano. Il paese è di certo una regione fondamentale nel panorama dei flussi migratori dell’ultimo periodo e a causa della sua collocazione geografica, che lo rende confinante con Siria e Israele, accoglie migliaia di rifugiati con ideologie e visioni politiche differenti che si ritrovano a dover convivere.
Rana ci ha raccontato la sua storia: “Mi trovavo in Siria con la mia famiglia quando è scoppiata la guerra, nel 2012, e stavo lavorando con un programma dell’Unione Europea per lo Sviluppo. Dopo due mesi il programma è stato fermato perché era sovvenzionato dal governo siriano. Inizialmente mi sono spostata in Germania dove ho studiato per un master, ma poi ho deciso di tornare a Damasco per stare vicina alla mia famiglia in quel periodo buio. In Siria il mercato del lavoro non offriva possibilità, per questo ho iniziato ad interessarmi al Libano e sono entrata in contatto con AVSI”. Essendo residente di Damasco, Najib non può essere considerata una rifugiata dato che nella città la situazione non era critica come in altre parti del paese e, quindi, non è stata forzata a lasciare la sua patria (ma neanche, certamente, a tornarvi).
A partire da quel momento Rana Najib collabora con AVSI per aiutare i rifugiati che arrivano nel paese. “Al momento in Libano ci sono più di 377.000 bambini che non hanno accesso all’educazione” ci ha detto. AVSI fornisce un servizio di post-scuola che permette ai ragazzi di fermarsi nelle strutture scolastiche anche dopo l’orario di fine delle lezioni con lo scopo di promuovere nel miglior modo possibile lo sfruttamento dei servizi educativi. Un altro importante programma di cui si occupa Najib consiste nell’informare le famiglie del fatto che assicurare un’istruzione ai propri figli è possibile e, anzi, doveroso. Le famiglie (sia locali che rifugiate) vengono contattate individualmente e invitate a mandare i figli a scuola perché il processo è molto più semplice di come spesso si crede. “Ci sono molte preoccupazioni, ma il messaggio che stiamo cercando di diffondere è come sia realmente sufficiente entrare in classe e sedersi” ci ha spiegato Najib. Le scuole e i progetti attivati da AVSI sono infatti aperti a tutti, senza alcuna discriminazione per quanto riguarda nazionalità, provenienza o orientamento politico o religioso. Nessun documento viene richiesto, nessuna carta. Dopo un certo periodo di tempo si tenta di ricontattare le famiglie per assicurarsi che effettivamente i bambini siano stati iscritti a scuola, ma a volte non si riesce a termine il processo perché la famiglia si è spostata senza dare alcuna comunicazione o ha lasciato il paese, magari sperando di raggiungere l’Europa (spesso tramite la Turchia). Najib ha affermato che le condizioni di vita in Libano sono estremamente difficili, il paese è molto caro e i rifugiati siriani non hanno possibilità di lavorare legalmente.

Neanche le ONG hanno vita facile, tanto a livello pratico quanto burocratico. Abbiamo domandato alla rappresentante di AVSI come sono le relazioni tra l’associazione e il governo libanese, che si trova oggi in una situazione estremamente delicata. “Il numero di bambini che si presentano ogni giorno nel paese è estremamente alto e il governo sta cercando di gestire la situazione. I nostri rapporti con le autorità avvengono tramite l’UNICEF, con il quale collaboriamo in Libano dal 2013. Il nostro lavoro si allinea ai parametri educativi del paese” ha affermato Najiib, specificando poi che la cooperazione con l’UNICEF avviene tramite decisioni condivise riguardanti l’area e il target dell’operazione, in seguito AVSI proporrà all’organizzazione una bozza di progetto che deve essere approvata e, una volta entrata in attività, monitorata da unità di valutazione delle Nazioni Unite.
La maggioranza dei rifugiati che giungono in Libano scappano dal governo siriano. Abbiamo chiesto a Najib, originaria di Damasco e quindi sotto la protezione del governo siriano, come riesca a gestire le relazioni con i rifugiati, quasi sempre in fuga dal regime di Assad. “Prima che scoppiasse la guerra mi interessavo di politica, ma da quando mi sono trasferita in Libano non mi interessa. Era difficile vedere il mio popolo in questa situazione, volevo soltanto trovare qualcosa di pratico da fare per aiutare tutte quelle persone. Credo che sia chiaro, per i profughi, che non mi trovo lì in rappresentanza di un qualche partito o per sostenere un’opinione politica, ma solo per aiutare”. La giovane siriana ha proseguito affermando che non ha mai riscontrato particolari problemi nel passare la frontiera per spostarsi dai campi in cui lavora in Libano a Damasco, simbolo di tutto ciò da cui i profughi fuggono, affermando con tono tranquillo: “AVSI è un’organizzazione umanitaria, al governo non importa chi aiutiamo. Spesso passo la frontiera tra Libano e Siria da sola con la mia auto, mostrando i dovuti documenti, senza alcuna pressione”. Non sempre, però, la situazione è così pacifica ha specificato Maria Laura Conte di AVSI, citando 8 casi di attacchi suicidi recentemente registrati in un solo giorno nella regione di Bekaa, nei pressi del confine con la Siria, che hanno costretto il personale umanitario a rimanere a casa e perdere la giornata di lavoro. “Il nostro staff è un obiettivo delle organizzazioni terroristiche. Nei piccoli villaggi in cui vivono 5.000 libanesi e 30.000 rifugiati siriani, la detenzione è ormai divenuta una realtà quotidiana”.
Anche tra i rifugiati la situazione può farsi molto tesa a causa dei diversi orientamenti politici o religiosi a cui le famiglie possono appartenere. Questo ha una ripercussione diretta anche sui programmi educativi gestiti da Rana Najib poiché le famiglie si dimostrane restie a mandare i propri figli a scuola per paura che lì possano entrare in contatto con ideologie differenti e considerate sbagliate all’interno dell’ambiente domestico. “Una volta — racconta la responsabile — non siamo riusciti ad avere l’autorizzazione per attivare il programma di post-scuola perché i contrasti tra libanesi e siriani erano talmente forti durante la mattinata che il Preside non ha voluto portare avanti la convivenza anche nel pomeriggio”.

La situazione attuale in Libano non può durare a lungo e la maggior parte della popolazione, se ne avesse la possibilità, lascerebbe il paese. Conte ha definito il clima che si respira nel paese come una “bomba a orologeria”, citando le parole di analisti libanesi. È anche per questo che AVSI ha all’attivo progetti mirati a promuovere la permanenza delle persone nel loro paese d’origine, basandosi sull’idea che, quando la pace arriverà, nessuno avrà il desiderio di tornare e ricostruire il paese.
Un altro progetto molto importante che AVSI ha attivato in Libano è chiamato Cash for Work (soldi per lavoro) e consiste nel permettere ai rifugiati di guadagnarsi onestamente il denaro con il quale mantenere le proprie famiglie. “Le persone ricevono dei fondi da organizzazioni quali UNHCR ma questo non rispetta la loro dignità di esseri umani, le persone hanno bisogno di lavorare” afferma Conte. Il programma Cash for Work mira proprio a questo e si avvale di una serie di collaborazioni con le comunità locali in modo da permettere, tra l’altro, l’inserimento dei siriani nel paese. “Assicurare la possibilità di lavorare all’estero è un problema in tutto il mondo, ma è anche l’inizio della soluzione” ha aggiunto.
Quando abbiamo domandato a Najib cosa le associazioni internazionali come l’ONU dovrebbero realmente fare per migliorare la situazione nelle zone più critiche la giovane siriana ha risposto: “I grandi poteri dovrebbero fare tutto il possibile per fermare la guerra così che queste persone possano tornare alla vita normale che conducevano prima dello scoppio dei conflitti. I rifugiati hanno perso la speranza, non vedono alcuna soluzione per ciò che sta succedendo e la situazione negli ultimi sei anni non ha fatto altro che peggiorare, purtroppo”.
Ci troviamo oggi a dover affrontare il più grande flusso migratorio del nostro tempo. Le associazioni come AVSI cercano ogni giorno di fornire una risposta concreta, sul campo, i loro collaboratori entrano in contatto con le persone e mettono in pericolo la loro vita per cercare di migliorare quella degli altri.
L’associazione AVSI accetta richieste per collaborazioni, sia volontarie che retribuite. Le domande si possono inviare anche tramite il servizio civile o la rete di lavori socialmente utili, per maggiori informazioni su come collaborare potete guardare il sito internet dell’associazione.