Il cibo e le abitudini alimentari sono argomento di continua attualità, sia per i progressi scientifici, che ci permettono di individuare meglio ciò che davvero fa bene al nostro organismo, sia per l’immutata importanza che nella nostra cultura (e non solo) ha la condivisione dei pasti. A Gorizia, la filologica A tavola con i conti Coronini. Le forme e i rituali dei pasti dal Settecento al Novecento, una deliziosa mostra, organizzata dalla Fondazione Palazzo Coronini Cronberg onlus, in collaborazione con l’Accademia italiana della cucina, apre il calendario degli eventi 2016 a palazzo e ripercorre, dal 9 aprile al 16 ottobre, le trasformazioni che tra il Settecento e l’inizio del Novecento hanno modificato il costume a tavola dell’intera civiltà europea.
Ieri come oggi, sedersi a tavola è un momento scandito da rituali ben precisi che, soprattutto in passato, coinvolgevano non solo la presentazione delle pietanze, ma anche i luoghi in cui venivano servite, gli oggetti utilizzati e i cerimoniali. Senza dimenticare che, secoli, le cosiddette “della tavola” sono state privilegio quasi esclusivo delle classi elevate: dalle mense di imperatori, re, principi, il sapore culinario si è poi diffuso nelle residenze dell’aristocrazia, nel gioco dell’imitazione.
A tavola con i conti Coronini presenta una serie di allestimenti, contestualizzati nella cornice del palazzo, per raccontare come si mangiava e come si beveva, come si è passati dall’anarchico uso delle mani medievale al parossismo vittoriano, in cui quasi ogni alimento aveva la sua posata di servizio, dal seghetto per cetrioli alla forchetta da melone, dalla forbicina per uva agli spiedini differenziati per pollo o per manzo, dalle pinze per asparagi alle palette per sgocciolare l’eccesso di sugo dalla carne.
“Nel tempo – dice Cristina Bragaglia, curatrice della mostra insieme a Luca Geroni – si passa dallo scenografico servizio alla francese in uso nel Settecento (tutte le portate servite contemporaneamente, apparecchiate a mo’ di buffet sul tavolo) al più pratico servizio alla russa, che si impone nell’Ottocento, con i piatti invece in successione, come ai giorni nostri”. Una piccola rivoluzione democratica: “nell’apparecchio alla francese i commensali possono servirsi solo dei piatti accanto a loro, mentre alla russa tutti sono serviti di ogni pietanza in menu”, prosegue Bragaglia.

L’etichetta la spiega Luca Geroni: “Le buone maniere a tavola, le abitudini, non sono state sempre le stesse; durante il Medioevo si mangia con le mani e le suppellettili venivano condivise. Posate personali e piatti sono una conquista prima del ceto egemone e poi, assai più tardi, delle classi subalterne: nella parte espositiva nelle scuderie, che ripercorre una sorta di storia della posata, ben si evidenzia questo passaggio”. Spicca un cucchiaio inglese risalente addirittura agli anni Settanta del Quattrocento e, sulla scia della crescente specializzazione degli strumenti e del vasellame, una rassegna di caffettiere, cioccolatiere, teiere, chicchere e cucchiaini, che conferma il regolare consumo delle bevande esotiche di gran moda nel Settecento. Riflettori anche sulle saliere: “contenitori dal ruolo d’onore – puntualizza Geroni – per il significato atavico di cui è investito il sale da tempo immemore, pregno di complesse valenze simboliche e religiose, nonché economiche; più grande è la saliera, più importante è il possessore”.
Splendenti argenterie e fragili porcellane, provenienti dalle collezioni Coronini e da numerosi collezionisti privati, rispecchiano, nella ricchezza decorativa, il desiderio di ostentazione che in tutta Europa accompagna l’allestimento delle tavole.
Una sezione, naturalmente, è riservata al luogo d’elezione della gastronomia: una sala del palazzo Coronini accoglie la ricostruzione di una cucina fine Settecento, con utensili e masserizie, oggetti in rame provenienti dalla ricchissima collezione Navarini di Trento.

Le ricerche condotte sui ricettari della famiglia Coronini da Roberto Zottar, delegato locale dell’Accademia italiana della cucina (che il 7 maggio prossimo terrà proprio qui un convegno nazionale dedicato alla convivialità nei palazzi friulani) hanno consentito, inoltre, di documentare tecnicamente le trasformazioni intervenute a partire dal Settecento nella preparazione e nella scelta delle pietanze. “
Studiando nove quaderni manoscritti – spiega Zottar – è emersa la progressiva affermazione dell’alta cucina francese; tuttavia le ricette, scritte in tempi diversi da mani diverse in tre lingue, francese, tedesco e sloveno, con qualche italianizzazione, sono anche segno di multiculturalità e contaminazione gastronomica”.
Prezioso il contributo della Scuola Fioristi del Friuli Venezia Giulia, realtà nota a livello internazionale, che ha prestato la propria pluriennale esperienza per la realizzazione di addobbi floreali in stile, coerenti con l’epoca storica descritta.
La sede museale non è meno interessante dell’esposizione: edificato da Carlo Zengraf tra 1593 e 1598 (forse su una preesistente torre) secondo il modello architettonico della casa-forte, il palazzo viene modificato dai successivi proprietari, i conti di Strassoldo, nel Seicento, con l’aggiunta di una cappella collegata alla casa da un doppio loggiato, delle scuderie (oggi sala convegni ed esposizioni), di abitazioni per i coloni e di una cancelleria presso la cappella. Nel 1820 gli Strassoldo, in difficile situazione economica, mettono all’incanto le proprietà immobiliari, acquisite dal conte Michele Coronini Cronberg (1793-1876), che, a partire dal 1833, sottopone l’edificio a massicci interventi di ristrutturazione. Nell’ottobre 1836 l’ultimo re di Francia, Carlo X di Borbone, all’epoca in esilio, decide di trasferirsi con la sua corte a Gorizia, prendendo residenza proprio a palazzo Coronini; il soggiorno, tuttavia, sarà breve e fatale, perché circa un mese dopo l’arrivo, il re contrae il colera e muore. La salma viene seppellita nel convento francescano della Castagnavizza, a pochi chilometri da Gorizia, oggi in Slovenia. Dopo le vicissitudini delle due guerre, all’inizio degli anni Cinquanta la dimora è restituita ai Coronini che vi si stabiliscono definitivamente; il conte Guglielmo, con il sostegno della sorella Nicoletta, inizia a progettare per la residenza una destinazione museale, destinata a prendere forma, come nelle sue volontà, dopo la sua morte, avvenuta a Vienna il 13 settembre 1990.