Tutti crediamo di conoscere New York. L’abbiamo vista in innumerevoli film. Ne abbiamo letto in tanti romanzi, per non dire dei fumetti (la “casa” dei supereroi Marvel è sempre stata Manhattan, e la Gotham City di Batman era a sua volta la Grande Mela, sotto mentite spoglie).
Ma, rimanendo ai libri, è proprio vero che conosciamo a fondo le sue diverse incarnazioni? Sex and the City e il Diavolo veste Prada ok, li diamo per acquisiti. Tuttavia, la New York letteraria ha radici assai più profonde e ramificate.
Ricostruirle in 10 romanzi è un’impresa quasi impossibile, però proviamoci. Cercando di indicare almeno un titolo per ciascuna diversa epoca storica.
New York fin de siècle
L’età dell’innocenza, di Edith Warthon, uscito – come si usava all’epoca – dapprima a puntate su una rivista, Pictorial Review, e poi pubblicato in volume da D. Appleton and Company, vincendo il premio Pulitzer. Il mondo raccontato da Warthon è quello dell’alta borghesia newyorchese, con le sue rigide convenzioni, i suoi riti e le sue meschinità.
Un mondo che l’autrice conosceva molto bene, essendo cresciuta a sua volta in una famiglia aristocratica (che abbandonò, assieme all’America, per vivere in Francia). Il suo romanzo esplora però anche un tema più universale: il contrasto fra l’amore ragionevole, sereno, “quieto”, frutto di un matrimonio che soddisfa tutte le aspettative sociali, e quello più difficile, tormentato, sincero, che scaturisce dall’incontro fra il protagonista, il giovane avvocato Newland Archer, e una donna dal turbolento passato, oltre che votata all’anticonformismo, la contessa Ellen Olenska. Già solo le scene iniziali del teatro e del ballo valgono il romanzo.
New York jazz
Restiamo dalle parti del “bel mondo”. Il Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald, ambientato durante l’estate del 1922, racconta una realtà un po’ diversa rispetto a quella fotografata da Edith Warthon. Siamo in piena età del jazz, ma siamo anche alle prese con un nuovo tipo di ricchezza, che si fa dal nulla, che non ha alle spalle un nome, una solida tradizione. Gatsby è il sogno americano nella sua forma più pura. Ma ne è anche l’imbroglio, la demistificazione. La storia di James Gatz, figlio di agricoltori miserabili che si costruisce, assieme all’ingente patrimonio (incarnato da una villa spettacolare) anche una nuova identità, al fine di farsi accettare dall’aristocrazia di New York e Long Island, assomiglia a quella di tanti imprenditori rampanti di primo ‘900, che hanno davvero cambiato il volto della Grande Mela. Anche sul piano urbanistico: leggete i primi capitoli del libro dedicato da Sherill Tippins alla storia del Chelsea Hotel (Inside the Dream Palace) per farvene un’idea. Il tema dell’ascesa e della caduta dei super ricchi tornerà, fra gli altri, ne Il falò delle vanità di Tom Wolfe.

New York sogno americano
Il sogno. È sempre lui, in fondo, a spingere tanta gente diversa fra le “fauci” di New York. Manhattan Transfer, il grande romanzo-affresco di John Dos Passos, pubblicato, come il Grande Gatsby, nel 1925, ce lo ricorda magistralmente. Come dimenticare ad esempio la comparsa di uno dei suoi tanti personaggi, Bud, che, appena sbarcato, si avvia su per la Broadway, superando baracche abbandonate e rifugi di barboni, zoppicando un po’ per le vesciche ai piedi, in cerca di un lavoro qualsiasi ma mosso soprattutto dalla speranza di raggiungere il posto “dove accadono le cose”? Eppure, a volte le cose accadono veramente, e per un Joe Harland che passa dalla ricchezza alla miseria, c’è sempre un Congo Jack che, grazie all’intraprendenza e alla fortuna, alla fine riesce a farcela.
New York immigrata
Chiamalo sonno, di Henry Roth, pubblicato nel 1934, è un caso particolare. Ricorda per certi versi quello di John Williams, con la differenza che Stoner, alla sua uscita, non fece gridare al miracolo, mentre l’esordio di Roth, allora ventottenne, sì, anche se vendette poco. Subito dopo, subentrò il ritiro dalle scene letterarie e l’oblio, da cui il libro venne strappato negli anni 60, e stavolta riscuotendo un vasto successo di pubblico. Il romanzo racconta l’epopea dell’immigrazione, dal punto di vista di una famiglia di ebrei americani arrivata a New York ai primi del XX secolo. È, insomma, una delle grandi saghe familiari a cui la letteratura americana ci ha abituato. Sempre sul tema immigrazione, ma in forma più concisa, consigliamo i racconti di Delmore Schwartz, altro maestro della letteratura ebreo-americana, racchiusi nel volume Nei sogni cominciano le responsabilità.
New York tra due guerre
Il periodo fra le due Guerre mondiali, e quello immediatamente successivo, della Guerra fredda e della cosiddetta “caccia alle streghe”, è raccontato magistralmente in un romanzo recentissimo, I giardini dei dissidenti, di Jonathan Lethem. L’azione è ambientata nei Sunnyside Gardens del Queens, le abitazioni – con annesse proprietà comuni – per la classe lavoratrice costruite fin dagli anni ’30 per rispondere ai bisogni creati dalla Grande depressione e diventati un simbolo dell’utopia socialista in terra americana. Il romanzo di Lethem – di cui non si può non ricordare anche un altro grande capolavoro newyorchese, La fortezza della solitudine – racconta tre generazioni di dissidenti, passa per la beat generation e il Greenwich Village e approda al Nicaragua sandinista, agli effetti dell’attacco alle Twin Towers e a Occupy Wall street.
New York da marciapiede
Midnight Cowboy/Cowboy di mezzanotte, o meglio Un uomo da marciapiede, è il titolo di un epocale film di John Schlessinger del 1969, vincitore di 3 premi Oscar. La pellicola, interpretata da John Voigt e Dustin Hoffman, che racconta l’approdo a New York di Joe Buck, un giovane campagnolo che si guadagnerà da vivere come prostituto, finendo anche alla “corte” di Andy Warhol (ai cui personaggi il film è ispirato), deriva in realtà da un libro di James Leo Herlihy (di cui si ricorda anche il best seller E il vento disperse la nebbia). Consigliato a chi vuole capire quella New York (la stessa raccontata da Lou Reed in tante sue canzoni), è stato recentemente ripubblicato in Italia da Minimum Fax (come Un uomo da marciapiede, mentre l’edizione Rizzoli, del 1966, conservava il titolo originale). La sentenza: “Non c’è salvezza per il solitari. Il Libro non dice che siano beatificati”.
New York d’inferno
Ultima fermata Brooklyn di Hubert Selby Jr. è invece uno dei romanzi più duri e disturbanti scritto sulla metropoli. Uscito nel 1964, è una vera e propria discesa nei gironi dell’inferno di New York e sobborghi, senza pietà, senza redenzione, senza alcuna luce. Libro figlio solo apparentemente della “prosa spontanea” della beat generation (in realtà l’autore ha dichiarato di averci impiegato moltissimo a scriverlo) ha consegnato ai posteri personaggi memorabili come Tralalà, prostituta che in fondo ad una notte brava viene posseduta a morte da un esercito di clienti – a cui si offre essa stessa, per disperazione, per fame d’amore – sul sedile di un’auto abbandonato per strada. Letto oggi, continua a ferire e a respingere. Il tempo non ha riconciliato nulla con nulla.
New York Giants
Underworld di Don De Lillo, pubblicato nel 1997, è il grande romanzo americano degli ultimi decenni (so che questa affermazione non sarà condivisa da tutti), anche se l’autore, di origini italiane, su questo punto si schermisce. Opera monumentale, che propone continui salti temporali, racconta (fra l’altro) la New York fra gli anni ’50 e i primi anni ’90. La vicenda inizia per la precisione il 3 ottobre 1951, giorno dell’epica partita di baseball fra New York Giants e Brooklyn Dodgers: la pallina del fuoricampo con cui i Giants si aggiudicano il match diventa il filo conduttore di una narrazione in cui entra di tutto, amore e adulteri, l’uccisione di JFK e le gesta di un insospettabile serial killer “stradale”, una famosa tournee degli Stones e il business del riciclaggio dei rifiuti (compresi quelli nucleari). C’è inoltre il Bronx, un tempo quartiere – anche – italiano, diventato poi sinonimo della decadenza della metropoli e della malavita black (memorabile una battuta rivolta ai turisti che visitano frettolosamente i casermoni semi abbandonati del quartiere: “Non è surreale, è reale”). New York ritorna anche in altri romanzi di De Lillo, fra cui L’uomo che cade, una delle prime narrazioni dedicata alle Twin Towers (un’altra è Molto forte, incredibilmente vicino di Jonathan Safran Foer, e Great Jones Street, incubo rock claustrofobico ambientato in una casa dell’East Village.

New York contemporanea
Il cardellino di Donna Tartt, premio Pulitzer 2014, è uno degli ultimi grandi romanzi newyorchesi. Protagonista è Theo Decker, miracolosamente sopravvissuto ad un attentato che, al Metropolitan Museum, si è portato via l’adorata madre. Quasi solo, preda delle proprie pulsioni autodistruttive, Theo si rifugia in un piccolo quadro del Seicento chiamato Il cardellino, di un pittore olandese, unico residuo cordone ombelicale con il luogo dove si è consumata la tragedia che ha segnato la sua vita. Altro romanzo-fiume, un po’ discontinuo, costituisce comunque un’ottima prova d’autore, in bilico fra romanzo di formazione e giallo.
New York romana
L’ultimo titolo è riservato ad un italiano, Francesco Pacifico, e al suo recente Class. Torna il tema dell’immigrazione, riveduto e corretto, però, alla luce del XXI secolo. Protagonisti sono non più gli emigranti con le valigie di cartone che sbarcavano ad Ellis Island ma i figli di papà della Roma bene, che approdano in città per realizzare sogni un po’ velleitari, come quello della regia cinematografica. Spietato con i suoi personaggi, Pacifico ci racconta una “giovane Italia all’estero” non molto simpatica, non molto memorabile. E forse anche parziale. La battuta che resta: “La realizzazione personale di un borghese non vale il denaro che costa”.
NOTA: Questo è quanto di meglio siamo riusciti a fare, barando anche un po’, e sacrificando una montagna di titoli (da Colazione da Tiffany a Schiavi di New York, da American Psyco a Le mille luci di New York, e via dicendo). In ogni caso, può essere un inizio. Le migliaia di altre storie sta a voi scoprirle (o riscoprirle). Buone letture.