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La pandemia sta uccidendo i ristoranti: che fare? Le buone idee non mancano

In un mondo in cui ormai si mangia a tutte le ore, anche l'Italia dovrebbe cominciare a cambiare vecchie abitudini andando oltre il pranzo e la cena

Mauro BassinibyMauro Bassini
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Un ristorante a New York durante la pandemia (Foto di Terry W. Sanders)

Time: 3 mins read

No, non ne stiamo ancora uscendo. La pandemia continua a paralizzare e ad avvilire la buona ristorazione, quella ispirata alla passione e al rispetto delle materie prime. Da mesi i cuochi italiani più celebri (e i giornalisti più attenti alla gastronomia) discutono e si scambiano idee utili alla ripartenza. Non sono finora uscite ricette miracolose. I cuochi e i ristoratori insistono soprattutto sui possibili cambiamenti della cucina e dei menù, provano a ridurre il numero dei piatti proposti, a evitare le preparazioni più laboriose, a salvare comunque l’attenzione alla qualità degli ingredienti. Sani propositi, ma probabilmente insufficienti a scalfire davvero il problema, a trovare il carburante efficace per ripartire.

Mi sembrano più interessanti alcune riflessioni pubblicate di recente da Davide Paolini, uno dei migliori critici gastronomici italiani. Paolini è un faro. Da quasi 40 anni firma una piacevolissima rubrica gastronomica sul più importante quotidiano economico italiano, il Sole 24 Ore. È un ottimo scrittore, un grande viaggiatore, una delle poche voci libere e autorevoli nell’increscioso barnum della critica gastronomica italiana che, sempre più spesso, confonde l’informazione con la pubblicità.

“La mia convinzione, per quanto conti, non essendo ristoratore – ha scritto Paolini – è che il problema urgente della ripresa prossima ventura sia l’invenzione di nuove modalità per far sì che il numero dei coperti possa far raggiungere almeno il break-even con lo spazio ridotto, così come è previsto dalle norme anti Covid-19. Non penso (spero di sbagliare) che menù rivisti e corretti possano far crescere un’affluenza tale da parlare di ripartenza, forse questo è un problema del dopo Covid, quando i clienti avranno ‘digerito’ il lockdown“.

Al momento, sostiene il critico, il punto cruciale è come organizzare il ristorante per non essere completamente penalizzati dalle metrature da carcere: “Ecco allora una possibile soluzione, far funzionare il ristorante con più offerte, ovverosia su più momenti della giornata: dalla mattina alla sera con proposte differenziate dalla colazione, a più momenti per il pranzo (alle 11.30, alle 13 alle 15) a diverse occasioni nel pomeriggio (la reinvenzione della merenda) a differenziati orari per la cena (18.30; 20.30, 22). Ecco dove la creatività dello chef dovrà far leva: l’invenzione di nuovi momenti con offerte inedite anche a prezzi differenziati. Ritengo che la creatività nell’offerta di cucina sia giusto strutturarla per nuovi momenti della giornata possibili, ad esempio sulla creazione di una moderna merenda, magari che sostituisca la cena, su un pranzo alle 15 più leggero, oppure anche su un qualcosa di completamente nuovo, e non sul menu standard del locale che offre solo pranzo e cena. Forse in questo modo i fatturati non tornerebbero a essere quelli del passato, ma sarebbero sicuramente maggiori rispetto ai due turni tradizionali con le restrizioni Covid19″.

Insomma, in un mondo in cui ormai si mangia a tutte le ore, anche l’Italia dovrebbe cominciare a cambiare qualche vecchia abitudine. “Certo – ragiona Paolini – mi rendo conto che più momenti di lavoro per la cucina e per la sala impongono una diversa organizzazione del personale, ma saranno i conti aziendali ad indicare se la strada è percorribile o meno”.

È una strada che qualche locale ha imboccato fin dai tempi dei primi lockdown, proponendo soprattutto ‘merende gastronomiche’ pomeridiane, con risultati a volte apprezzabili. Ma il tunnel è lungo e l’uscita non pare vicinissima.

Chi ama la buona tavola e i buoni ristoranti sta continuando a soffrire, magari consolandosi con qualche buona lettura da ghiottoni. Io mi sto divertendo con un volume che Paolini ha appena mandato in libreria: Confesso che ho mangiato, edito da Giunti. È una lunga serie di brevi reportage e di esperienze in ogni parte del mondo. In ogni pagina il cibo sa meravigliosamente raccontare la gente, i luoghi, le tradizioni. Ad esempio, i sapori e le tecniche di produzione delle ostriche francesi di Cancale spiegano la Bretagna meglio di qualsiasi guida, meglio perfino di certi splendidi romanzi di Georges Simenon. E quante scoperte si possono fare conoscendo certi formaggi italiani del Sud, o le diverse affumicature dei salmoni canadesi, oppure certi foie-gras prodotti a migliaia di chilometri dall’Europa.

In certi momenti ci si deve accontentare. Sono tempi duri. Dobbiamo limitarci a immaginare e a sognare, magari preparandoci a nuove esperienze che ci emozioneranno, quando finalmente usciremo da questa insopportabile cappa di piombo.

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Mauro Bassini

Mauro Bassini

Mauro Bassini è un giornalista di Bologna. Dal 1977 lavora per il gruppo di quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione- Il Giorno. Da sempre si interessa di buona tavola e libri antichi. Con Minerva Edizioni ha pubblicato diversi libri sui ristoranti e sulla grande tradizione gastronomica emiliana. Il suo piatto preferito? Le tagliatelle al ragù

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