Ci sono vite parallele, magnifiche e curiose, così simili e così diverse da meritare di essere raccontate. Parliamo di due cuochi ancora giovani ma ormai celebri, appassionati e talentuosi. Si chiamano Riccardo Camanini e Simone Zanoni. Entrambi lombardi, nati a cento chilometri e a tre anni di distanza l’uno dall’altro, il primo a Lovere in provincia di Bergamo nel 1973, il secondo a Salò, nel Bresciano, nel 1976. Sono amici e hanno tante cose in comune: un diploma di scuola alberghiera, un’intensa gavetta, un lago (il Garda), un ristorante (Villa Fiordaliso, a Gardone Riviera, in cui i due hanno lavorato insieme per un breve periodo) e la rapidità con cui hanno conquistato la stella Michelin dopo l’esordio nelle loro attuali cucine (appena cinque o sei mesi). Fra i loro ristoranti ci sono quasi 800 chilometri di distanza. Uno è sul lago di Garda, l’altro a Parigi.
Camanini è il cuoco italiano del momento. Solo pochi giorni fa il suo Lido 84, che si trova a Gardone Riviera come il suo precedente locale, è risultato il primo ristorante italiano nella classifica Best 50 dei migliori del mondo: quindicesimo posto assoluto, davanti a tanti prestigiosi mostri sacri con tre stelle Michelin. Di stelle, Camanini ne ha una soltanto, ed è curioso che alla Michelin non sia ancora venuto il dubbio che quel riconoscimento sia un po’ troppo avaro. Il cuoco del Lido 84 ebbe un grande maestro: Gualtiero Marchesi. Due anni e mezzo alla leggendaria Albereta di Erbusco, in provincia di Brescia. Poi, grandi esperienze in Francia e in Spagna, con Ducasse e altri big dell’alta ristorazione, prima del ritorno sul suo lago, a 24 anni, come chef del Fiordaliso. Vi rimane per 16 anni fino al 2014, quando apre il suo attuale ristorante col fratello Giancarlo, uomo di sala e di organizzazione. Splendido affaccio sulle acque del Garda, porcellane di Ginori e piastrelle di Giò Ponti.
Camanini parla poco, non è un volto televisivo, studia i testi classici della cucina del Cinquecento o di duemila anni fa. La creatività e i colti richiami storico-gastronomici hanno reso celebri molti suoi piatti: lo spaghetto unto in rosso, il cacio e pepe in vescica di maiale, il riso all’aglio nero fermentato, gli spaghettoni con burro e lievito che furono esposti come un’opera d’arte al MoMa di San Francisco e che fecero sgranare gli occhi perfino al grande Ducasse (il maestro dell’alta cucina francese li mise in carta nel suo Plaza Athenée di Parigi). Il lago è il cuore di una cucina rigorosa, concreta e moderna: il pesce d’acqua dolce, le erbe aromatiche, gli agrumi, i vini eleganti, noti in Italia più che all’estero.
Mentre Camanini affinava una ricerca sempre più profonda sulle verdure e sulla qualità di altre materie prime, il suo amico Simone Zanoni cercava la sua strada a Londra. Inizi duri, in una zona della capitale britannica in cui gli spacciatori erano più numerosi dei buongustai. Un annuncio su un giornale segnò la svolta: Gordon Ramsey cercava personale. Simone rispose e fu immediatamente arruolato nello squadrone dello chef più celebre e più scontroso del mondo. Umiliazioni e soddisfazioni. Qualche settimana a lavare i piatti, ma poi comincia un decollo sorprendente e vertiginoso. Per 18 anni Zanoni lavora col cuoco-manager scozzese, prima come tappabuchi, poi come primo chef del ristorante tristellato del maestro a Londra e in altri prestigiosi ruoli. Al Trianon di Versailles, dove Ramsey lo spedisce per risollevare le sorti di un nobile locale decaduto, Zanoni ottiene nel 2009 due stelle Michelin.
Simone non è ebreo, ma nel 2014 apre il Rafael, primo ristorante di alta cucina kosher a Parigi. È un successo di risonanza mondiale, certi clienti arrivano con voli charter da New York, ma dopo gli attentati a Charlie Hebdo e al Bataclan i tavoli si svuotano di colpo e il locale, considerato un potenziale bersaglio dei terroristi, viene chiuso. Nel 2016, quando l’Italia comincia ad apprezzare il talento del suo amico Camanini, Zanoni lascia il gruppo Ramsay e passa a Le George, uno dei ristoranti dell’hotel Four Seasons George V, un mito dell’ospitalità e del lusso parigini. Contratto sontuoso, con due giorni di riposo a settimana (grande conquista per un cuoco). Quaranta persone al lavoro per 75 coperti. La stella Michelin arriva a tempo di record, nonostante alcune scelte del cuoco lombardo che appaiono ai limiti della provocazione: il solo formaggio in carta è italiano, poca Francia e tanta Italia nella carta dei vini, con un Franciacorta al calice nella patria dello Champagne. I prezzi ragionevoli e la piacevolezza di un fresco menù mediterraneo (agli antipodi rispetto a certe pesantezze della classicità francese) sono le carte vincenti di un successo che si consolida col tempo.
Zanoni non è più l’esuberante giovanotto che amava le Porsche e che, quando si metteva in viaggio, cuoceva i cibi a bassa temperatura sotto il cofano dell’auto. È un cuoco maturo e riflessivo, molto apprezzato in una metropoli che ha finalmente smesso di guardare alla cucina italiana come a un modesto sinonimo di pizza e pasta. Qualche anno fa, dopo un’ottima cena a Le George, scambiai quattro chiacchiere col cuoco. A un certo punto Zanoni mi disse: “Lei scrive di cucina? Tenga d’occhio un tizio che ha aperto un bel ristorante sul lago di Garda. Si chiama Riccardo Camanini. È un fenomeno. Presto si parlerà molto di lui”. Pronostico azzeccato. Ne aggiungo un altro: si continuerà a parlare molto anche di Simone Zanoni.