Che Vladimir Putin sia un comico di spessore internazionale dovevamo capirlo fin dai tempi in cui sosteneva di essere l’unico autentico democratico del pianeta e aggiungeva che, dopo la morte di Gandhi, non gli era rimasto nessuno al mondo con cui parlare. Ne ha dette e ne ha fatte tante Putin, a volte divertenti e a volte molto meno: le lacrimucce versate alla caduta del Muro di Berlino, la malcelata ammirazione per un dittatore feroce e sanguinario come Stalin, “che ha fatto anche cose buone”.
Ma Putin sa essere irresistibile anche quando non parla di politica. La sua ultima geniale trovata è una sorprendente legge entrata in vigore il 2 luglio scorso: il provvedimento stabilisce che lo champagne importato in Russia non potrà più chiamarsi champagne, ma dovrà accontentarsi della più umile denominazione di ‘spumante’. Solo le bollicine prodotte in Russia potranno legittimamente definirsi champagne.
Se non fossimo in estate, si sarebbe potuto pensare a un pesce d’aprile, vista la totale assurdità della norma. Scartata l’ipotesi di uno scherzo da buontemponi, i signori francesi delle bollicine si sono imbufaliti per quello schiaffo, bruciante almeno quanto la quasi simultanea eliminazione della favoritissima squadra transalpina dagli Europei di calcio. Così i big dello champagne (quello vero) sono partiti al contrattacco. Prima mossa: blocco totale delle esportazioni in Russia delle loro prestigiose etichette, in attesa di ridiscutere il problema, in termini più ragionevoli, col governo di Mosca.
Ormai è guerra aperta, mentre sulle decisioni di Putin continuano a piovere ironie e sfottó da mezza Europa. In effetti, definire champagne solo il prodotto russo è un po’ come se Joe Biden decidesse di chiamare caviale solo le uova di storione prodotte nel Maine. O se Macron decretasse che il vero parmigiano reggiano è solo quello prodotto nella Valle della Loira. Ma i ragionamenti di questo genere non sembrano turbare troppo l’ex capo del Kgb che da oltre vent’anni comanda al Cremlino.
Se la guerra delle bollicine infuria, i produttori italiani di spumante se la godono sereni e tranquilli, grazie alla forza commerciale conquistata negli ultimi anni anche nei mercati dell’Est europeo. La Russia è il quarto consumatore mondiale di spumante italiano, dopo Germania, Usa e Gran Bretagna. Lo straordinario successo del prosecco ha consentito ai produttori italiani di scalare posizioni su posizioni e di costruire un solidissimo successo commerciale. Nelle carte dei vini dei migliori ristoranti, non solo italiani, le bollicine tricolori guadagnano spazio e attenzione. È il risultato di un lavoro lungo, sistematico e paziente, fatto di costante impegno promozionale, graduali affinamenti e diversificazioni del prodotto, rapporto sempre più convincente tra prezzo e qualità. Poco importa (in Franciacorta, nell’Astigiano o nella Marca trevigiana) se Putin litiga con i francesi sull’uso del nome champagne: prosecco e spumanti italiani continuano a scorrere a fiumi verso Mosca, e questa è la cosa più importante per gli ottimi produttori di casa nostra.
Le previsioni di mercato sono ottime. Nel prossimo triennio la spumantistica italiana potrebbe tagliare il traguardo del miliardo di bottiglie, con un aumento del 33 per cento rispetto alla produzione attuale. Il prosecco sarà sempre più protagonista di questa impetuosa crescita, anche con prodotti inediti e innovativi, costantemente in linea con i gusti e le richieste dei mercati internazionali.
In attesa delle prossime cannonate tra russi e francesi, ci rimane una piccola curiosità, impossibile da soddisfare: sarebbe interessante dare un’occhiata nel frigo di Putin, giusto per vedere se il presidente tiene in fresco una bottiglia di champagne russo, o se invece continua a preferire, come quasi tutti i suoi potenti amici oligarchi, il vecchio Dom Perignon. A pensar male si fa peccato, diceva Giulio Andreotti, ma spesso ci si azzecca.