Brava, bella e un po’ fortunata, l’Italia ha messo in fuorigioco anche il Belgio, grande favorita della vigilia. Siamo a un passo dalla finale e speriamo che non debba essere più lungo delle nostre gambe. Martedì prossimo ci aspetta la Spagna una grande in fase calante, quasi il nostro opposto. Noi giovani e imprevedibili, loro collaudati da una decina di anni vissuti ai piani alti del calcio mondiale.
Intanto, ci godiamo la vittoria contro il Belgio di due grandi campioni come De Bruyne e Lukaku. Gli Azzurri hanno sorpreso i favoriti della vigilia con le stesse armi che gli hanno permesso di arrivare alla semifinale. Dicevano di noi che eravamo i migliori a piazzare un pullman davanti alla porta per impedire agli altri di fare gol. Retaggio di quel Mondiale vinto nel 2006 che vide grandi protagonisti i difensori e che, appunto, fruttò a Cannavaro il Pallone d’oro.
Di questa Italia targata Mancini nessuno, fin qui, è stato in grado di leggere lo spartito. Che non è scritto in cirillico. Semplicemente l’Italia stupisce tutti giocando a calcio. E lo fa pure bene, come l’allenatore comanda. Avere in panchina un Ct che per tutta la sua carriera di calciatore ha cercato (riuscendovi) di abbinare la bellezza alla sostanza ha quasi costretto i nostri ragazzi a diventare irriverenti e a sfruttare quell’arma letale che è la fantasia. In questo calcio tutto schemi, che gli allenatori preparano come partite a scacchi, l’Italia è stata fin qui la più bella, la più imprevedibile, la più efficace.
Continuiamo a non mettere in vetrina nessun grande specialista del gol e segnare con una disinvoltura che non ha avuto il Belgio e, prima di lui, neppure la Germania e la Francia.
Stavolta poi, siamo stati double face. Imprendibili e rapidi nel primo tempo, tosti e maliziosi quando è arrivato il momento di stringere i denti. A sbloccare la partita è stato un altro insospettabile come Barella, prima che Insigne trovasse uno di quei tiri che per Nanni Moretti andrebbe senz’altro classificato tra le palombelle magiche. Due a zero e palla al centro.
Pareva fatta, pareva. Eravamo i padroni della scena e l’interista Lukaku guardava incredulo i suoi amici italiani, forse domandandosi che cosa li avesse trasformati in questo Europeo. Una tesi condivisa da molti: i giovani italiani fanno lunga gavetta all’ombra degli stranieri. Si mettono in fila aspettando con pazienza il loro momento che, di rado, è quello riservato ai più bravi. Ecco: è arrivato l’Europeo dopo tante delusioni patite dall’Italia negli ultimi quindici anni e i ragazzi di casa nostra hanno mostrato la volontà di chi vuole cogliere l’attimo che, nello sport, è sfuggente per definizione.
Allo scadere del primo tempo pareva che l’Italia fosse destinata a passeggiare verso la semifinale. Poi, allo scadere del recupero (47’), una fiammata del Belgio: Doku è caduto in area di rigore come se non avesse preso una spintarella da Di Lorenzo ma un destro alla mascella da Mike Tyson. L’arbitro ci è cascato e dal dischetto, come sempre, Lukaku è stato inesorabile. Non sportivo, come è di solito, quando, dopo aver visto il pallone nel sacco, ha preso in giro il nostro Donnarumma. Erano a Monaco di Baviera, ma la scena sembrava girata a Verona, sotto il balcone reso celebre da Shakespeare: oh Rumelo, proprio tu Rumelo… Forse era arrabbiato per la decisione che gli italiani hanno adottato di inginocchiarsi contro il razzismo soltanto per solidarietà verso chi soffre il problema e non per una loro intima convinzione.
Capitolo chiuso, come il quarto di finale che per tutto il secondo tempo non ha cambiato padrone, anche se il segno è stato opposto al primo: Belgio all’attacco per tutta la ripresa e qui l’Italia dei ragazzi giovani e imprevedibili ha mostrato che certe caratteristiche, evidentemente, sono nel dna dei nostri calciatori. La squadra che si è fatta ammirare grazie al gioco e ai gol, è stata in grado di difendersi con ordine e, certo, anche con quel pizzico di fortuna che sempre accompagna chi esce senza graffi da un bunker preso d’assalto dai pesi massimi. E’ finita tra scongiuri e preghiere, ma è finita bene. Non fanno gol i centravanti, ma quelli che giocano alle loro spalle sono già andati tutti a segno. Insigne, Barella, Locatelli e Chiesa.
Se in semifinale Immobile e Belotti riusciranno ad avere lo stesso spirito e la stessa leggerezza dei loro compagni, saranno dolori anche per la Spagna. Fine dello scetticismo verso chi era arrivato dalle qualificazioni ai quarti di finale senza mai incontrare una grande. Quella che prima era una speranza, adesso, dopo cinque vittorie di fila, è diventata una certezza: siamo forti anche noi. Forse abbastanza per arrivare in fondo.