Gli americani riconsegnano agli afghani la più grande base militare che hanno in Afghanistan, marcando la fine ufficiale della guerra nel paese asiatico, alla vigilia del 4 Luglio, molto in anticipo sui tempi annunciati del ritiro.
La mente va a quel 2001 quando avevo percorso la strada che portava alla base militare di Bagram, una sessantina di chilometri a nord di Kabul, al tempo l’unica via di uscita aerea dal paese. Ci si impiegavano almeno due ore a percorrere quei pochi chilometri. Bisognava guidare al centro della strada, perché si rischiava di saltare sugli ordigni che i talebani avevano disseminato sul percorso per frenare l’avanzata dell’Alleanza del Nord, le milizie del comandante Massoud che gli americani avevano scelto di appoggiare per cacciare i talebani e catturare Bin Laden e i terroristi di Al Qaida. La carreggiata era una lingua d’asfalto crepato, disseminata di voragini e di mine ai lati, perché la zona era stata un campo di battaglia. Costruita dai sovietici negli anni ’50 e utilizzata durante l’occupazione, quando l’ho vista per la prima volta, era ormai abbandonata da un decennio ed era diventata una landa desolata circondata dalle montagne con una pista semidistrutta di atterraggio e decollo sulla quale erano sparsi vecchi carri armati arrugginiti. Bisognava stare attenti a decollare perché si rischiava di schiantarsi sulle montagne. Gli aerei delle Nazioni Unite salivano con movimenti circolari da brivido prima di stabilizzarsi e dirigersi verso il Pakistan.
Negli anni la base è diventata il cuore di tutte le operazioni militari nel paese asiatico, la via di entrata di tutto il materiale bellico, ma da sempre anche la via di fuga in caso l’aeroporto di Kabul fosse non agibile. Una cittadella fortificata, contro il cui ingresso ripetutamente si sono schiantati kamikaze. All’interno dei 15 km quadrati oggi ci sono due piste di atterraggio, negozi, ristoranti, fast food, passerelle, una piscina e una prigione segreta da dove nel passato venivano fatti partire per Guantanamo i terroristi catturati negli scontri tra truppe americane talebani e Al Qaida. Sotto una pista dell’aeroporto militare resta sepolto un frammento del World Trade Center che i vigili del fuoco di New York avevano portato nel 2001 come emblema dell’invasione per cacciare i talebani. Nei momenti più intensi della guerra al terrorismo, Bagram ha ospitato oltre 40 mila tra militari e civili ed era costante la partenza dei jet armati con centinaia di chili di bombe da sganciare sui covi dei talebani e dei terroristi, sbagliando a volte il bersaglio e uccidendo civili.
La riconsegna di Bagram agli afghani è un gesto non solo simbolico, ma è il segnale della fretta che gli americani hanno di uscire dal paese. Il 4 luglio è una data importante quanto l’11 settembre, anche se il presidente Biden ha assicurato che il sostegno statunitense all’Afghanistan continuerà. Difficile capire come sarà quello militare. Resteranno solo 650 militari americani a protezione dell’ambasciata Usa a Kabul, mentre si tratta con la Turchia per convincerla a garantire la sicurezza dell’aeroporto internazionale di Kabul, condizione indispensabile per mantenere aperte le ambasciate nella capitale afghana. Erdogan sta approfittando per mettere nella trattativa varie questioni aperte con gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Si combatte intanto in molte province afghane e i talebani dopo avere conquistato distretto dopo distretto nel Nord si stanno avvicinando pericolosamente a Kabul.
Rimane il dilemma di come riusciranno i soldati dell’esercito regolare afghano a combattere contro i guerriglieri senza il supporto aereo degli Stati Uniti. La sorveglianza dall’alto sarà garantita dalle basi in Qatar e negli Emirati Arabi e da una portaerei nel Mare Arabico, ma è evidente che i soldati afghani dovranno arrangiarsi da soli, perché non ci sono le condizioni per un intervento aereo tempestivo, visto che il Pakistan ha già negato l’uso del proprio territorio agli americani per il monitoraggio del vicino Afghanistan e per gli aerei militari statunitensi. Negli ultimi giorni le tv afghane mostrano le milizie di cittadini afghani scese in campo al fianco dell’esercito, a sostegno del governo. In realtà si tratta di eserciti privati dei signori della guerra che già in passato si combatterono l’un l’altro.
Lo scenario che si sta delineando è molto inquietante, e può portare dritti dentro una guerra civile. Non c’è generale americano che si sia detto favorevole al ritiro. L’intelligence prevede che il governo afghano potrebbe dissolversi nel giro di sei mesi, vittima dei talebani nel giro di sei mesi “La guerra civile dovrebbe essere una preoccupazione per il mondo”, ha avvisato nei giorni scorsi il comandante della missione, il generale Austin Miller, minacciando raid aerei se i talebani non fermeranno la loro offensiva. Ma anche lui partirà tra pochi giorni. Ce ne andiamo da sconfitti, lasciando il caos dietro di noi. Intanto i talebani festeggiano il ritiro delle truppe internazionali, mentre Mosca chiede un cessate il fuoco.