In Fulton street si impara l’ arte della pizza, attraverso la storia e la tradizione di un prodotto promosso a patrimonio dell’ umanità dall’ Unesco.
Appartiene a Roberto Caporuscio, presidente dell’Associazione Pizzaiouli Americani, da 20 anni in America dove con il suo socio Antonio Starita gestisce tre ristoranti: l’idea di portare a New York la prima pizza Accademy.
Originario di Pontinia, in provincia di Latina, Roberto è arrivato in America oltre 15 anni fa, e nella ristorazione newyorkese si muove da 8 anni, con l’obiettivo di promuovere la pizza napoletana lontano dagli stereotipi che l’hanno resa il simbolo della tradizione culinaria made in italy negli States e nel mondo. Lo abbiamo intervistato nella sede di Kestè a Fulton street, in Downtown.
Ci racconti brevemente la sua crescita professionale in Usa .
“Dopo alcuni anni passati a lavorare per la sede di slow food a Pittsburgh. Nel 2009 ho aperto Kestè Pizza e Vino, al 271 di Bleecker Street nel Village, nel 2012 è arrivata l’idea di Don Antonio da Starita, a New York prima – in Midtown – ad Atlanta. A seguire Kestè Brooklyn, a Williamsburg, e solo negli ultimi giorni un nuovo tassello che consolida quest’impero della pizza napoletana all’estero, vale a dire la pizzeria con scuola di formazione di Wall Street”.

E qui si può imparare a fare la vera pizza napoletana…
“In realtà sono tre anni che insieme a mia figlia Giorgia , a soli 27 anni già vincitrice nel 2014 del campionato internazionale della pizza che ha preso vita il nostro progetto, insegnano ad aspiranti pizzaioli a preparare questo piatto. La nostra sede è stata trasformata in uno spazio, ispirato alle antiche pizzerie napoletane, che “coinvolge” i clienti nella preparazione della pizza grazie al supporto di schermi per il live streaming di quanto succede davanti al forno. La novità sta nella scuola della pizza aperta anche al pubblico amatoriale, con corsi dedicati ai ragazzi, degustazioni e dimostrazioni per valorizzare un’arte che ci impegna da anni a divulgare in giro per gli Stati Uniti”.
Come si svolgono esattamente le lezioni in loco e quelle on line ?
“Alterno corsi individuali per due o tre persone fino ad arrivare a classi di venti appassionati che vogliono portare a casa la vera ricetta originale per prepararla nelle loro cucine. In tre anni più di 200 persone hanno partecipato. Si comincia raccontando agli alunni le origini e la storia della vera pizza napoletana , che ha origini nel 1855, mostrando loro libri e documenti dell’ epoca, spiegandone le evoluzioni nella preparazione e nella scelta degli ingredienti negli anni, fino ad arrivare alla consacrazione da parte della regina Margherita. Inevitabilmente si illustra anche la storia della Regione e punto fondamentale, un approfondimento sulla scelta delle materie prime, che deve seguire dictat precisi. La farina deve essere italiana, noi usiamo la Caputo, che ci arriva direttamente dal Bel Paese, perché assolutamente differente dalla Manitoba americana, perché il nostro grano è unico, ha una maturazione più lenta, non avrei lo stesso risultato con la farina locale. Si passa poi alla scelta della passata pomodoro che ci fornisce la ditta Ciao e tutto ciò che è il topping, cioè la guarnizione, dalle verdure, ai salumi e soprattutto ai formaggi. Ai clienti siamo indicazioni precise su dive e come reperire tutti gli elementi e poi passiamo alla spiegazione di come si realizza la base di una buona pizza, facciamo mettere loro le mani in pasta, in pratica! E alla fine c’ è il momento più piacevole: la degustazione di quanto si è cucinato. Prima di concludere la lezione a tutti viene distribuita la ricetta della tradizione, quella che usciamo noi al ristorante, ovviamente adattata ai loro forni casalinghi”.

Che tipo di clientela soddisfa ?
“Il cliente oggi è più curioso, attento, vuole mangiare bene ma allo stesso tempo vuole conoscere e imparare, portarsi a casa una esperienza di cucina per riproporre in famiglia. Gli dedichiamo tempo e attenzioni e lo educhiamo anche sulla sana nutrizione, usando prodotti di qualità si arriva a far capire perché un prodotto a volte può costare di più, sottolineando la differenza tra il vero prodotto napoletano, patrimonio dell’ Unesco e tutto ciò che vuole essere simile. Differenziano molto l’ autentico da quello che e il neapolitan style, una tendenza che purtroppo propone un piatto diverso da quello tradizionale e riadattato al gusto americano che spesso arriva a mettere prima il business a discapito della qualità”.
Come si colloca il progetto in un momento in cui è altissima l’ attenzione verso l’ arte culinaria?
“Il momento è decisamente favorevole. Bisogna essere, tuttavia, molto attenti il mondo cambia rapidamente. Occorre avere maggiore conoscenza del mercato e della realtà americana, magari prendendo delle expertise diverse che completino il quadro d’insieme, puntando sempre sulle eccellenze italiane e affinando e ottimizzando le strade della distribuzione”.
Anche il modo di comunicare e apprendere è cambiato. Voi come vi siete adattati a questo?
“Abbiamo sfruttato la tecnologia che accorcia le distanze e ogni giorno suo,siamo un corso in streaming, visibile sul nostro sito, dove le persone a casa, che ogni giorno arrivano anche a 1500 o 2000, possono seguirci e imparare come se fossero qui. In più da coinvolgiamo nelle nostre lezioni anche alcuni food bloggers che hanno profili instagram molto seguiti per diffondere anche su questo social la nostra cultura gastronomica, facendo anche approfondimenti e serate di degustazioni sui prodotti Made in italy e su tutte le pizze di italia, che sono diverse e cambiano da zona a zona, facendo un focus quindi sulla regione di provenienza e le sue eccellenze. Da ottobre, i blogger potranno partecipare come giuria anche a contest sulla pizza, per giudicare quale dei nostri allievi ha realizzato quella migliore nel rispetto della vera tradizione napoletana. Poi vogliamo usare anche il cinema o la letteratura del nostro paese, proiettando film o organizzando presentazioni e incontri letterari con approfondimenti sulla storia e sul turismo, abbinati magari a piatti tipici per dare modo agli americani di scoprire ancora più in modo completo il nostro patrimonio culturale. Insieme ai nostri sponsor abbiamo la missione di sponsorizzare il nostro paese”.
Negli Usa da sempre la pizza e il simbolo della cultura gastronomica italiana. Come è mutata la percezione di questo prodotto e cosa occorre per preservarne il valore?
“I primi ristoratori erano immigrati all’ inizio del secolo che si improvvisavano in cucina, venivano da altre realtà magari agricole o operaie e hanno adattato quelli che erano i capisaldi della tradizione alla richiesta del mercato statunitense, creando ibridi sempre più lontani dal prodotto tradizionale. Ora la tendenza è approfondire e riscoprire gli antichi modi di creare per migliorare ciò che si offre e ritrovare l identità di un paese. E questa è la nostra missione. Dobbiamo divulgare la nostra conoscenza attraverso le esperienza dell’ assaggio e la conoscenza su tutti i fronti. Certo, l americano viene lo stesso in pizzeria ma cerchiamo di trasmettere anche il valore della convivialità e del tempo e della cura dedicati a ciò che si mette nel piatto. Insomma, un approccio del consumatore più consapevole a ciò che sceglie”.