Da un’isola ad un’altra. E poi ancora un’altra isola. Un destino isolano a cui Salvatore Fraterrigo, titolare e chef del ristorante newyorchese Norma- Gastronomia siciliana, non sembra riesca a sottrarsi. Lascia la sua Sicilia nel 2004 per Manhattan. E sposa una sarda. Della sua Trapani si porta dietro sapori e saperi che diventano l’ambiente e il menu del suo nuovo ristorante: una vecchia affettatrice Berkel degli anni 50, una mappa della Sicilia del Settecento, le ceramiche di Caltagirone, le sedie di paglia di Castelvetrano, la ricetta dei “cabbuci” trapanesi e quella della “rianata”. Un angolo di Sicilia a Midtown, nel cuore di Manhattan.
Un concetto di cucina autentica siciliana, rustica ma elegante, che nasce dalla lunga esperienza di chef e ristoratore nel suo ristorante a Trapani e nelle cucine di alcuni ristoranti regionali italiani di New York, come I Trulli e il Buco. Norma è un tuffo nel Mediterraneo: vini siciliani autoctoni come il Grillo e l’Etna rosso, i capperi di Pantelleria, la pasta con le sarde. Non solo cucina, Salvatore ama parlare di cultura gastronomica e ci tiene a precisare che la sua è come una missione in veste di ambasciatore. “Sono orgoglioso di rappresentare la mia terra e di raccontarla attraverso i miei piatti. La cucina del futuro? Quella che nasce dalla contaminazione di altre culture. Come quella siciliana che nasce da influenze arabe, spagnole, francesi”.
Non ha ancora spento la prima candelina e Norma è già uno dei ristoranti più apprezzati a New York. Qual è il primo bilancio dall’apertura?
“Sono veramente soddisfatto, vedo i clienti appagati, tanti di loro ritornano spesso, ma la mia soddisfazione più grande è vedere i piatti tornare puliti in cucina”.
Cosa ama di più chi viene a mangiare da Norma?
“Sono attratti da un ambiente accogliente e fortemente Italiano, poco condizionato dalle mode newyorchesi, prediligono i piatti con maggiore impronta sicula: pasta al forno, pasta con le sarde, arancine. E mi riempie di orgoglio vederli ritornare per provare tutto il menu”.
Che tipo di cliente sceglie il tuo ristorante?
“Molti giovani, molti nostalgici di origine siciliana ma molti curiosi di provare piatti tipici senza bisogno di andare in Sicilia”.
Con la tua cucina, cerchi di promuovere la Sicilia e la cultura siciliana. Cosa ti chiedono e cosa apprezzano gli americani della nostra isola?
“Innanzitutto i nostri vini autoctoni, che noi abbiamo come unici nella nostra carta: Nero d’Avola, Grillo, Malvasia, solo per citarne alcuni. Poi apprezzano molto il nostro modo di stare insieme a tavola, che al Sud non è solo un nutrirsi ma condivisione, scambio di opinioni; un momento in cui ci si racconta presente e passato. Lo stesso modo di stare a tavola delle nostre nonne”.
Se volessi descrivere ad americani e non la tua filosofia culinaria che hai portato da Norma, cosa diresti?
“Quando ho pensato a questo ristorante avevo un progetto molto chiaro in mente: una cucina autentica siciliana che facesse riferimento anche alla gastronomia sicula. Una cucina casereccia ma elegante, con molta attenzione alla materia prima, alla qualità. Non una cucina siculo-americana ma un menu che affondasse nella tradizione vera che ancora oggi si trova in Sicilia”.
Il piatto più gettonato?
“Sicuramente la pasta con le sarde, che tra l’altro noi cuciniamo al forno, secondo la tipica ricotta trapanese. Ma anche la nostra pizza preparata con grani antichi siciliani, il “carciofo bbuttunato”, le arancine, tutta la gastronomia con i nostri taglieri di formaggi e salumi”.
Hai sempre parlato di cibo della memoria? Dove ti porta la tua?
In Sicilia chiaramente. Le arancine sono le protagoniste dei miei ricordi, noi da ragazzi le mangiavamo a colazione e quando le preparo faccio di tutto affinché possano emanare gli stessi profumi che aleggiano nei miei ricordi”.
Cosa ti manca dell’Isola e qual è la prima cosa fai quando torni a casa?
“La pasta al pomodoro è la prima cosa che preparo appena arrivo in Sicilia. La preparo con un tipo di pomodoro per salsa che si chiama Pizzutello, prodotto in una zona del Trapanese chiamata Dattilo. La salsa che si ottiene ha dei profumi e sapori ineguagliabili. E poi…di corsa al mare a pescare i nostri ricci di mare. Questo è quello che più mi manca”.
Sono molti i ristoranti nella Grande Mela ma non tutti sopravvivono. Cosa bisogna fare affinché un ristorante abbia successo?
“La parola chiave è umiltà. Molti aprono i ristoranti con la presunzione che soltanto perché Italiano merita successo. Non è così. Gli americani ed in particolare i newyorchesi, sanno distinguere tra un ristorante buono da quello cattivo. Oggi hanno mangiato Italiano, domani sarà cinese o forse messicano, o sushi. Purtroppo spesso la cultura culinaria di molti noi Italiani si ferma alla nostra, spinti proprio da questa presunzione”.
Quale sarà la cucina del futuro?
“Palermo ed il Sud d’Italia una volta erano, per posizione geografica, cultura, al centro di importanti scambi commerciali nel Mediterraneo. Per strada si mescolavano culture e nasceva una cucina, ai tempi innovativa: come quella dei Monsù, chef francesi in forza alle case nobiliari, dove si mescolavano culture ed ingredienti spesso sconosciuti, forgiando ricette importanti come la caponata, la crosta del Gattopardo etc. Alla stessa maniera penso che qui a New York si stia formando una cucina del futuro, grazie alla contaminazione culinaria e culturale di tanti chef importanti. Il cammino però è ancora lungo”.
E invece il futuro di Norma?
Sarebbe bello poter prevedere il futuro ma quello che mi auguro è di potermi permettere un giorno di poterne aprire altri, possibilmente in altre città americane”.
Il prossimo piatto che farà parte del tuo menu?
Spero di preparare il cus cus come si fa a Trapani. Forse a metà settembre in contemporanea al cus cus festival di San Vito lo capo.