Non solo stand, produttori e distributori. L’edizione estiva del Fancy Food Show 2017, dal 25 al 27 giugno al Javits Center di New York, ha visto al centro della scena l’Italia delle imprese, ma anche quella delle istituzioni. Dall’agenzia ICE al Ministero dello Sviluppo economico, fino al Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali. In un periodo storico in cui la qualità del prodotto e l’importanza della filiera stanno assumendo un ruolo sempre più significativo, avere una struttura istituzionale forte ma al tempo stesso non invadente appare indispensabile.
Così come fondamentale sarà, nei prossimi anni, alimentare il trend positivo (già in atto, e i numeri lo confermano) dell’export italiano in ambito food. Per questo motivo, le politiche di governo dovranno essere capaci di garantire la valorizzazione dei prodotti tipici, che da sempre contraddistinguono la qualità prima della quantità: ci riferiamo soprattutto ai marchi DOP (Denominazione d’Origine Protetta) e IGP (Indicazione Geografica Protetta). Perché è vero, la globalizzazione funziona, ma solo se i prodotti locali vengono protetti e sostenuti nel processo di internazionalizzazione del loro mercato.
A margine del Fancy Food 2017, abbiamo parlato di questo e di molto altro con Luigi Polizzi, dirigente del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, con competenze specifiche nell’ambito della Qualità certificata e tutela indicazioni geografiche prodotti agricoli, agroalimentari e vitivinicoli.
Dottor Polizzi, DOP e IGP rappresentano due fari per la promozione del sistema agroalimentare italiano all’estero. Cosa sta facendo il Ministero per valorizzarli?
“Sono prodotti in crescita sul mercato, che rappresentano l’identità del nostro Paese. Si tratta di un mercato che tra l’altro ha delle potenzialità ancora enormi e da esplorare, soprattutto negli Stati Uniti e nel Nord America: come Ministero, siamo promotori di un programma di promozione specifico, grazie al supporto e al lavoro fatto dall’Agency Italian Trade – ICE a New York”.
In cosa consiste questo programma?
“L’obiettivo è di inserire il mercato agroalimentare italiano sotto l’ombrello dell’Italian Taste, differenziando però i prodotti di marca da quelli DOP e IGP. Il nostro lavoro di promozione si sta focalizzando su tutti i canali: dai mass media ai canali di presentazione della grande distribuzione, fino al legame che c’è tra sistema agroalimentare ed enogastronomia”.
Due anni fa, l’esperienza di Expo 2015 a Milano ha segnato un capitolo importante del mercato del food nel mondo. C’è un filo che lega quell’esperienza all’attività di oggi del Ministero?
“Expo è stato un momento importante, fondamentale per far conoscere il sistema agroalimentare italiano di qualità, anche attraverso le attività all’interno del Padiglione Italia. Un evento grazie al quale il mondo ci ha guardato”.
Nel bene, ma anche nel male…
“I 22 milioni di visitatori però ci dicono che il mondo è venuto a visitarci, oltre che a guardarci: Expo non è stato un punto di partenza, ma è stato il punto dal quale abbiamo rilanciato il sistema agroalimentare italiano e sulla base del quale abbiamo avviato una serie di azioni promozionali a livello istituzionale. Negli USA e in Canada, così come in altri mercati come quello arabo e russo.
Relativamente a quest’ultimo, quanto può pesare l’embargo imposto dall’Unione Europea nei confronti della Russia?
“Non così tanto, in realtà. Perché i prodotti di qualità DOP e IGP non sono soggetti a un embargo diretto e durante le fiere che si svolgono in tutto il mondo gli ostacoli si superano”.
Insomma, embargo o no, sembra che la qualità stia tornando di moda.
“Sì, ma in realtà c’è dietro qualcosa in più”.
Ovvero?
“Oggi la qualità dei prodotti, oltre che di moda, è anche la priorità, il carro trainante dell’intero sistema agroalimentare e sta diventando necessaria anche per entrare nella grande distribuzione”.
Un mercato su cui però è difficile competere per più di una ragione, specialmente quando parliamo di Stati Uniti.
“Sì, ma ci sono dei margini di competitività su cui le nostre imprese hanno dimostrato di saper fare leva”.
Qualche esempio?
“È fondamentale oggi, e le imprese lo hanno compreso, legare il prodotto alla regione e al paese di provenienza. La qualità della nostra filiera, prima ancora della qualità del singolo prodotto, deve essere valorizzata e comunicata. Il connubio vincente è quello che intercorre tra agricoltura e arte, tra agricoltura e turismo, tra agricoltura ed enogastronomia, il tutto sotto il cappello del patrimonio culturale, uno dei principi di base del Trattato dell’Unione Europea”.
Le criticità però rimangono. In questo contesto, siete preoccupati dalle politiche conservatrici annunciate dall’amministrazione Trump?
“Fare previsioni oggi è abbastanza difficile, io però mi baso sui dati certi è quello che vedo è un mercato in cui il trend delle esportazioni rimane in crescita, specie negli Stati Uniti”.
L’amministrazione statunitense quindi non può influenzare negativamente questo trend?
“Oggi c’è un consumatore americano che ha voglia di un prodotto genuino, ricercato e ultra-certificato, e quello italiano lo è. I nostri prodotti sono soggetti a controlli durante tutta la filiera e questo viene apprezzato, al netto di quali siano gli annunci che possono essere fatti sulla revisione di certi trattati internazionali. I dati lo confermano: l’economia vive di ritmi suoi”.
In Italia si andrà al voto, quest’anno o nel 2018. Neanche la fase di transizione di governo e l’instabilità che si respira oggi a Roma potrà influenzare questo trend?
“Anche in questo caso, no. Sono le imprese che fanno il sistema, non la politica. La politica deve accompagnare il sistema e nel corso di questi mesi il presidente Sergio Mattarella e i Ministri si sono recati in diversi Paesi del mondo proprio per questa ragione: sostenere le imprese nello sviluppo della commercializzazione dei prodotti. L’inerzia è positiva, il trend è in corso e solo un pazzo potrebbe fermarlo”.
Sempre di più, oggi, gli addetti ai lavori si chiedono se abbia ancora senso utilizzare il termine globalizzazione, visto che il trend sembra essere indirizzato verso il glocale. Lei come la vede?
“Credo sia così: abbiamo sempre detto che globalizzazione possa essere uno strumento di sviluppo per i prodotti di nicchia, e lo sta dimostrando. Globalizzazione significa mercato sempre più aperto e, se non ci fosse, oggi non potremmo far conoscere i nostri prodotti di nicchia, quelli locali. In questo contesto, la forza del nostro sistema è che abbiamo prodotti di qualità ma anche un sistema di consorzi che altri Paesi non hanno”.