Che sono un po’ una foodie in grado di percorrere chilometri su chilometri solo per la chimera di assaggiare qualcosa di nuovo lo avrete ormai capito. Il fatto è che pochi giorni fa ho finalmente trovato una partner in crime ancora più motivata di me e insieme siamo una coppia piuttosto inedita. Lei si chiama Janice, di età potrebbe essere mia nonna e in effetti il suo sguardo vivace me la ricorda, ma di spirito è curiosa, attenta e piena di vita ben più di me. Sono rimasta immediatamente colpita dalla sua voracità, anche e soprattutto intellettuale e dalla sua capacità di godere, a dispetto dell’età e dei limiti fisici, di ogni singolo piccolo piacere, che si tratti del profumo di un fiore o di un sapore esotico.
Janice è nata a Chicago, poi quando era sposata, ha viaggiato tanto. Ha vissuto a New York per qualche anno e in diverse città in Europa e in Africa. Poi è tornata in America e ha deciso di avvicinarsi a quel po’ di famiglia che le restava, in California. Viveva a Santa Barbara: “Deve essere un posto da sogno!”, le ho detto. E lei: “Mica tanto! È come una bellissima persona senza cervello, una donna come noi ha bisogno di stimoli”. Inutile, dirvi quanto è stato gratificante per me che una donna così colta e intelligente e libera usasse quel “come noi”, riconoscendo che abbiamo qualcosa in comune. Dice Janice che quelle “come noi” le riconosci subito, perché non temono la solitudine e anzi la cercano, a meno che l’alternativa non sia un’ottima compagnia come ci è capitato.
Dice anche che New York per lei è l’unica città possibile, l’unico posto che continua a offrirle stimoli e a farla sentire viva. Sostenendo questo, contraddice un mio pregiudizio. Ho sempre pensato che New York fosse una città troppo difficile per gli anziani. È una città frenetica, veloce, nervosa, scomoda. Eppure può essere che una signora come lei che ha superato i 70 anni e che ha qualche leggero problema di salute tanto da doversi spostare con un adorabile maltese come cane di accompagnamento, nonostante tutte le oggettive difficoltà di New York, scelga di stare qui per la gioia di starci e ogni mattina si svegli con la voglia di esplorare e conoscere qualcosa di nuovo.
Ok, ma in tutto questo non vi ho detto come ci siamo conosciute, quindi faccio un passo indietro.
Dovete sapere che da qualche mese ad Alphabet City ha aperto un ristorante che si chiama Raclette e il piatto principale è proprio la Raclette ovvero un formaggio svizzero, la cui forma viene tagliata a metà e scaldata a fuoco lento. Quando la parte superiore del formaggio diventa sufficientemente morbida è il momento di rovesciarla/raschiarla (raschiare sarebbe in effetti la vera e propria traduzione del termine racler in francese) su un piatto di patate. Insomma, la raclette non è tanto basata su una ricetta quanto su un metodo di cucina, un po’ come la più comune e semplice fondue. E io ne avevo sentito parlare, ma non avevo mai avuto modo di assaggiarla. D’altronde se c’è una cosa bella di New York è che davvero offre la possibilità di assaggiare il meglio del meglio di ogni cucina del mondo.
Una delle mie fonti principali per tenermi aggiornata sui ristoranti di New York è Instagram. È molto più diretto di qualsiasi app di ratings perché consente di vedere direttamente le foto dei consumatori. Ci si fa un’idea dei piatti, non solo come li vogliono presentare i ristoratori, ma anche e soprattutto come li trovano i clienti. La mia partner in crime, appartiene a un’altra generazione e si affida ancora alla stampa tradizionale, ma come me è parecchio attenta alle novità e soppesa le fonti, comparandole. Non ci ha pensato due volte a muoversi dall’Upper West Side fino a Avenue A, quasi all’altezza di Tompkins Square per assaggiare la raclette, quando ha letto recensioni entusiastiche su tutta la stampa che conta da The New York Times a The Gothamist. The Village Voice lo ha addirittura definito il miglior ristorante dell’East Village.
Non aspettatevi, però, un locale grandioso. Come tutti i posti più gloriosi di New York, l’aspetto può essere spiazzante. Arrivate all’indirizzo che avete impostato su Google Maps e quasi passate oltre per quanto è piccolo. Ci sono quattro tavoli in tutto e visto da fuori sembra più un fast food che un vero e proprio ristorante. L’arredamento è decisamente essenziale, in linea con l’esaltazione dell’unico elemento veramente importante: la raclette. La forma, tagliata a metà, troneggia su una vetrinetta che è quasi un altare, attorno alla quale c’è il giusto spazio per compiere come si deve tutte le spettacolari operazioni. Tutto il resto dello spazio è sacrificatissimo e soprattutto, il locale è sempre strapieno. La prima volta che ci sono andata, infatti, non ho trovato posto.
Ricordo di essere rimasta sconvolta dal fatto che un locale così piccolo avesse una hostess all’ingresso che regolava le prenotazioni. Io non avevo capito di avere a che fare con qualcosa di così grosso e non avevo alcuna prenotazione, così ho ripiegato su un grande classico: l’intramontabile Tompkins Square Bagels. Se siete in cerca di comfort food è una validissima alternativa. Ci sono decine di cream cheese diversi, alcuni ai sapori più impensabili tipo Nutella o Birthday Cake. Insomma, ho trovato il modo di consolarmi, ma la curiosità per Raclette era rimasta.
Qualche giorno fa sono passata per caso lì davanti e il posto era incredibilmente meno pieno del solito, ho pensato potesse valere la pena mettersi in lista d’attesa. Di certo non pensavo di avere la chance di potermi sedere subito. Invece funziona proprio così: per i party of one c’è la possibilità di dividere il tavolo, se si è entrambi d’accordo. Insomma, avete capito? Mi sono ritrovata a tavola con Janice e Max, il suo maltese ed è stato fantastico perché, in questo modo, abbiamo ordinato piatti diversi per assaggiare più cose e abbiamo parlato di qualsiasi cosa, dalle analogie tra Trump e Berlusconi al caschetto di Anna Wintour.
Nel frattempo il personale di Raclette è stato enormemente generoso, il bis di formaggio fuso è la regola e diversamente da come succede in altri locali in cui regna la fretta di scacciarti per fare posto al prossimo turno, ci hanno lasciato il tempo per un pranzo davvero piacevole.
Ha ragione Janice, questa è l’unica città possibile per noi. Non solo per la raclette e per le mille altre golosità di cui possiamo andare a caccia. Questa è davvero l’unica città in cui come donna, posso sentirmi sicura, non giudicata e addirittura capita, perfettamente a mio agio se decido di andare al ristorante da sola. Allo stesso tempo posso, poi scegliere di non essere più sola, dividendo il mio tempo e il mio cibo, con una donna che ha uno spirito in cui mi riconosco e che difficilmente incontrerei da un’altra parte.