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November 12, 2014
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E l’America scoprì il tartufo

Chiara ZaccherottibyChiara Zaccherotti
Time: 7 mins read

Acqua e sali minerali. Sembra quasi impossibile che da una combinazione così semplice di elementi possa nascere un vero e proprio gioiello quale il tartufo. Sotto terra, infatti, in simbiosi con le radici di alberi tipo il pino, il leccio, la quercia o la sughera, avviene il miracolo e il tubero più famoso al mondo prende forma, si colora e acquisisce quel profumo che manda in visibilio mezzo mondo. Dall'idea che i fulmini di Giove fossero i diretti responsabili della sua formazione (c'era chi nel I secolo dopo Cristo ne era convinto) a oggi, di acqua sotto i ponti ne è passata: il prodotto si conosce, si sa apprezzare e ci si riesce a fare un ottimo business.

L'Italia, da Nord a Sud, è un luogo ideale per la produzione del tartufo, bianco o nero che sia, e l'affare, secondo i dati diffusi dalla Coldiretti all'inizio di questa stagione, arriva oggi a far smuovere circa 200.000 raccoglitori autorizzati per un business che, calcolando anche l'indotto, viene stimato intorno al mezzo miliardo di euro. C'è voluta persino una Normativa Quadro (la Legge 752 del 16 dicembre 1985 “in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo”, successivamente aggiornata nel 2007) per regolamentarne lo sfruttamento e limitare il diffondersi di pratiche poco sostenibili. Oggi il tartufo si può raccogliere liberamente nei boschi e nei terreni non coltivati (a chi lo coltiva, se autorizzato a farlo, il dettame riconosce una certa libertà di conduzione), ma solo con l'aiuto dei cani (il maiale, anch'esso a lungo coinvolto nella ricerca del tartufo, causerebbe secondo la legge danni ambientali troppo elevati) ed escludendo in ogni circostanza la zappatura, la sarchiatura e l'aratura, che lo distruggerebbero. L'attività, così regolamentata, è diventata un business intercontinentale che ha reso la nostra penisola uno dei maggiori produttori ed esportatori mondiali di tartufo.

Quanta strada è stata fatta

Da Oriente a Occidente, sono in pochi quelli che ancora non conoscono il meraviglioso mondo del tartufo e, da che se ne sapeva poco o niente, siamo arrivati addirittura a “profanarlo” nei modi più impensati: si gratta sulle patatine fritte (a New York, Delicatessen propone ai propri clienti questa versione fancy delle classiche french fries), sul sushi e persino sui pop corn. Oltre All'asia, il mercato che oggi sembra “tirare” più di tutti, il tartufo piace molto (e non da ora) anche all'America. Quello statunitense è uno dei mercati più importanti per l'Italia e il miglioramento che negli anni c'è stato nella cultura gastronomica locale ha portato a un'eccellente sublimazione del prodotto.

Olga Urbani

Olga Urbani

“Quando nel 1850 il mio bisnonno è arrivato per la prima volta negli Stati Uniti – ci racconta Olga Urbani, a capo della famosa azienda di Sant'Anatolia di Narco, in provincia di Perugia, che proprio a New York ha trovato una delle sue maggiori fortune – gli americani percepivano il tartufo come una cosa strana, sconosciuta. Oggi il tartufo piace molto in tutta l'America grazie anche alla bravura degli chef, che hanno raggiunto nella cucina e nella gastronomia una tecnologia eccezionale. Mentre in Italia si cucina come si cucinava un tempo, in America gli chef propongono piatti al tartufo incredibili. A New York ci sono dei ristoranti che riescono a trasformarlo in un modo che all'inizio mi ha visto scettica, ma che poi mi ha aperto un mondo nuovo”.

Se agli italiani piace in purezza, infatti, dall'altra parte dell'Oceano il tartufo ha trovato una sua nuova natura, fatta di contaminazioni, sapori forti e accostamenti tra i più disparati. La nostra tradizione lo vuole abbinato a piatti poveri, ricchi di proteine e neutri; qua si mangia persino con l'aragosta.

La famiglia Urbani si è spostata per decenni tra l'Italia e l'America e nelle lettere di famiglia che Olga ha raccolto e custodito nel Museo del Tartufo, fatto costruire in memoria del padre, ci sono delle storie bellissime che raccontano il rapporto tra questi due mondi. Nei pranzi e nei banchetti a base di tartufo organizzati ad hoc, gli italiani ci hanno saputo fare e hanno a poco a poco diffuso il verbo (a fare gioco anche il fascino di qualcosa che veniva da lontano), educato i loro nuovi interlocutori e fatto entrare il tartufo nella conoscenza comune di tutti gli americani. La mescolanza tra abitudini e culture, da una parte, e la necessità di adattarsi a un mercato che comunque dettava le proprie leggi, dall'altra, hanno sottoposto i “tartufai” italiani a una continua innovazione di prodotto, un processo al quale neanche Urbani ha potuto sottrarsi. Oltre a una nuova linea pensata appositamente per il mercato USA, o ai bastoncini di tartufo fresco per i rolls giapponesi (“quel cibo che va tanto di moda e che mette d'accordo il gusto di americani, italiani e asiatici”, così lo aveva definito Olga Urbani in una nostra precedente intervista), l'azienda umbra ha anche prodotto due tipologie di sale al tartufo, una col bianco e una col nero, che gli americani di oggi usano a loro stravagante piacimento.

Questi aurei trascorsi statunitensi uniti a un'industria della ristorazione tra le più floride al mondo, hanno fatto di New York un centro nevralgico per il business del tartufo: 26.000 i ristoranti racchiusi a Manhattan e un'utenza che fa gola a tanti. Oggi la concorrenza tra chi trasporta letteralmente i tartufi dall'Italia alla Grande Mela è forte, ma c'è spazio per tutti e la nicchia che ognuno si può ricavare può fare davvero la differenza.

Lady Truffle

Raccontano di una signora che negli anni 80, dall'Italia, arrivava in aereo a New York e dall'aeroporto, servita con una limousine, consegnava i tartufi direttamente ai ristoranti. Se questa donna sia realmente esistita o sia una leggenda non si sa, sta di fatto che oggi la città ha di nuovo una sua “signora del tartufo”. Si chiama Francesca Sparvoli, viene dalle Marche e in meno di due anni si è guadagnata il titolo di Lady Truffle. Al fianco di Marco Bassi nella DONE4NY LLC (Bassi ne è il fondatore), Francesca ha iniziato a farsi conoscere tra i ristoratori della City, cercando di valutarne la richiesta e stimolando al contempo un suo incremento.

“La concorrenza a New York è terribile – spiega – e se non arrivi in tempo qualcun altro ha già finalizzato la vendita al posto tuo. Non sai mai con quali quantitativi avrai a che fare in più devi fare i conti con un prodotto che è deperibile e che appena arriva deve essere venduto. Di sicuro i ristoranti italiani sono quelli più presi d'assalto, ma noi non vendiamo solo a loro”.

Francesca Sparvoli, la Lady Truffle di New York (Fonte: New York Post).

Francesca Sparvoli, la Lady Truffle di New York (Fonte: New York Post).

Il tartufo che la DONE4NY importa proviene da Acqualagna, uno dei centri più produttivi d'Italia. Nonostante quello che hanno scritto i giornali e si è sentito dire anche dalla Fiera di Alba, quest'anno, ci rivela Lady Truffle, la stagione del tartufo non è stata delle migliori: molta pioggia all'inizio che ne ha fatti uscire tanti, ma poco profumati, poi il troppo caldo che li ha bloccati. Nonostante tutto, la stagione si è ripresa e anche quest'anno, con l'arrivo del clima autunnale, ha creato un gran fermento tra chi lo trova, chi lo vende e chi non vi sa rinunciare a tavola, sia nel nuovo che nei vecchi continenti.

Anche Francesca ci conferma che il tartufo agli americani piace e con i suoi prodotti derivati, in termini di costo sicuramente più accessibili al tartufo puro, viene apprezzato quasi da tutte le fasce di consumatori.

“La parola tartufo oramai la vedi un po' su tutto, dalle catene al Mac&Cheese. Ovviamente c'è chi sa di cosa stiamo parlando e chi magari mescola il bianco con il nero nello stesso piatto. La crisi comunque si è sentita e il boom sul consumo di tartufo che c'è stato negli anni 2000, prima del 11 settembre, oggi si è abbastanza ridimensionato”.

Forse in questo momento è vero che il continente asiatico è più attraente per chi col tartufo ci fa affari, ma nonostante tutto l'aurea che il prezioso tubero si è guadagnata su tutte le tavole del mondo ne fanno un evergreen dal fascino mistico, innovativo e intramontabile.

Gli eventi a New York

Urbani, da buon ambasciatore, ne ha in programma un bel po'. Si inizia a novembre con una serata al Craft Bar (Funky & Fresh, il 14), un evento con Vogue (il 19, che Urbani sponsorizza) e una sorpresa (il 21, nell'ambito dell'IACC Gala da Cipriani) a Claudio Bozzo, che lascerà la Presidenza della Chambers of Commerce di New York per trasferirsi altrove.

“Per questa serata – ci anticipa Olga Urbani – abbiamo preparato una sorpresa speciale, che quest'uomo merita da un punto di vista personale e umano al di là del business”.

Si continua a dicembre, con truck shows sempre "griffati" Urbani (4, 6, 11 e 18 in Bloomingdales sia a Soho che sulla 59th strada), giornate tematiche sul tartufo organizzate in collaborazione con Eataly (il 7 e il 17), cene (l'8 e il 9 dicembre al ristorante messicano Toloache, con lo Chef Julian Medina) e truffle class (il 13, da William & Sonoma).

La perla. Oltre al grande Urbani, c'è anche chi il tartufo lo celebra in un modo un po' più polare: la BuonItalia. Questo piccolo supermercato nel cuore del Chelsea Market organizza da 10 anni la Festa del Tartufo Bianco Fresco, un'occasione che i palati più esigenti non potranno perdersi, che quest'anno si terrà il 19 e il 20 novembre (dalle 6 alle 9 pm).

Suggerimenti: se vi è venuta un'improvvisa voglia di tartufo, lasciatevi ispirare dal Menù che abbiamo selezionato per voi.

 

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Chiara Zaccherotti

Chiara Zaccherotti

Laurea in Scienze della Comunicazione e un master in Giornalismo Ambientale, ho iniziato a lavorare nella comunicazione integrata, occupandomi redazione, ufficio stampa e organizzazione di eventi. Redattrice dal 2006 per varie testate (Rinnovabili.it, Metro, La Repubblica) e giornalista pubblicista dal 2012, sempre più occupo di coordinamento editoriale e gestione web. Cambio cappelli con estrema facilità e sono un'irriducibile ottimista. Maremmana di nascita e di indole, ho vissuto e lavorato a New York per 4 anni, dove ho imparato che se una cosa la riesci a fare lì, allora la puoi fare ovunque.

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