Città di cultura e creatività, di silenziosa generosità, di contrasti tra bellezza e dolore, tra luce e oscurità, ma anche di caos e di abbandono criminale: Napoli è una città unica al mondo che non chiude la porta in faccia a nessuno e che sta dimostrando sempre di più che “cambiare” è possibile facendo personalmente i conti con gli stereotipi che troppo facilmente la condannano.
È quanto emerge dal seducente docu-film Posso entrare? An Ode to Naples di Trudie Styler presentato, al MAXXI, alla diciottesima edizione della Festa del cinema di Roma.
“Io non sono italiana, sono napoletana. Napoli è una cultura a sé” disse una volta la grande Sophia Loren. Tenendo presente quanto da lei detto, lo spettatore coglie meglio che la carica innovativa del documentario è il non essersi soffermato solo sul noto “nuovo Rinascimento” del quartiere Sanità, ma di aver dato spazio alle diverse sfaccettature della città, ad un sistema di connessioni tra le persone e il territorio al fine di non dispendere – anzi, di migliorare quando possibile – le tante risorse positive, ambientali ed umane, che la città possiede, anche se molte ancora non emerse e incentivate.
“L’atto d’amore per Napoli” dell’attrice e produttrice cinematografica inglese Trudie Styler (nonché attivista per i diritti umani, ambasciatrice Unicef, coltivatrice biologica e moglie di Sting dal 1992, ndr) è un profondo incoraggiamento a coltivare i rapporti d’interazione e di scambio con chi continua a impegnarsi e ad investire nella crescita di Napoli, perché ciò costituisce una straordinaria possibilità per i suoi abitanti di essere finalmente altro rispetto ai cliché che li affliggono.
Posso entrare? An Ode to Naples è introdotto dal brano Neapolis del rapper napoletano Clementino che celebra la resilienza del popolo napoletano e le contaminazioni, dovute alle tante invasioni subite, che lo rendono unico al mondo. Il docufilm – che vede il due volte candidato all’Oscar Dante Spinotti alla fotografia – lascia che siano i napoletani a raccontare la loro storia mentre presenta le varie anime della città: dalla musica al cibo, dalle opere d’arte, esterne e sotterranee, alla creatività, dalla storia al Vesuvio al teatro dell’arte messo sempre in scena nella vita quotidiana.
E lo fa attraverso interviste, prima fra tutte, ed era “di dovere” vista la storia, quella a don Antonio Loffredo, parroco “ribelle” e illuminato del quartiere Sanità che negli ultimi quindici anni è andato ben oltre allo sviluppo di un quartiere conosciuto prima solo per le faide di camorra: ha fatto viaggiare e studiare molti dei ragazzi – inizialmente senza prospettive – che poi, attraverso la creazione di un’orchestra, scuole di teatro, scultura e musica e l’utilizzo iniziale della sacrestia della chiesa come palestra di pugilato per i giovani disagiati, hanno scelto di non scappare e restare per contribuire a riscattare il quartiere e coloro che ci abitano. Ragazzi, quindi, che hanno ripreso in mano il proprio destino, seguendo un sogno a cui hanno dato solidità e certezza.
Seguono le testimonianze e riflessioni dell’attore Francesco Di Leva, fondatore del Teatro NEST a San Giovanni a Teduccio; dello scrittore Roberto Saviano; dello street artist Jorit che ha trasformato con i suoi murales il complesso residenziale Le Vele, a Scampia, controllato dalla malavita; delle attivissime “Forti guerriere”, donne, giovani e mature, impegnate nell’omonima associazione che combatte in difesa delle donne malmenate da fidanzati e mariti; dello chef Alfonso Iaccarino; dei castagnari Immacolatina e marito che, da sessant’anni, vendono castagne allo stesso angolo di strada e infine di Antonio, veterano delle Quattro Giornate di Napoli durante la Seconda guerra mondiale.
Nel docufilm c’è anche una breve apparizione musicale di Sting. Il cantautore inglese – che ne fa parte non perché marito della regista ma come un simbolo di quanto la città partenopea sia impegnata nel cambiare faccia – è stato coinvolto in un progetto rieducativo, nato nel carcere di Milano Opera ed approdato in quello di Napoli Secondigliano, che ha previsto la consegna a Sting di una chitarra realizzata da tre detenuti dell’Alta Sicurezza della casa circondariale napoletana diventati liutai: il legno utilizzato per costruire gli strumenti proviene da una barca utilizzata da migranti verso le coste italiane. Per ringraziarli del dono, il bassista e frontman dei Police ha tenuto un breve concerto.
Napoli è sopravvissuta per 3000 anni: non è quindi una nuova realtà da raccontare, ma Posso entrare? An Ode to Naples, catturando e rappresentando l’anima di una città così complessa e colma di arte, storia e contraddizioni, fa capire – a chi lo vuole – quanto Napoli sia davvero unica, straordinaria.
Quanto il docufilm sia spontaneo nei suoi attori lo dice anche il titolo: quel “Posso entrare?” è infatti la sintesi della storia di questo bel lavoro che ha visto Trudie Styler bussare per due anni alla porta delle case di napoletani, anche sconosciuti, per conoscere le loro storie. Tutti l’hanno fatta entrare!