Per risolvere i problemi legati ai riferimenti storici imprescindibili nella Tosca di Puccini alla battaglia di Marengo del 14 giugno del 1800, in cui i francesi di Bonaparte sconfissero gli austriaci, la regista argentina Valentina Carrasco ha immaginato una troupe negli Usa che negli anni ’50 sta girando il film “Marengo”.
La Carrasco, sempre attenta a contestualizzare le sue opere nella contemporaneità anche con riferimenti di denuncia politica e sociale, ha intrecciato alla storia del libretto di Illica e Giacosa la caccia negli Stati Uniti di quegli anni agli attori vicini al comunismo inseriti nella Hollywood Blacklist.
La realizzazione pratica ha sofferto la forma stretta e allungata dell’arena dello Sferisterio, che è risultata un po’ inadatta ad un allestimento molto ricco, dove avvengono in scena più cose contemporaneamente, com’è nello stile della regista. Il risultato rende difficile avere una chiara visione d’insieme e genera il rischio concreto di perdere le prime battute di scene importanti dall’altro lato del palco se non si sta molto attenti.
Nella scena cruciale tra Tosca e Scarpia, ad esempio, nel set della Sala ricevimenti di Palazzo Farnese si gira il film e lo sguardo è attirato da quella parte, ma lo scontro tra i due avviene invece dall’altra parte del palco, nella roulotte di Scarpia, dove il produttore del film muore a colpi di cinepresa.
Se la parte di Floria Tosca è stata affidata alla bravissima Carmen Giannattasio, il tenore Antonio Poli, al debutto nel ruolo, è apparso ancora non pronto per interpretare Mario Cavaradossi. La sua cavatina “Recondita Armonia” ha lasciato perplessi, ma la sua prestazione è stata in crescendo: l’entrata in scena della Giannattasio lo ha molto aiutato a superare le incertezze iniziali e sia durante la tortura, che in “E lucevan le stelle” ha convinto di più, sfoderando buone doti vocali e dimostrando ottime capacità da attore.
Il baritono Claudio Sgura è uno Scarpia dalla forte caratterizzazione dandy-viscido, ottimo tecnicamente, ma il suo è un personaggio “freddo”, cerebrale, che non suscita grandi emozioni. Si fa notare il famoso pastorello che canta in romanesco, sostituito da una bambina che va con la sua mamma ad un provino, altra ottima idea in linea con il contesto. Il coro, guidato da Martino Faggiani, riesce nel primo atto a mantenere compattezza malgrado la confusione in scena. Sul podio, alla testa dell’Orchestra Filarmonica Marchigiana, il maestro Donato Renzetti, che si concede qualche sottolineatura forte, tanto da coprire le voci, in una direzione nel complesso scorrevole e di livello, come ci si aspettava.
Le scene di Samal Black sono, come di consueto, ricche di inventiva e caratterizzate da grandi oggetti simbolo, come l’angelo di Castel Sant’Angelo lasciato disteso in disparte ancora con le sue funi per il trasporto. Molto belle le luci di Peter van Praet.
Non aiuta molto la comprensione avere distinto i toni della realtà e della finzione: la prima caratterizzata dal colore, la seconda dal bianco e nero. Lasciano perplessi i costumi di Silvia Aymonino, sopratutto per Tosca, che non riescono a ben evocare il glamour che deve avere la Diva, belli invece quelli d’epoca per le parti del film.
Ed è proprio una scena del film che chiude l’opera, con un fucile per errore caricato per davvero e non a salve, come successo proprio lo scorso anno con la pistola consegnata ad Alec Baldwin sul set del film Rust, con la Giannattasio come Tosca che riesce a trascinare emotivamente tutti nel suo salto finale nel vuoto.