Top Gun: Maverick vola più in alto di tutti e batte il record storico di incassi per il debutto di un film in sala nel Memorial Day Weekend: circa 156 milioni di dollari incassati contro i 153 di Pirati dei Caraibi – Ai confini del mondo, di Gore Verbinski e con Johnny Depp, nel 2007.
Non solo questo primato: nella quarantennale carriera di Tom Cruise, il film segna il miglior debutto al box office di qualunque altro suo film ed è inoltre la pellicola che ha avuto la sua maggiore distribuzione al debutto, ben 4.732 cinema degli Stati Uniti!
Se da un punto di vista finanziario Top Gun: Maverick non ammette dubbi, dal punto di vista cinematografico ne apre invece diversi. È per certi versi un lungo “dejà vu”, pieno sì di riusciti effetti speciali, ma troppo scontato.
È mai possibile, nel 2022, dopo diverse avventure estere conclusesi non troppo “trionfalmente” per gli USA, presentare un film d’azione in cui i “nemici” (non indicati, per non compromettere la proiezione in mercati stranieri!) solo dopo infiniti missili sparati riescono a colpire l’aereo di Maverick (distrutto in volo ma lui non muore: occorreva un finale con “resurrezione degli animi”!) mentre i Top Gun ne abbattono a decine?
È mai possibile che, sempre nel 2022, si ripropongano ancora figure femminili con il ruolo di Biancaneve in attesa del Principe Azzurro, con storie d’amore che dalla prima scena sai già come andrà a finire? Suvvia, un minimo d’inventiva, di colpi di scena, non solo effetti speciali!
Bisognava dimenticare l’Afghanistan, le guerre del Golfo, tornare ad essere vincenti. Ed ecco allora dopo 36 anni, il sequel al Top Gun di Tony Scott (indimenticabili il suo ritmo serrato e la superba colonna sonora, con Take My Breath Away di Giorgio Moroder e Tom Whitlock che si aggiudicò l’Oscar).
Nulla sembra essere cambiato da quando Pete “Maverick” Mitchell (Tom Cruise) ha ottenuto il suo brevetto daTop Gun. Nonostante qualche ruga gli scavi il volto, non ha perso il suo sorriso smagliante e neppure la sua proverbiale testa calda che lo rende incapace di sottostare passivamente a ordini imposti dall’alto. Nonostante sia uno dei più formidabili piloti esistenti, ha deciso di rinunciare a qualunque promozione e lavora come collaudatore di aerei, occupazione che gli ha permesso di continuare a svolgere l’unica attività che lo soddisfa: volare.
Quando Iceman (Val Kilmer, qui in un breve cameo dopo la battaglia contro il cancro alla gola) lo sceglie come istruttore di una squadra speciale di allievi, Maverick è costretto a tornare all’accademia Top Gun, poco fuori San Diego. Un ritorno alle origini che lo costringerà a fare i conti con il proprio passato: tra i suoi allievi, infatti, figura Bradley “Rooster” Bradshaw (Miles Teller), figlio del suo defunto, vecchio compagno di volo Goose (Anthony Edwards, nel film dell’86).

Il Tom Cruise del 1986 era un simbolo dell’era Reagan, spavaldo, sbruffone. Quello del film di Joseph Kosinski è un essere malinconico, per certi versi nostalgico, ora inascoltato, quasi deriso dagli amici, che si trova a lottare contro superiori (ottimo il cameo di Ed Harris) ed un Governo ormai intenzionato ad usare i droni per evitare perdite umane. Insomma, addio alle spericolate imprese mozzafiato dei Top Gun, piloti da combattimento?
Il trauma della perdita dell’amico Goose non ha mai abbandonato Maverick, i suoi compagni sono diventati generali, mentre lui è ancora un capitano, e al suo fianco non ha nessuno (l’America di oggi – sembra dire la sceneggiatura – non riconosce i suoi difensori, i suoi paladini!). È un po’ un relitto di un’altra era che ha un’ultima cartuccia da sparare per dimostrare che l’aeronautica statunitense non può fare a meno di lui.
Quella di Maverick è un po’ come la vita di Tom Cruise, non vuole rassegnarsi al viale del tramonto e allora lotta, anche con se stesso, con allenamenti durissimi, per dimostrare di conoscere bene e saper fare ancora il proprio mestiere. Nel film è chiamato ad insegnare ad un gruppo di Top Gun come eseguire una missione difficilissima, al limite dell’impossibile: non è più uno di loro ma uno che fu come loro!
Un messaggio? Il sessantenne Tom Cruise (il prossimo 3 luglio), con capelli tinti di un nero profondo (?), fa ancora quel che faceva 40 anni fa cercando di sembrare il più giovane possibile! Come Maverick, comunque, lo fa molto bene. Inossidabile, determinato, pronto a tutto pur di centrare l’obiettivo!

Il film è purtroppo diviso in due, anche come qualità. Nella prima parte, i dialoghi sono un po’ fumosi, alcuni personaggi mancano di spessore psicologico e umano, non aiutati da una consequenzialità di ritmo e salvati solo da un po’ di umorismo.
La seconda parte è più dinamica, testosteronica, strapiena – forse troppo? – di effetti speciali, con sequenze mozzafiato mai viste prima (grazie anche a piccole cineprese montate sulle ali degli F-18), che rendono Top Gun: Maverick un’esperienza cinematografica assolutamente possibile solo sul grande schermo. Penso che non deluderà comunque gli amanti dell’originale con il suo “passaggio di consegne” sul sentimentale: non c’è più Kelly McGillis, la bella professoressa di astrofisica che aveva fatto perdere la testa a Maverick nel 1986; arriva ora Jennifer Connelly, che ha una figlia e ha rilevato il bar vicino alla base. Il popcorn movie è servito! Ci sarà un terzo Top Gun?
Va bene effetti speciali, ma senza esagerare, perché quando è troppo è troppo. Mi ha lasciato infatti davvero perplesso quanto affermato dalla rivista Aerotime, specializzata in questioni di volo, commerciali e non, su quanto sia realistico quanto mostrato.
Ecco alcuni aspetti:
Volare a Mach 10 significa raggiungere dieci volte la velocità del suono. Sono circa dodicimila chilometri all’ora. A questa velocità la manovrabilità rappresenta un problema: per esempio, l’aereo ipersonico SR-71 impiegava circa 230 chilometri (e 4 minuti) per compiere una virata a U: dunque, a differenza di quanto si vede nel film, nel tentativo di raggiungere e superare Mach 10, Maverick avrebbe fatto meglio ad andare dritto, senza curvare.
Inoltre, il film suggerisce che la difficoltà vera sia passare da Mach 9 a Mach 10, soprattutto a causa del surriscaldamento dell’aereo. In realtà questo fenomeno avviene già andando molto più lenti: il record di velocità appartiene all’X-15, che ha raggiunto Mach 6,7. In quel momento la temperatura cui era sottoposta la struttura era di 650 gradi Celsius (il ferro inizia a sciogliersi a 460° e il titanio a 455°). E mi fermo qui!