Autentica “apertura col botto” per la tredicesima edizione del Bif&st di Bari, con due standing ovation nello storico Teatro Petruzzelli, uno dei quattro teatri del capoluogo pugliese nei quali prende corpo l’intenso programma del festival ideato e diretto da Felice Laudadio.
A suscitare per primo l’entusiasmo del pubblico che gremiva il teatro è stata l’anteprima mondiale del film/documentario Bella Ciao-Per la libertà di Giulia Giapponesi, distribuito da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection.
Il film racconta i misteri, la trasformazione (ma non la genesi perché le teorie sono ancora molte e controverse) della forse più famosa canzone della Resistenza, che come per incanto continua ad essere fatta propria, ancora oggi, ovunque si combatta contro l’ingiustizia, come in Ucraina, dove è l’inno della resistenza contro Putin attraverso la nuova versione della popolare cantante folk Khrystyna Soloviy, che ne ha riadattato il testo.
Ma Bella Ciao non è propria solo della politica, come testimonia il fatto che sia stata un’hit nei concerti di famosi artisti italiani e stranieri (ancora memorabile la versione di Yves Montand), sia la colonna sonora della serie cult di Netflix La casa di carta e sia stata addirittura usata come jingle per uno spot commerciale indiano!

Nel film/documentario Bella Ciao-Per la libertà è encomiabile – e importante per la storia della canzone ma anche quella dei fatti – che la regista abbia sottolineato con la struttura data al suo lavoro che nella guerra contro i nazifascisti, di qualunque nazione, anche le donne hanno avuto ed hanno tuttora un ruolo importante: sullo schermo hanno infatti voce personaggi femminili del tempo della guerra partigiana ma anche figure contemporanee che utilizzando quella melodia – e adattando il testo alla realtà del loro Paese, hanno lottato o lottano: è il caso di una politica turca dell’opposizione, Banu Odzemir, che per Bella ciao è finita sul banco degli imputati perché accusata dal premier Erdogan di aver sabotato nel maggio del 2020 il programma dei minareti di Smirne che improvvisamente diffusero la melodia della canzone in tutta la città; o di una portavoce e combattente curda, Hazal Koyuncer, che, dall’esilio italiano ci fa capire come quel canto faccia parte del patrimonio della lotta per la libertà di quel popolo.
Una melodia, un inno di lotta oggi universale presente nella storia di più di 50 Paesi nel mondo, inclusi Sudan, Hong Kong, Iraq e Siria.
Sull’origine di Bella Ciao invece il film sottolinea la difficile matrice originaria, tanto che c’è chi nega che sia stata una canzone partigiana, come Luigi Morrone, avvocato con i pallino della storia, che sottolinea la sua inesistenza nelle varie edizioni del Canzoniere Popolare italiano e nei libri di quei tempi con le canzoni partigiane, ma c’è anche chi ne fa derivare l’origine dalla Brigata Partigiana Maiella che, risalendo una parte d’Italia, portarono con sé questo canto, contribuendo alla sua diffusione sul finire della seconda guerra mondiale, o anche dalla musica ebraica klezmer, per canzone scritta nel 1915 con la stessa melodia e poi portata in Itali da ebrei emigrati. C’è infine chi lo fa nascere nelle risaie attraverso la voce di protesta della mondina Giovanna Daffini per un lavoro molto faticoso e insalubre.
Insomma, tante origini diverse e il dibattito resta aperto e acceso!
L’unica cosa certa è che nella storia musicale sono poche le canzoni ad avere avuto una così ampia diffusione internazionale.

“L’idea alla base del film – ha detto la regista Giulia Giapponesi – è nata dalla necessità di ristabilire il percorso biografico di Bella Ciao alla luce del suo essere diventata canzone internazionale. Una necessità che diventa più urgente in questo momento storico di passaggio, dove la Memoria della Seconda Guerra Mondiale – raccontata dalla viva voce di chi ha vissuto l’occupazione nazifascista – lascia il passo alla Storia, intesa come racconto del passato attraverso le fonti documentali”.
Momento molto emozionante è stato quello vissuto al termine della proiezione: tutto il lungo iter dei titoli di coda è stato accompagnato dal battimani del gremito Petruzzelli al ritmo di Bella Ciao.
La seconda standing ovation ha salutato invece l’anteprima mondiale del nuovo film di Roberto Faenza Hill of Vision, una toccante ricostruzione filmica dei durissimi anni giovanili del Premio Nobel per la medicina, nel 2007, il genetista Mario Capecchi, un “genio vagabondo” a cui Faenza ha per così dire “sentito dentro il dovere, come italiano, di restituire quanto tolto negli anni della sua fanciullezza italiana.

“Hill of Vision”
Nato a Verona il 6 ottobre 1937, il giovanissimo Capecchi (interpretato da Lorenzo Ciamei e da Jake Donald-Crookes da giovane) sembrava destinato a vivere come un bimbo felice: suo padre, Luciano Capecchi (Francesco Montanari), era un ricco aviatore fascista e sua madre, l’americana Lucy Ramberg (Elisa Lsowski), poetessa e proveniente da un’agiata famiglia americana di artisti trasferitasi a Firenze. Mario ha solo 4 anni quando durante la Seconda Guerra Mondiale sua madre, liberale e promotrice di un giornale antifascista, viene arrestata nel 1941 e successivamente internata in un campo di concentramento tedesco. Il piccolo Mario trascorre l’infanzia per strada vivendo di espedienti, vagabondando tutto solo per le valli atesine e la Piana Padana recuperando qua e là un po’ di cibo, qualche vestito e un rifugio per le notti più fredde.
Finché trova rifugio nel Pio Istituto degli Artigianelli, un orfanatrofio di Reggio Emilia che fu per lui un’autentica ancora di salvezza. Finita la guerra, lui e sua madre miracolosamente si ritrovano nel 1946 e ricominciano una nuova vita negli Stati Uniti, presso la comunità quacchera Hill of Vision (da qui il titolo del film). Mario però non riesce a inserirsi nel nuovo contesto di normalità, fino a quando non ritrova il calore umano e il rispetto per le regole e gli altri nel grande affetto e umanità della zia (Laura Haddock) e la passione per la scienza grazie allo zio scienziato (Edward Holcroft). Il resto è storia per l’Oliver Twist della genetica.

Hill of Vision è un altro film di Faenza al cui centro c’è la vita di un giovane e la difficoltà del crescere (dopo quel piccolo-capolavoro di Jona che visse nella balena): è un film che ci ricorda l’importanza di non arrendersi mai, anche di fronte a situazioni che sembrano disastrose.
“Mi colpisce la capacità dei bambini di resistere agli orrori della guerra e voglio dedicare questo film a chi combatte oggi”, ha detto presentando il film al Bif&st.