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March 22, 2022
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Per gli Oscar c’è tutto “Il potere del cane”, ma attenti alla sorpresa in “Coda”

Questa domenica a Los Angeles grande abbuffata di cinema con il film di Jane Campion stra-favorito anche se ci sono altre opere che potrebbero sorprendere

Giuseppe SacchibyGiuseppe Sacchi
Time: 7 mins read

Il Covid, e sue sottospecie, stanno facendo lentamente passi da gambero e allora, dopo l’ultima edizione più unica che rara, del 25 aprile scorso con l’emergenza pandemia ancora in atto, l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences si accinge a celebrare a Los Angeles, al Dolby Theatre, la sua edizione numero 94 nel segno di un progressivo ritorno alla normalità e attenzione ai fermenti sociali. L’evento è stato preceduto il 15 gennaio dalla consegna di tre premi Oscar alla carriera: agli attori Samuel L. Jackson e Liv Ullmann e all’attrice, sceneggiatrice e regista Elaine May, insieme a un riconoscimento per meriti umanitari all’attore Danny Glover.

Un ritorno alla normalità che prevede però subito uno strappo non di poco conto: quest’anno a condurre la notte degli Oscar saranno tre donne, Wanda Sykes (nel 2005 ha recitato con Jane Fonda e Jennifer Lopez in Quel mostro di suocera), Amy Schumer (nel 2015 ha scritto e interpretato Un disastro di ragazza) e Regina Hall (famosa per aver ricoperto il ruolo di Brenda nella saga horror-comedy di Scary Movie e recentemente nella serie Perfect Strangers). Una scelta questa dell’Academy senz’altro figlia dei tempi in cui la diversità e l’inclusività di genere, di etnia e anche di età sono ormai diventate imprescindibili.

Aspettiamoci risate sicure nella sempre lunga serata! 

E veniamo ora alle varie categorie.

Migliore film

E’ vero che sembra esserci un grande favorito, cioè il western soft lgbtq Il potere del cane (The Power of the Dog) scritto e diretto dalla neozelandese Jane Campion (Palma d’Oro a Cannes nel 1993 per Lezioni di piano-The Piano e Oscar come Migliore sceneggiatura originale): ben 12 le candidature guadagnate, incluse quelle “più importanti” per Migliore film e Migliore regia). Tutto già deciso? No assolutamente.

Bisogna infatti non dimenticare che tra quelli con più nomination ci sono anche il film di fantascienza Dune di Denis Villeneuve (10), il riuscito dramma irlandese di Kenneth Branagh Belfast (il dramma di una guerra civile attraverso gli occhi di un bambino) e l’adattamento di Steven Spielberg di West Side Story (entrambi con 7); sono invece 6 quelle per il film biografico sportivo di Reinaldo Marcus Una famiglia vincente- Green King Richard (celebra Richard Williams – l’attore Willy Smith – padrone e allenatore delle figlie Venus e Serena e ne esalta la figura di sognatore testardo); con 4 candidature seguono il capolavoro o pasticciosa satira (?) sull’apocalisse/contemporanea società dei media (ha diviso la critica in ogni parte del mondo!) di Adam McKay Don’t Look Up (4); il dramma psicologico dalle atmosfere noir, semplice ma efficace, di Guillermo Del Toro La fiera delle illusioni-Nightmare Alley.

 

Ma attenzione! A scombussolare tutti i pronostici potrebbe però essere un film non in lingua inglese che vanta anche lui 4 candidature e potrebbe ripetere il trionfo del 2020 di Parasite del sudcoreano Bong Joon-ho: si tratta di Drive My Car, di Hamaguchi Ryusuke (primo giapponese a ricevere una candidatura in questa categoria e recente vincitore dell’Orso d’Argento all’ultima Berlinale con Wheel of Fortune and Fantasy): pluripremiato a Cannes, in altri festival e Migliore Film ai Bafta (Oscar inglesi). E’ un bel film, un racconto epico fatto di parole da ascoltare e guardare con pazienza: per Ryusuke la parola è struttura ritmica e timbro meccanico per dare un nuovo senso ai silenzi (mi lancio in un pronostico: se non quello di Migliore film porterà a casa l’Oscar – purtroppo per “E’ stata la mano di Dio” del nostro Sorrentino – come Migliore film straniero).

Sempre in gara in questa categoria ci sono poi (tutti con 3 candidature) l’elettrizzante, euforica lettera d’amore alla vita di Paul Thomas Anderson Licorice Pizza (una ballata che ci porta nel mondo irreale dei ricordi, dove tutto può accadere: non lasciatevelo scappare); il biografico A proposito dei Ricardo–Being the Ricardos, scritto e diretto da Aaron Sorkin con Nicole Kidman e Javier Bardem (l’iconico duo – nella vita e in televisione- Lucille Ball e Desi Arnaz, che raggiunse un successo folgorante, milioni di spettatori, nell’America degli anni 50, grazie alla serie televisiva Lucy ed Io, che cambiò profondamente il concetto di comicità.

Ho lasciato per ultimo un film (anche questo con 3 candidature) maggior aspirante (a mio giudizio) a poter cambiare le carte in tavola dei bookmakers, almeno stando a dati storici. Si tratta del toccante, trionfatore dell’ultimo Sundance Festival e film dell’anno per l’American Film Institute, Coda-I segni del cuore di Sian Heder (una ragazza udente – la bravissima Emilia Jones – in una famiglia di non udenti si ritrova divisa tra l’amore per la musica e l’affidamento che i parenti fanno su di lei come unico legame con il mondo esterno).

Questo è il film che Jane Campion deve temere davvero molto, anche perché, a differenza del suo, non è di produzione Netflix (non molto amata ad Hollywood): l’emozionante remake del pluripremiato film francese La Famiglia Belier, che racconta con delicatezza il tema della disabilità, ha battuto ai Producers Guild Awards (l’associazione dei produttori cinematografici) proprio il film della regista neozelandese. Negli ultimi 32 anni, ben 22 volte il vincitore del PGA ha poi vinto anche l’Oscar per il miglior film e dal 2009, solo tre film non hanno fatto doppietta, ovvero La grande scommessa e La La Land.

A svantaggio del film di Sian Heder c’è il fatto che non è candidato, come invece la Campion, anche nella categoria Migliore regista.

In questa categoria i riflettori sono tutti puntati su Jane Campion con Il potere del cane (The Power of the Dog). Qualche possibilità potrebbero avere Kenneth Branagh con Belfast e Ryusuke Hamaguchi con Drive My Car.

Miglior attore

I bookmakers danno per gran favorito Benedict Cumberbatch per la potente recitazione nel film della Champion. Dovrebbe contendersi la statuetta con Andrew Garfield che in Tick, Tick… Boom (dramma musicale e biografico che dichiara amore per Broadway) ha fornito una commovente e riuscita performance): l’opera prima di Lin-Manuel Miranda sottolinea l’importanza delle proprie aspirazioni contro tutto e tutti. La vera sorpresa potrebbe essere Javier Bardem (Being the Ricardos), attore molto amato ad Hollywood.

Migliore attrice

La lotta è tra Penelope Cruz (Madres Paralelas di Pedro Almodovar: due madri single, rimaste incinte per caso e molto diverse fra loro, danno alla luce i propri figli nello stesso giorno, condividendo la stessa stanza in ospedale) e Nicole Kidman (Being the Ricardos): per me, leggera preferenza per Penelope Cruz. 

Detto questo, c’è anche spazio per l’orgoglio italiano: le candidature di E’ stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino in gara come Migliore film straniero; di Enrico Casarosa per la regia del film di animazione Luca e di Massimo Cantini Parrini per i costumi di Cyrano.

Conclusione curiosa con un accenno alla classifica di chi ha ricevuto tante nomination ma… mai vinto un Oscar!

Al primo posto, con 17 nomination, c’è il compositore Greg Russell. Al secondo posto, con 15 candidature, lo scenografo statunitense Roland Anderson, che ha preso parte a quasi cento film tra il 1932 ed il 1969 ottenendo per ben 15 volte la nomination come Migliore scenografia, e Alex North, compositore americano autore della prima colonna sonora jazz per il film Un tram chiamato desiderio e poi delle colonne sonore di  Spartacus, Cleopatra e 2001: Odissea nello spazio. Ha però ottenuto l’Oscar alla carriera nel 1986 e insieme ad Ennio Morricone, che l’ha avuto nel 2007, è stato l’unico musicista ad aver ricevuto questo riconoscimento speciale. Segue il direttore alla fotografia Roger Deakins, nominato ben 13 volte. Tra gli attori spiccano invece Glenn Close e Peter O’Toole: entrambi nelle loro lunghe carriere hanno ottenuto 8 nomination ma mai una statuetta.

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Giuseppe Sacchi

Giuseppe Sacchi

Sono marchigiano, ma non esattore delle tasse. Amo il cinema e le persone, perché le loro vite sono film di vario genere, dal comico al thriller. Ho vissuto a New York 16 anni lavorando per "America Oggi", "Paese Sera", riviste Moda e King. In Rai ho condotto per 7 anni il programma "La Notte dei Misteri" e poi il giornale radio notturno. L'età non è quella della carta di identità ma quella che volete darmi.

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