«La vedi casa nostra lassù?» mi domandò una mattina mio padre. «Guardala, è scomparsa, e un giorno anche io me ne andrò senza dire niente a nessuno».
Siamo entrati per qualche giorno nel mondo di Macello, l’ultimo romanzo dello scrittore Maurizio Fiorino, edito da e/o. Fiorino è nato a Crotone nel 1984. Dopo un’infanzia assolata in Calabria si è trasferito prima a Bologna per frequentare il DAMS, poi a New York dove ha studiato storytelling all’International Center of Photography.
Siamo negli anni ’70. In un Sud scabroso e arcaico, nella cittadina di Bagnamurata – un minuscolo paese periurbano che, dopo l’ennesima alluvione, si è trasformato in un pezzo di terra inciampato tra due montagne – Biagio cerca in tutti i modi una via di scampo da un contesto che non sembra in grado di cogliere nessun tipo di poesia, se non quella grezza, che graffia il cuore, tipica delle vite bruciate. Figlio unico e orfano di madre, viene cresciuto da Giuseppe, il macellaio del paese, un uomo prigioniero dei propri silenzi. Il macello di Bagnamurata, così, oltre a rappresentare il luogo simbolo dell’intera storia, è la metafora perfetta di ogni singola vita che penetra nel romanzo con la stessa intensità di un cane sciolto e mosso dal bisogno di lasciare un segno, anche disperato, della propria esistenza.
C’è Vittorio, il vecchio “vizioso” del paese che paga i ragazzini in cambio di rapporti squallidi. Lia, la vicina di casa che pratica bassa magia fino a diventarne ossessionata. Poi Elsa, l’unica donna che sembra in grado di amare suo padre ma che, con la stessa rapidità con la quale si infila nella loro vita, così scompare. E Sara, una vecchia compagna delle scuole elementari che il protagonista finirà per sposare e che proverà, invano, a rendere felice. Infine lui, Alceo, un giovane sognatore che farà respirare a Biagio l’unico istante di tregua di quel mondo-tritacarne dentro il quale, prima o poi, si finisce dentro.
Senza sconti e con lucidità spiazzante, ci mostra gli abissi emotivi che ognuno di noi si porta dentro e che, come la lama sottile di un coltello, si insidiano sempre intorno alla stessa ferita, rendendola un’inarginabile e dolorosa crepa dentro la quale non si può che guardare a se stessi.
Fiorino qui esprime solo un aspetto del suo multiforme talento. Scrittore, fotografo, ha esposto in diverse gallerie statunitensi e frequentato gli ambienti artistici newyorchesi per quasi un decennio. Nel 2014 ha esordito con il romanzo Amodio, seguito due anni dopo da Fondo Gesù. Presso e/o ha pubblicato Ora che sono Nato (2019) e il racconto breve Erbacce (2020).
Se volete incontrarlo di persona lo trovate domani a Pescara all’Imago Museum. Alle 18.00 presenterà la nuova traduzione del classico degli anni ’80 La lingua perduta delle gru assieme all’autore David Leavitt.