Yasmin Reza è per antonomasia oggi “il personaggio artistico” dalle mille sfumature, senza mai perdersi nelle moltitudini del proprio eclettismo.
Nasce a Parigi, classe 1959, da famiglia ebrea. Inizia la sua carriera teatrale come attrice, partecipando a rappresentazioni di opere contemporanee e di classici di Molière e Marivaux.
Nel 1994 scrive Art (che assieme a Carnage) rappresenta l’acme della drammaturgia contemporanea; tanto da essere stata tradotta e rappresentata in oltre trenta lingue, e da aver ricevuto il premio Molière per “il miglior autore”.
In Gran Bretagna è andato in scena presso il West End, ricevendo nel 1997 il prestigioso Premio Laurence Olivier e l’Evening Standard Award come miglior commedia, e anche la produzione americana, ha avuto un grande successo a Broadway, ricevendo nel 1998 il Tony Award per il miglior spettacolo.
L’opera ha avuto anche diversi adattamenti televisivi.
Impressionante come la stessa serie di successi sia avvenuta anche per altri testi drammaturgici della stessa autrice, che spazia senza difficoltà tra l’impegno teatrale e quello cinematografico, basti ricordare l’enorme riscontro che ha avuto Le Dieu du Carnage , sia attraverso la versione teatrale, ovvero l’originale, che il film “Carnage” diretto da Roman Polanski nel 2011, avente come protagonisti Kate Winslet, Jodie Foster, Christoph Waltz e John C. Reilly.
Art rientra nella classifica delle opere più rappresentate della scrittrice francese, e abbiamo avuto il piacere di poterlo vedere in scena al Teatro Vascello, con la regia di Emanuele Conte e con la partecipazione di tre validi attori: Luca Mammoli, Enrico Pittaluga, Graziano Sirressi di Generazione Disagio.
Al Teatro Vascello di Roma è andato in scena lo spettacolo scritto da Yasmina Reza, diretto da Emanuele Conte e interpretato da Luca Mammoli, Enrico Pittaluga, Graziano Sirressi di Generazione Disagio.
Il testo, di grande livello sia psicologico che dialettico, parla di tre amici e di come il loro sentimento di amicizia, a volte, possa subire dei duri colpi a causa del non detto.
Nella seconda parte della pièce, invece lo spettacolo diventa un dibattito sull’idea e la funzione dell’arte, come se esistesse uno specchio atto ad ingigantire le differenze di personalità, attraverso la lente d’ingrandimento dell’opera d’arte stessa, intesa come espressione emblematica dei nostri tempi e della nostra storia sociale contemporanea.
Il fitto dialogo tra i protagonisti, si sviluppa tra il serio e il faceto, generando riso e partecipazione, alternate a tristezza e senso di vuoto.
Proprio per rendere al massimo le emozioni di solitudine, il regista sceglie una disposizione degli attori, sempre frontale rispetto al pubblico, in modo tale che non si possano mai guardare in faccia tra loro, l’emozione che rimanda questa soluzione scenica è quella di una continua inquadratura di ogni singolo personaggio da parte di una mdp onnipresente.
Questo tipo di scelta stilistica sublima in modo determinante il concetto di solitudine e di incomprensione dell’altro e del mondo: gli attori rappresentano delle monadi in contatto tra loro solo grazie al caso, che in definitiva è la nostra esistenza.
Il linguaggio della Reza è reso bene grazie a uno stile a tratti grottesco ed ironico, in cui la verità sembra essere lontana, ma in realtà è sempre presente, grazie ad una regia in cui le parole possono più di qualsiasi altro elemento fungere da tratto distintivo dell’opera nella sua parte più significativa.
Art si aggiunge alla schiera di successi della sofisticata scrittrice francese, confermandola come una delle più grandi drammaturghe contemporanee e donando respiro al nostro teatro nazionale, bisognoso di nuova linfa e coraggio.