Che Giobbe Covatta e Pino Quartullo fossero degli attori a tutto tondo lo sapevano in molti, ma che potessero intrattenere il pubblico con una commedia, ambientata in una mensa per artisti negli Studios di Hollywood e che ha come protagonisti due attori mitomani, assolutamente alla, non lo avrebbe mai sospettato nessuno.
Una scommessa interpretativa che fa sorridere e che fa riflettere contemporaneamente.
La scrittura autorale rende possibile uno scambio serrato di battute e la realizzazione di gag, che spaziano tra il comico e il tragico senza nessun passaggio intermedio tra un’emozione e l’altra, fondendole e confondendole con eleganza.
I protagonisti Leon e Burt si incontrano nella fatidica mensa degli “attori” losangelini ed entrambi appaiono per ciò che sono realmente: due outsider alle prese con una vita da artisti ingrata e mortificante, presi dai rimorsi e rimpianti, mancati successi, onirici ricordi; molti dei quali sono evidentemente una mera compulsione a ripetere un’azione fatta di presenze o assenze del tutto inventate come a reiterare un destino, forse voluto, di cui sono consapevoli.
Molto probabilmente i due saranno stati pure bravi attori, ma la loro sfortuna è agghiacciante e il sistema cinematografico americano non li avrà di sicuro risparmiati, viste le loro fragili personalità, schiacciate dalla giungla hollywoodiana.
Ci inteneriscono e diventiamo loro “supporter”, perché in loro possono essere proiettati molti altri personaggi reali delle nostre esistenze, alle prese con una vita a volte impossibile da superare nelle difficoltà, senza poter evitare di esserne vittime.
Nella drammaturgia di Cavosi, non compare esclusivamente la nevrosi dell’attore “sfortunato”, ma dell’uomo e nei suoi limiti strutturali e mentali, che vanno a comporre dei personaggi drammaticamente brillanti.
Giobbe Covatta (Burt) e Pino Quartullo (Leon) e i personaggi “hollywoodiani” ci conducono per mano raccontandoci la loro vita attraverso i loro film.
Leon sarebbe potuto essere il protagonista di 2001 Odissea nello spazio, il capolavoro di Stanley Kubrick, ma anonimo a causa del travestimento da scimmia.
Burt Bart invece ha sempre preso parte a molti film di successo, ma il suo ruolo (dal killer omosessuale ne Il Padrino al vampiro postino in Dracula, passando per l’accordatore del pianoforte di Sam in Casablanca, e persino per il venditore di preservativi ai dodici Apostoli) viene sempre irrimediabilmente tagliato in fase di montaggio.
Incredibile e struggente la visione dei falliti, dei borderline della vita, visti nella loro umanità e fragilità più ovvia, ma indispensabili e immensi pezzi delle nostre drammaturgie occidentali.
L’umano di “Hollywood Burger” si svela e si compie nella propria limitazione e fato, dando vita a innumerevoli cromatismi dell’animo.