Giuseppe Pedersoli, figlio di Bud Spencer e nipote di Giuseppe Amato (produttore de La Dolce Vita, Umberto D. e altri capolavori del neorealismo), si ritrova dietro la macchina da presa per la prima volta. Sessant’anni dopo la distribuzione (1960), Pedersoli dirige La verità su La Dolce Vita: un ritratto fedele e coraggioso di uno dei protagonisti della storia del cinema italiano, un viaggio nella genesi della produzione del film di Federico Fellini. Senza Amato non ci sarebbero stati film come Ladri di Biciclette di Vittorio De Sica (nel film vengono inseriti video di repertorio tra il regista e il produttore), Roma Città Aperta (fu proprio Amato a scegliere Anna Magnani del ruolo di Pina), Umberto D. (prodotto con lo stesso De Sica e Rizzoli, oggi considerata un’opera cinematografica di importanza storica e intellettuale), o Francesco Giullare di Dio (di Roberto Rossellini). “Io non sapevo niente di tecnica, ero sprovvisto di tecnica. Per questa ragione mi rivolsi all’amico Peppino Amato” dice Vittorio de Sica durante un inserto Rai.
Per fare un grande film bisogna avere un gran cuore, ribadisce Amato ad Angelo Rizzoli (fondatore della Cineriz) all’inizio del film, e il documentario di Perdersoli sembra dimostrarlo. In chiusura della mostra fotografica Fellini in Action: 8 1/2 Set Photography by Paul Ronald, organizzata in occasione del centenario del grande Maestro celebrato nel 2020, l’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles (IIC LA) e il San Diego Italian Film Festival hanno presentato questo weekend la West Coast premiere del documentario (inserito nella Selezione Ufficiale Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia).
Amato è di spalle (interpretato da Luigi Petrucci), sigaretta tra le dita, schermo ormai buio a proiezione finita. In voice over: “Abbiamo una grande carta per le mani, e non è ammissibile giocarcela male, sarebbe imperdonabile”. Così comincia il viaggio. Amato sta parlando dell’occasione de La Dolce Vita, la produzione sulla quale decise di scommettere, lottare, e per la quale infine si sarebbe ammalato arrivando a perdere la vita in un incidente. Una storia tragica e nobile che doveva essere raccontata prima o poi. Se non altro per ricordare ai posteri cosa fosse davvero credere nel cinema e nelle sue potenzialità, fino ad arrivare a quel vasto mondo ricco di sovrastrutture, luoghi e sogni descritto da Fellini. “Un produttore deve innamorarsi del progetto, investire sentimenti e non solo soldi. Fellini, Amato e Rizzoli hanno letteralmente lottato per portare avanti un sogno in cui nessuno credeva”. (Cit. Pedersoli durante l’incontro post Premiere).
Il prodotto è una fedele testimonianza tra lettere, documenti, citazioni e ricostruzioni recitate. “E’ tutto cominciato con una scoperta, documenti originali de La Dolce Vita che avevamo in famiglia e che erano con noi da sessant’anni. Un materiale incredibile su mio nonno Giuseppe Amato, un pioniere del cinema italiano dagli anni ’20 quando cominciò come attore. Da lì diventò regista e poi produttore.” racconta Pedersoli. Riusciamo a cogliere le qualità e le ambizioni di Amato, sognante mentre stringe il copione del film. Tutti gli intervistati confermano il suo genio e la sua più grande dote: “l’intuizione”. Tra questi, parla l’amico Alvaro Mancori che accompagnò Amato da Padre Pio per chiedere la benedizione nella realizzazione dell’opera. Dalle parole del critico cinematografico Marco Sesti apprendiamo un’analisi lucida e lineare sull’intero processo produttivo dai dettagli contrattuali all’analisi degli scambi epistolari tra i protagonisti.
Giueppe Amato portò avanti la realizzazione della mastodontica opera felliniana dietro una prima promessa di budget contrattualizzata (Federico Fellini firmò per non superare la cifra di 400 milioni e il film ne costò il doppio) grazie anche al supporto di Rizzoli. Attraversiamo dall’inizio alla fine quella fu una vera e propria epopea artistica, ricca di insidie, sfide e a volte tradimento. Completamente inedito il contributo di Marcello Mastroianni che ripesca dal calderone dei ricordi il primo incontro con Fellini sulla spiaggia di Fregene, quando ancora la produzione era in mano a Dino De Laurentiis che voleva Paul Newman come protagonista. Fellini però, cercava “una faccia qualsiasi”. “Io non mi sentii affatto umiliato. Benissimo, pronto, la faccia qualsiasi sono io”. Raccontando invece delle riprese e del modo di girare del regista, afferma “Quando ho chiesto la sceneggiatura volevo darmi un minimo di tono, o di dignità. Volevo fare il professionista”. Fellini fece portare il copione da Flaiano. “C’era una di quelle solite caricature, disegni, Fellini ne faceva in continuazione. In questa si rappresentava un uomo che nuotava con un sesso lungo fino al fondo del mare. Io arrossii, divenni giallo, verde, ma che potevo dire. Molto interessante, dove posso firmare?”.
Dalla moglie di Bud Spencer e figlia di Amato, Maria Amato, nasce invece il ritratto di famiglia. E’ lei a raccontarci del malessere del padre e della sua sofferenza personale durante le riprese. La vita di Amato ha qualcosa di straordinario, geniale, visionario. Ed è forse questo genio che non è stato in grado di resistere all’incontro con la follia felliniana. L’interprete di Amato sfonda la quarta parete durante il documentario e si rivolge direttamente allo spettatore: siamo coinvolti nella sua impresa, tifiamo per lui anche se sappiamo come andrà a finire, nel bene e nel male. La Dolce Vita fu un successo, sbarcando anche negli Usa dove fu acclamato. Questa pellicola argentata (nel documentario assaporiamo anche i dettagli tecnici delle scelte registiche) riesce ancora a incantarci, ancor più scoprendone i segreti.
E se è proprio Amato ad affermare che un regista deve sognare, decidiamo di chiederlo al regista Pedersoli durante l’incontro in live streaming moderato da Antonio Iannotta, direttore artistico del San Diego Film Festival.
Fellini era un sognatore, un sognatore lungimirante. Ha visto il potenziale de La Dolce Vita prima di chiunque altro. C’è bisogno di quel tipo di follia per risollevare le sorti dell’industria cinematografica moderna?”.
Pedersoli risponde: “Sicuramente. Penso che la follia sia un elemento chiave per l’arte, che altrimenti diventerebbe solo una professione. Essere un regista, un musicista, parte di questo è essere fuori dalla logica comune. La logica di chi non riesce ad esprimere quello che ha dentro. Sono sempre stupito quando vedo l’espressione umana nello sforzo di rompere le barriere come anime libere, senza i limiti della società. Questo non vuol dire essere violenti o rivoluzionari, ma rivoluzionari in senso culturale. Dobbiamo innovare, raccogliere sfide, e la follia è parte di questo processo”.
La verità su La Dolce Vita, 2020. Una produzione Arietta Cinematografica Srl in associazione con Istituto Luce – Cinecittà e Chianti Banca Credito Cooperativo. Prodotto da Gaia Gorrini. Distribuito da Istituto Luce-Cinecittà e distribuzione internazionale Intramovies.