Siamo degli esseri strani, fatti di ricordi nostalgici e di speranza nello stesso tempo, con il presente che ci offre l’appiglio per vivere l’oggi, magari con lo stesso entusiasmo di allora. È proprio quanto mi sta capitando nello scrivere sulla trentesima edizione del NICE (New Italian Cinema Events) che si terrà quest’anno prima a New York (dal 14 al 21 novembre) e poi a Filadelfia (dal 29 novembre al 6 Dicembre). Come non ricordare infatti l’entusiasmo con cui (allora neo newyorkese da 10 anni!) accolsi sul quotidiano “America Oggi” l’arrivo negli States, nel 1991, di questa “scommessa” sul nostro cinema indipendente ideata da Viviana Del Bianco e realizzata assieme a giovani toscani amanti della settima arte e vari operatori del settore e con la collaborazione di enti culturali italiani in America, quali l’Istituto Italiano di Cultura di New York con la collaborazione, la Casa Italiana Zerilli Marimò NYU, la Princeton University e il Mayles Documentary Center in Harlem.
Anthony De Mello, gesuita, scrittore e psicoterapeuta indiano, ha scritto che “Il solo male al mondo è la paura e il solo bene al mondo è la fiducia in sé stessi e l’amore per ciò in cui si crede”: era questo lo spirito che trasudava da quel giovane gruppo toscano che arrivò a New York animato dalla voglia di far conoscere fuori dai nostri confini particolari aspetti della nostra società per mettere a tacere tanti cliché e luoghi comuni che negli States hanno sugli italiani. Il grande successo di quella edizione (ricordo che, tra gli altri, c’era in programma il malinconicamente riuscito “La Stazione” diretto e interpretato da un emergente Sergio Rubini) è stato il trampolino di lancio per far capire a tanti che il cinema è un ottimo mezzo per conoscere vari aspetti della società contemporanea internazionale.
È proprio per questo che fin da quella prima edizioni il NICE si è sempre preoccupato di scegliere e presentare film di generi e tematiche diverse, poiché compito del cinema non è solo quello di far divertire ma anche riflettere, o magari tutti e due insieme, perché le esperienze altrui, di qualunque genere, devono farci riflettere sulle nostre scelte e possibilità.
Da allora l’avventura del NICE (l’associazione ha sede a Firenze) ha negli anni trovato seguito e consensi anche in altre parti del mondo, come Russia, Cina e Marocco.
Insomma, bisogna riconoscere che nel realizzare questa “scommessa” ormai trentennale la direttrice artistica Viviana Del Bianco, corrispondente e inviato di Vogue Italia dal 1994, ha dimostrato di essere un’attenta fruitrice del cinema italiano e una capace scopritrice di giovani, nuovi registi.
“Con questa trentennale edizione – ha detto Viviana Del Bianco – vogliamo mandare un positivo messaggio di speranza, riaffermando che il trovare nuovi modi per fare e mostrare il cinema italiano è ancora possibile e oggi forse ancor più necessario”.
Come nelle ultime edizioni, anche quest’anno accanto ai sei film in gara per aggiudicarsi il consueto Premio NICE Città di Firenze, ci sarà la presentazione di documentari (saranno 5), un genere spesso snobbato da molti cinefili ma che ha storicamente dimostrato il suo valore come fucina di idee e stili spesso poi riversati dai registi nei loro lungometraggi.
Ecco alcune anticipazioni sulla programmazione. Cominciamo dai sei film.
Tutto il mio folle amore (All my Crazy Love), 2019 regia Gabriele Salvatores e con Claudio Santamaria, Giulio Pranno, Valeria Golino, Diego Abatantuono e Daniel Vivian. Il film, presentato fuori concorso alla 76.ma Mostra del Cinema della Biennale di Venezia, ha ottenuto 5 candidature ai Nastri d’Argento, 1 candidatura a David di Donatello. Il lavoro è liberamente tratto dal romanzo di Fulvio Ervas “Se ti abbraccio non aver paura” ispirato alla storia vera di Andrea e Franco Antonello.
Willi è un cantante spiantato che si esibisce tra Nord d’Italia, Slovenia e Croazia. Non ha legami sentimentali, ma ha un figlio, Vincent, che però non vede dalla nascita. Un giorno decide di fargli visita e scopre così che Vincent è un ragazzo autistico. Per un episodio fortuito, i due decidono di passare insieme alcuni giorni, che diventano l’occasione per conoscersi meglio e imparare ad apprezzare finalmente quel legame padre-figlio a lungo desiderato.
Un riuscito road movie che ci permette di trovare il Salvatores dei vecchi tempi, a briglia sciolta, senza sovrastrutture.
Saremo giovani e bellissimi (We’ll Be Young and Beautiful), 2018, esordio alla regia di Letizia Lamartire e con Barbora Bobulova, Alessandro Piavani, Massimiliano Gallo e Federica Sabatini. Prodotto da CSC Production, la casa di produzione nata all’interno del Centro Sperimentale di Cinematografia per far debuttare i suoi allievi talentuosi, il film è passato alla Settimana della Critica del Festival di Venezia 2018.
Una meteora della musica pop vive riproponendo successi di un’Estate vecchi di vent’anni in provincia accompagnata alla chitarra dal figlio. L’equilibrio tra i due è incrinato quando il ragazzo ha l’opportunità di fare davvero carriera.
Cantante giovanissima di una sola estate, poi diventata subito madre (appena maggiorenne), Isabella (Barbara Bobulova) ormai superati i 40 anni ripete con ingenuo entusiasmo le sue esibizioni e le sue canzoni di un lontano successo in un piccolo locale di provincia (siamo a Comacchio in provincia di Ferrara), accompagnata alla chitarra dal figlio Bruno (Alessandro Piavani), che ha cresciuto da sola. Lei rimorchia ragazzi coetanei del figlio, lui cerca di far mettere la testa a posto a quella madre immatura che sogna di tornare a essere una star e non sa fare nulla. Un lavoro che si fa apprezzare per le tecniche di ripresa e la recitazione, anche se i personaggi risultano alla fine forse solo abbozzati. Non è colpa di Letizia Lamartire.
Simple Women, 2019, regia di Chiara Malta e con Jasmine Trinca, Elina Löwensohn, Anna Malvica, Francesco Acquaroli, Gea Dall’Orto.
Da bambina, Federica (una brava Trinca) viene colpita dal film omonimo di Hal Hartley in cui l’attrice Elina Löwensohn ha un attacco epilettico, proprio come lei. Divenuta adulta, Federica, ora regista, ha l’opportunità di girare un film sulla vita dell’attrice, dall’infanzia nella Romania di Ceausescu ai cult movie americani, scoprendo così la vera personalità della non più giovane Elina, mito in declino. Dovrebbe essere un film per rilanciarne la leggenda, ma sul set non tutto va come previsto: insomma, il cinema è un’illusione e gli idoli sono destinati a cadere prima o poi dal piedistallo. Il film di Chiara Malta vuole dirci spesso le cose non sono come le credi.
Sole, 2019, regia di Carlo Sironi. Ermanno è un giovane scapestrato. Quando suo zio decide di comprare il bambino di Lena, una ragazza polacca al settimo mese di gravidanza, Ermanno accetta di fingersi il padre del nascituro. La falsa coppia, però, pian piano si affeziona al bambino.
Sole, film diretto da Carlo Sironi e con Sandra Drymalska, Claudio Segaluscio, Bruno Buzzi, Barbara Ronchi, Vitaliano Trevisan. Presentato in anteprima al Festival di Venezia 2019 nella sezione Orizzonti, il film è certamente un’opera prima di alto livello. Racconta la storia di Ermanno (Segaluscio), un ragazzo che vive la sua vita in modo piatto, tra gioco d’azzardo e furtarelli. Un giorno conosce Lena(Drzymalska), sua coetanea di origini polacche, giunta in Italia incinta per vendere la sua bambina e con i soldi poter dare inizio a una nuova vita. Ermanno è deciso ad aiutarla a fingere che la piccola che porta in grembo la giovane sia sua figlia. Il piano coinvolge gli zii del ragazzo, che purtroppo non possono avere bambini, e potrebbero adottare la nascitura più facilmente proprio perché parenti stretti del fantomatico padre. Non vado oltre ma sono sicuro che il film, essenziale e duro ma mai “forzato” nelle situazioni, vi sedurrà con la sua naturalezza. Non è un film sulla maternità, ma soprattutto sulla genitorialità, un momento estremamente importante nella vita di due persone, in tutto il mondo, ma diverso per tutti.
Mio fratello rincorre i dinosauri (My Brother Chases Dinosaurs), 2019, regia di Stefano Cipani e con Alessandro Gassman, Isabella Ragonese, Rossy De Palma, Francesco Gheghi e Lorenzo Sisto. Basato sull’omonimo romanzo autobiografico di Giacomo Mazzario, il film, diciamolo subito, mantiene la freschezza e l’ironia originale.
Per il piccolo Jack (Gheghi) la famiglia è croce e delizia: delizia perché composta da due genitori spiritosi e democratici, croce perché le sorelle lo tiranneggiano. Jack fin da piccolo desiderava un fratello maschio con cui giocare e quando i suoi genitori gli hanno raccontato che Jo, suo fratellino, sarebbe stato un bambino “speciale”, dotato di poteri speciali, e nel suo immaginario diventa un supereroe. Con il passare del tempo Jack scopre però la sindrome di Down e Jo diventa un segreto da non svelare. Con questo sentimento nel cuore, trascorre il tempo delle scuole medie. Quando Jack conosce il primo amore, Arianna (Becheroni), la presenza di Gio, con i suoi bizzarri e imprevedibili comportamenti, diventa per lui un fardello tanto pesante da arrivare a negare ad Arianna e ai nuovi amici del liceo l’esistenza di Gio che però gli insegnerà qualcosa di molto forte e vero sulla vita.
C’era il rischio che il film cadesse nella retorica della disabilità, nelle frasi fatte, insomma di non poiter “scherzare” sul “SuperDown Gio”. Evitando di affermare che tutto è meraviglioso o che tutto è tragedia, il film scopre una realtà sociale su cui spesso non riflettiamo: Non siamo cioè preparati alla diversità, non sappiamo come affrontarla. In generale i genitori di bambini disabili si trovano spesso soli, per ignoranza ma anche per imbarazzo. La famiglia positiva del film deve essere di riflessione per tutti.
Il film si è aggiudicata il premio europeo Efa Young Audience Award, conferito da una giuria composta da oltre 7mila ragazzi e ragazze di 69 Paesi europei collegati on line causa l’emergenza Covid 19.
Brave ragazze (Good Girls), 2019, regia di Michela Andreozzi e con Ambra Angiolini, Ilenia Pastorelli, Serena Rossi, Silvia D’Amico e Luca Argentero.
L’ispirazione del film deriva dalla storia vera di una banda di rapinatrici francesi travestite da uomini, che operavano nella zona di Avignone nella metà degli Anni ’80.
Girata a Gaeta e ambientata nel periodo storico delle amazzoni francesi, è la storia di quattro donne in preda a un’esistenza in crisi, ognuna per un motivo diverso. Anna (Angiolini) è madre di due bambini, non ha un lavoro stabile né un soldo per comprare ai figli un costume decente per Carnevale. Chicca (Pastorelli) e Caterina (D’Amico) sono sorelle, ma sono completamente agli opposti. Sperano in un futuro migliore, lontano da dove vivono e soprattutto roseo, ma quando Chicca si fa licenziare provoca la perdita del lavoro anche della sorella. Infine, c’è Maria (Rossi), una donna molto religiosa, timida e innocua, ma che puntualmente deve sopportare gli scatti di ira di un marito violento. È a questo punto che balena nella loro mente un’idea malsana: rapinare la banca del paese, travestite da uomini per non farsi riconoscere.
Dopo aver messo a segno il primo colpo è difficile fermarsi: nel fondo del cuore restano brave ragazze, ma diventa sempre più difficile tracciare una linea di confine tra giustizia e vendetta, tra necessità e male.
È una commedia dal sorriso beffardo che però dimostra – dentro e fuori dal film – la stupidità dei clichés.
E i documentari? Credetemi, tutti belli ed accattivanti, non solo per il contenuto ma anche perché confermano l’idea che non importa quanto lungo in cinematografia contano le sceneggiature, le immagini e il modo in cui sai offrirle, oltre, naturalmente la recitazione. Comunque, ognuno dei cinque registi in programma merita davvero di fare quanto prima il salto nel lungometraggio
Cinecittà, i mestieri del cinema. Bernardo Bertolucci: No End Travelling, 2019, regia di Mario Sesti
Nilde Iotti. Il tempo delle donne, 2020, regia di Peter Marcias
Il mondo di Mad (A World of Fashion), 2012, regia di Anna Di Francisca
Mister Wonderland, 2019, regia di Valerio Ciriaci
Due scatole dimenticate – Un viaggio in Vietnam (Two Forgotten Boxes – A Trip to Vietnam), 2020, regia di Paolo Pisanelli e Cecilia Mongini