Con “Cosa sarà” di Francesco Bruni si chiude un’edizione condizionata dal Covid, che ha emozionato raccontando storie molto personali.
Sarà impossibile che la quindicesima edizione della Festa di Roma passi alla storia per i suoi numeri, come era stato in passato: pochi ospiti internazionali, alcuni dei quali presenti solo virtualmente, molte defezioni, purtroppo per gravi motivi, e sale costrette a ospitare solo gli spettatori consentiti dal contingentamento dovuto al Covid-19. Per domenica 25 è atteso il Palmares conclusivo (ne parleremo dopo l’annuncio dei premiati), ma intanto, lungi dall’essere un disastro, la manifestazione ci ha offerto l’occasione di guardare con occhi diversi il nostro stesso cinema e di vedere come registi e sceneggiatori ci hanno mostrato l’Italia di questi tempi.
Emblematico il caso di “Fuori era Primavera – Viaggio nell’Italia del Lockdown” di Gabriele Salvatores, purtroppo assente dal Festival proprio perché risultato positivo, ma tra Selezione Ufficiale ed Eventi Speciali sono stati diversi i titoli da tenere d’occhio in questo senso. Come il terzetto di film ‘romani’ – “Mi chiamo Francesco Totti” di Alex Infascelli, “Ostia Criminale” di Stefano Pistolini e la serie tv “Romulus” di Matteo Rovere che andrà su Sky – o i tre titoli più attesi nei cinema della Penisola, non a caso tutti ispirati a storie personali molto intense ed emozionanti.
Su tutti “Cosa sarà” di Francesco Bruni, già in sala, che doveva chiamarsi “Andrà tutto bene” e che il regista ha realizzato a partire dalla propria esperienza (di una mielodisplasia diagnosticatagli nel marzo 2017 e affrontata grazie a un trapianto di cellule staminali ricevute dal fratello). “Ci siamo resi conto presto che non potevamo più tenere quel titolo”, ricorda lo stesso regista invitando tutti all’attenzione e criticando il “superomismo di quanti ancora oggi girano senza mascherina, sicuri che il Covid non li possa toccare”.
A interpretare lo stesso Bruni sullo schermo è un ottimo Kim Rossi Stuart, che restituisce alla perfezione il tono previsto dalla sceneggiatura, continuamente in bilico tra “momenti inevitabilmente e puramente drammatici ed altri dove affiora, nonostante tutto, un certo umorismo”. Regalando al pubblico una prova notevole e un film riuscito alla perfezione, emozionante e commovente, quanto divertente e molto attuale. E dal quale in molti potrebbero trarre un esempio di forza, e una esortazione alla speranza e alla fiducia nel prossimo.
E la realtà esplode con forza anche nel “Maledetta primavera” di Elisa Amoruso visto nella sezione Riflessi. Un film molto intimo e sincero nel quale la regista – esordiente nella finzione, dopo alcuni documentari (compreso il Chiara Ferragni: Unposted del 2019) – ha voluto raccontare la sua stessa infanzia… La famiglia “incasinata” e la sensazione di essere invisibile, l’amicizia con la coetanea e vicina di casa Sirley, la scoperta del proprio lato istintivo e la perdita di innocenza che porta all’adolescenza e insieme una periferia vitale quanto confusa, anche troppo. Vista però sempre con uno sguardo nostalgico e positivo, come ricordo di anni decisivi per la formazione del carattere.
Tutt’altro tono, insomma, rispetto a quello del “Fortuna” di Nicolangelo Gelormini che nella Selezione Ufficiale della Festa ha portato la rilettura di una vicenda di cronaca drammatica e vergognosa. Quella accaduta a Caviano, in provincia di Napoli, teatro dell’omicidio delle piccole vittime di una storia di abusi sessuali, gettate nel vuoto dalla terrazza del palazzo in cui vivevano. Una vicenda raccontata con un tatto e una discrezione non scontati, senza edulcorare né strumentalizzare i fatti, giocando sui meccanismi psicologici dei protagonisti e dandone una rappresentazione quasi sognante, di certo originale.
Storie italiane, personali, capaci di toccare nel profondo molti di noi, che arrivano in un momento nel quale il cinema – non solo quello nazionale – cerca di ripartire, per rilanciarsi come merita e come ci si aspetta dopo chiusure e inevitabili stop. Ripartire da noi stessi, da quello che siamo, nel bene e nel male, per parlare a chi condivide le nostre stesse esperienze, ognuno con il linguaggio che crede e sente, per raggiungere spettatori diversissimi tra loro. Una sorta di ‘messaggi nella bottiglia’ che, come nella famosa canzone dei Police, arrivino a milioni a dimostrazione che non siamo soli nella nostra solitudine.
Una ‘marea’ nella quale c’erano anche “Le Eumenidi” di Gipo Fasano e “We Are The Thousand L’incredibile storia di Rockin 1000” di Anita Rivaroli (entrambi in Riflessi), le varie preaperture, gli omaggi a Federico Fellini e Alida Valli e i restauri di “Padre padrone” dei fratelli Taviani e “In nome della legge” di Pietro Germi, insieme ai documentari o i titoli in programma nella sezione “autonoma e parallela” di Alice nella Città. Tra i quali ci piace ricordare soprattutto quelli inclusi nell’Omaggio a Gianni Rodari per i 100 anni dalla sua nascita: “La freccia azzurra” di Enzo D’Alò e l’assolutamente da recuperare “La torta in cielo” di Lino Del Fra, del 1973.