Cosa accomuna Jennifer Lopez, il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e il movimento LGBTQ+? La risposta sta in un cortometraggio che ha già fatto parlare molto di sé e che potremmo ritrovare alla Oscar Night del 25 aprile: Draw with Me di Constantine Venetopoulos, presentato da Ithaka Films e Fondazione Onassis al pubblico sulla piattaforma ArenaScreen.

Al centro la storia di Brendon Scholl, adolescente trans non-binary nipote della celebre pop star, e del suo viaggio. Dal Coming Out fino alla scoperta di come l’arte possa offrire una valvola di sfogo e uno strumento unico per la definizione di sé e del percorso che si sceglie nel mondo. Un viaggio non semplice, sin dall’inizio, che ha dovuto superare le difficoltà degli stessi genitori di Brendon. “Ci sono voluti un paio d’anni per accettare la realtà”, ha ammesso la madre, Leslie Ann Lopez, sorella di Jennifer e anche lei nel video. Un altro importante tassello di un ritratto intimo proiettato alle Nazioni Unite, per le quali Brendon ha guidato il primo panel sulla salute transgender, e premiato dal Trevor Project, principale linea di prevenzione del suicidio tra i giovani LGBTQ+.
“Il motivo per cui ho deciso di raccontare la mia storia è perché sapevo che nella fase in cui stavo solo iniziando a scoprire chi ero, avrei voluto poter vedere una storia come la mia e rendermi conto che altre persone erano passate attraverso ciò che stavo vivendo”, ha dichiarato Brendon, che nel film ricorda anche i momenti più duri, come la terribile notte in cui tentò di togliersi la vita. Oggi, a 19 anni, Brendon è un attivista e artista visivo, studia arti teatrali e lo scorso 11 ottobre è stato onorato al National Coming Out Day, al quale ha partecipato anche il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, ricevendo il Revry Visibility Award, presentato dalla zia Jennifer Lopez.
“Le persone come mia zia, che potrebbero non aver avuto esperienza di persone trans e delle difficoltà che attraversano, stanno iniziando a farlo, e a fare domande cui probabilmente non avrebbero nemmeno pensato prima. Il primo passo verso qualsiasi progresso è porsi delle domande – ha dichiarato ancora Brendon. – Quindi, avere qualcuno con la sua visibilità che ne parla, penso sia un enorme passo”. A rispondergli, idealmente, nell’introduzione del corto, è la stessa Jennifer Lopez che definisce Draw with Me “un cortometraggio su un giovane transgender e il viaggio suo e della sua famiglia, sul loro impegno nell’affrontare quel periodo. Un film importante per tempestività e messaggio, che può avere un enorme impatto su quelli di noi che lo vedranno e che stanno vivendo ciò che hanno attraversato Brendon e i genitori. Si tratta di accettare il cambiamento e le sfide con amore, e sapere che quando lo facciamo tutto diventa possibile. E poi è una storia che mi sta molto a cuore, perché è un affare di famiglia”.

“Quello che credo mi abbia attirato della storia è stata la fiducia di Brendon nel sapere chi era già in così giovane età, e il suo essere pronto a usare la propria esperienza come uno strumento per altri giovani impegnati nel definire la loro identità e nel loro Coming Out – aggiunge ancora Venetopoulos. – Io stesso ho pensato che avrei voluto avere qualcuno come Brendon con cui parlare da bambino, in Grecia”. E per questo ha cercato di raccontarlo nella maniera più fedele possibile, cercando di allargare lo sguardo al contesto scolastico e familiare, ma sempre – inevitabilmente, anche esagerando – concentrandosi sul soggetto principale. I primi dubbi, la sensazione di spaesamento, il sentirsi una eccezione, in positivo e in negativo, aprono il film. E sono forse il momento migliore dello stesso. Che poi si sviluppa ricomponendo un’immagine a 360° grazie alle testimonianze di amici e parenti, su tutti l’altra zia, Lynda Lopez, giornalista di successo per WWOR-TV e vincitrice dell’Emmy Award 2001 nella categoria “Miglior notiziario mattutino”.
La difficoltà nel rispondere alle domande della gente, la fatica di esser costretti a ripetere sempre le stesse cose, la decisione di mandare mail ai conoscenti più prossimi per abituarli all’idea, i tentati di dissuasione da parte della nonna, disposta a pagare per riavere la sua ‘nipotina’ sono tutte tappe di un percorso faticoso… che ormai si spera appartenere al passato. Nell’epilogo, infatti, ritroviamo Brendon e Lynda a fare il punto della situazione. Su un mondo cambiato, anche per il Covid-19, finalmente più pronto ad accettare certe scelte personali. Ma molto ancora resta da fare. Servono scelte impopolari, spesso, ed esempi. Come quello che si proponeva di offrire Venetopoulos, d’altronde. Anche a costo di sbilanciare il suo lavoro verso l’agiografia, a discapito della forma cinematografica o dell’equilibrio del pur breve documentario. Del quale ci racconta volentieri la genesi…
“Sapevo che raccontare questa storia comportava molte responsabilità, ma mi sentivo pronto – spiega il regista, – e la famiglia mi ha fatto sentire davvero a mio agio nel farlo. Una famiglia unita, come una sola persona, nel sostenere Brendon e il film”.
Come è iniziato tutto?
“Lavorare con la famiglia Lopez mi è venuto in mente in modo abbastanza organico, avendo lavorato già con Leslie Ann nel mio primo lungometraggio Man in the Attic, e ha permesso di raccontare la storia del Coming Out di Brendon nel modo più onesto e autentico. Con lui è stata amicizia a prima vista, ma tutti i membri della famiglia hanno saputo aprirsi sui loro problemi più intimi e personali. L’introduzione di Jennifer è esemplare, è qualcosa che Jennifer ha condiviso con vero amore. Ma è stato davvero un affare di famiglia. Personalmente sono stato onorato di essere io a mettere insieme i pezzi del puzzle”.
È stato complicato coinvolgere una star come J.Lo?
“Lei e il suo team sono stati molto umili, hanno reso l’intero film e l’esperienza un piacere. La sua testimonianza è arrivata nel momento giusto in cui il movimento LGBTQIA+ aveva più bisogno di sostegno, visto che molti dei diritti umani della nostra comunità erano a rischio con la precedente amministrazione Trump e l’emergenza Covid ha lasciato soli tanti giovani: Soprattutto in quest’anno di isolamento forzato, visto che in molti nella comunità trans hanno bisogno di particolari cure e attenzione nel processo di transizione. Il messaggio di Jennifer è stato come un salvagente per molti giovani, perché non si sentissero soli”.

Che avrebbe apprezzato anche lei, da giovane…
“Uno dei miei primi ricordi d’infanzia è di me che osservavo i miei giocattoli e Action Figures, esaminandone l’anatomia, chiedendomi chi fossi. Ancora non avevo iniziato il mio lungo viaggio di auto-accettazione, dallo sposare una donna all’uscire allo scoperto e perseguire i miei sogni come regista. Alla prima occasione mi sono unito al Trevor Project come volontario della chat life-line e da allora ho fatto del mio meglio per supportare tanti giovani nei loro Coming Out e aiutare quanti confessassero tendenze suicide. Proprio al Trevor Project il film è stato proiettato una delle prime volte, prima di esser selezionato da GLAAD e diventare argomento di discussione nei panel del Tribeca Film Festival o venire utilizzato come strumento di educazione alla diversità dalle organizzazioni come Esteé Lauder e JP Morgan. Personalmente, un momento indimenticabile è stato quando Draw with Me è stato proiettato nella mia vecchia scuola, in Grecia, davanti a un pubblico di insegnanti, genitori e alla mia stessa famiglia. Mi è rimasto impresso quando mio fratello maggiore ha chiesto a uno dei consulenti un consiglio su cosa dovrebbe dire un genitore al proprio figlio gay o trans, e la risposta è stata: ‘Non si tratta di cosa dire loro, si tratta solo di ascoltarli'”.

Da dove viene l’intervento del Presidente Biden che vediamo nel film?
“È una parte del discorso tenuto all’evento Queerx, dove Brendon ha ricevuto il Revry Visibility Award, che ci è stato consentito di includere nel film”.
State lavorando anche a una distribuzione più ampia e internazionale?
“Attualmente sono disponibili la versione greca e quella spagnola, ma speriamo di raggiungere tutto il mondo aggiungendo altre lingue”.
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