La decima edizione del Bif&st ha giustamente dato spazio non solo ai film ma anche al documentario, con la proiezione, in anteprime mondiale, di due bellissimi lavori che, per il loro contenuto, meriterebbero una capillare distribuzione. Utopia? Forse. Il grande regista tedesco Edgar Reitz (famoso, tra l’altro, per l’acclamata serie Heimat) disse comunque a proposito del Bif&st “Questo festival è davvero un’utopia”.
“Vado Verso Dove Vengo” (fa parte del progetto di Matera Capitale Europea della cultura 2019) ha al centro della sua narrazione il complesso rapporto tra le storie di vita di coloro che emigrano e quelle di coloro che restano: due avventure complementari su cui riflettere più attentamente per trovare un nuovo destino delle aree interne italiane.
Diretto da Nicola Ragone (vincitore del nastro d’argento 2015 con il cortometraggio Sonderkommando), il documentario è stato scritto da Luigi Vitelli, dal regista dietro la consulenza dello scrittore antropologo Vito Teti.
L’Italia dei piccoli paesi si sta svuotando, l’emigrazione ha raggiunto i livelli della metà del secolo scorso, eppure, a fronte delle persone che vanno via, c’è gente che torna e sviluppa nuove soluzioni, progetti di ritorno nelle aree fragili del nostro Paese. Da New York ad Aliano, da Londra a Castelmezzano, “Vado Verso Dove Vengo” raccoglie storie di vita e voci di esperti che narrano il senso del partire e il senso del restare, gli abbandoni e i ritorni nei piccoli paesi dell’Italia dei margini, dove emigrazione e spopolamento sono grandi emergenze da risolvere. Il documentario è un crocevia di testimonianze di un universo esploso in mille schegge ma da ricongiungere per trovare un nuovo destino ai luoghi che rischiano di scomparire e ricucire un nuovo legame tra piccoli paesi e grandi città, tra centro e periferia, tra comunità locali e flussi globali.

Altro documentario molto significativo, e anche lui in anteprima mondiale, è stato “Notarangelo, ladro di anime”, di David Grieco (Evilenko – tratto dal suo romanzo ‘Il comunista che mangiava i bambini’, interpretato da Malcolm McDowell e distribuito in tutto il mondo – e La macchinazione). Prodotto e distribuito da Istituto Luce-Cinecittà, il documentario fa conoscere la vita, l’etica e le opere di un grandissimo fotografo italiano pressoché sconosciuto e scomparso il 4 dicembre 2016: Domenico Notarangelo. Era un talento – senza fare dell’enfasi gratuita – del calibro di Henri Cartier-Bresson e di Sebastião Salgado, ma a differenza di questi due giganti della fotografia del secolo scorso, Notarangelo non ha viaggiato per il mondo: tutto il suo lavoro si è concentrato dove era nato e dove viveva, in Puglia e in Basilicata. In veste di giornalista incontrò ed aiutò Pier Paolo Pasolini a realizzare a Matera il Vangelo secondo Matteo; come dirigente politico del Partito Comunista contribuì in maniera determinante a far eleggere ad Aliano, in Basilicata, la prima donna sindaco del Meridione, Maria Ippolita Santomassimo. E come amico filiale di Carlo Levi, fece tumulare nello stesso paese lucano il grande pittore e scrittore che proprio ad Aliano aveva trascorso da antifascista gli anni del confino, scrivendo anche l’indimenticabile Cristo si è fermato ad Eboli.
Pasolini deve molto all’aiuto di Notarangelo per il suo film: fu lui a fargli conoscere la città (bellissima la foto con il regista che appoggiato ad un muretto guarda dall’alto i Sassi di Matera), a trovargli le comparse che voleva (“voleva facce strane, fasciste”, dice in un audio il fotografo, che nel film interpreta un centurione). Non potendo partecipare fisicamente al documentario perché molto malato, Notarangelo spiega così in un audio la crocefissione di Gesù nel film. “Per Pasolini, che senza concedere niente dava tutto, i Sassi rappresentavano l’umanità ed è per questo che ha voluto che Cristo in croce morendo guardasse proprio i Sassi”.

Nel documentario il fotografo spiega anche il perché del declino dell’allora avveniristico Villaggio Olivetti a La Martella, frazione di Matera, progettato e realizzato con l’intento non solo di raccogliere gli abitanti dei Sassi, ma anche con idee tendenti al decentramento burocratico e decisionale, alla formazione professionale e all’insediamento industriale in zone pianeggianti. Il progetto fallì per la miopia della classe dirigente del posto che fu restia ad idee utopiche e visionarie, decidendo, tra l’altro – spiega Notarangelo – “il licenziamento delle assistenti sociali volute dall’impresario di Ivrea perché si erano permesse di far capire ai materani trasferitisi nella frazione che fare tanti figli in condizioni economiche di povertà non era di aiuto ad uno sviluppo del contesto socio-economico-familiare”.
I filmati di Notarangelo portano anche alla luce, con immagini strazianti, un tragico aspetto della Matera del dopoguerra, latifondista e silenziosamente inquinata dall’amianto: su 10 nati, 4 o 5 morivano poco dopo e allora molti neonati non venivano neanche registrati all’Anagrafe subito dopo il parto, anche se vivi, perché si preferiva aspettare un po’ di tempo.
Nell’arco della sua vita Notarangelo ha scattato circa 100.000 fotografie e girato centinaia di ore in Super8 e 16mm. Immagini straordinarie, che raccontano come eravamo, più e meglio per certi versi di qualunque libro di storia. “Domenico Notarangelo, come nessun altro prima di lui – afferma il regista – ci racconta come eravamo e perché siamo diventati come siamo diventati in un momento chiave della nostra storia come quello che stiamo vivendo in questo momento. Notarangelo potrebbe sembrare un megalomane, e in effetti lo era, ma dell’altruismo”.
Domenico Notarangelo nasce il 6 marzo 1930 da una famiglia contadina a Sammichele di Bari. Nel 1943 entra nel seminario di quella città e lì vive l’esperienza dei bombardamenti del 1945. Ritorna al paese nel 1946 dove la Curia lo allontana dal seminario a causa delle sue simpatie per il comunismo. Nella seconda metà degli anni ’50 si stabilisce a Matera, sua città di adozione. Nella Città dei Sassi scopre le affinità elettive che hanno dato senso ed ispirazione ai suoi molteplici impegni. Giornalista, per molti anni è corrispondente dalla Basilicata per il quotidiano L’Unità e successivamente caporedattore di emittenti televisive. Fino agli ultimi mesi di vita ha continuato a pubblicare saggi antropologici e libri di fotografia oltre a volumi di carattere storico.
L’Archivio Domenico Notarangelo è stato dichiarato nel 2011 Bene storico di interesse nazionale dal Ministero dei Beni Culturali.