Arriva sugli schermi la conclusione della personalissima trilogia del regista Mario Martone sulla storia italiana fino alla Prima Guerra Mondiale: dopo “Noi credevamo” e “Il giovane favoloso“, dedicati rispettivamente alle disillusioni del Risorgimento e a Giacomo Leopardi, ecco “Capri Revolution“, presentato alla recente 75.ma Mostra del Cinema di Venezia.
Da regista “didattico” ma mai spocchiosamente colto o moraleggiante, Martone pone al centro del suo lavoro la libertà, attraverso un approccio filosofico complesso ma sempre comprensibile.
La storia è semplice. Siamo nel 1914, l’Italia sta per entrare in guerra e l’isola di Capri è in pieno fermento e rinnovamento (arriva per la prima volta l’elettricità). Una comune di giovani nordeuropei ha trovato sull’isola il luogo ideale per la propria ricerca nella vita e nell’arte – esplicito riferimento alla comune che il pittore Karl Diefenbach costituì proprio a Capri agli inizi del Novecento, avendo come omologa quella del Monte Verità, a Locarno e oggi ancora in essere -: vivere immersi nella natura, nudi, e cibarsi in modo vegetariano (libera licenza del regista quella di spostare un po’ più avanti l’esistenza della comune: Diefenbach morì infatti nel 1913).
L’isola vive il cambiamento culturale in atto, tra vecchio e nuovo, ed ha comunque già una sua propria e forte identità, incarnata in una giovane, una capraia, di nome Lucia (la brava Marianna Fontana, già ammirata in “Indivisibili“), presa tra i due fuochi: da un lato il desiderio di conoscere nuovi orizzonti, dall’altro la propria realtà familiare patriarcale e chiusa al cambiamento. Quando incontra casualmente Seybu (Reinout Scholten van Aschat), il leader della comune, Lucia comincia a mettere in dubbio tutte le proprie convinzioni e, spinta dapprima dalla curiosità, poi da una crescente sete di libertà e ricerca di se stessa, decide di unirsi al gruppo, finendo così per scontrarsi con la sua stessa famiglia, senza però mai trasformare il tutto in odio (come troppo spesso è invece accaduto e accade nella Storia), bensì in amore per la vita, in slancio decisionale, cioé proprio l’inizio di ogni vera rivoluzione.
Storicamente, all’inizio del Novecento Capri ha magicamente attratto, come un magnete, chiunque sentisse la spinta dell’utopia e coltivasse ideali di libertà, tra questi, per esempio, anche i russi che, esuli nell’isola, si preparavano alla rivoluzione.
Una sceneggiatura profonda nei contenuti, ma anche semplice nel linguaggio (pur se suscita qualche perplessità la troppa velocità con cui la giovane capraia impara a leggere e l’inglese!): Seybu e il giovane dottore dell’isola (Antonio Folletto) rappresentano il conflitto, universale, tra pragmatismo e arte. Nessuno dei due prevale sull’altro, ma entrambi escono arricchiti dal confronto, lasciando così un messaggio: continuare sempre a farsi delle domande, non dare mai nulla per certo e scontato, anche di sé, saper mettere in discussione anche le proprie certezze perché questo è il senso della vita.
La fotografia di Michele D’Attanasio esalta Capri in tutta la sua bellezza selvaggia e i corpi nudi durante le danza , seppur esposti integralmente, non risultano mai volgari o frutto di voyeurismo. Finalmente! Ancora una volta i protagonisti di Martone sono giovani, come a voler raccontare – indirettamente – un’Italia giovanile d’oggi che sente la spinta ad interrogarsi, a cambiare il rapporto tra individualità e collettività.
Film riuscito? Capri-Revolution è un lavoro diseguale e allo stesso tempo affascinante e misterioso, che ha il merito di essere umanista e utopico allo stesso tempo: Lucia – nome che ricorda Manzoni – è la nuova rivoluzionaria (da qui il titolo) perché ama ciò in cui si imbatte, il “nuovo” rappresentato dalla comunità di intellettuali dediti all’arte, alla ricerca filosofica e al rifiuto di regole imposte, e lotta contro il “vecchio”, incarnato dai rapporti familiari.
Un’ultima riflessione. Ogni rivoluzione porta con sé una propria valenza politica: si può allora anche pensare che “Capri-Revolution” è, per certi versi, magari inaspettatamente, anche un film politico: sulla tolleranza, l’integrazione, il progresso, e che ripropone l’eterna dialettica tra tradizione e rinnovamento.