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November 28, 2018
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Così ho diretto Lila e Lenù: parla Saverio Costanzo, regista di “My Brilliant Friend”

Intervista con il regista della serie tv "L'Amica Geniale", tratta dal bestseller di Elena Ferrante e trasmessa da HBO e Rai1 con grande successo di pubblico

Paola MedoribyPaola Medori
Così ho diretto Lila e Lenù: parla Saverio Costanzo, regista di “My Brilliant Friend”

Da sinistra da sinistra Elisa del Genio (Elena bambina), Saverio Costanzo e Ludovica Nasti (Lila bambina)

Time: 4 mins read

«E’ stato un grande privilegio raccontare un universo tutto al femminile e così profondo, come quello che anima le pagine scritte da Ferrante», parole di Saverio Costanzo, classe 1975. Il regista porta sul piccolo schermo “L’Amica Geniale”, miniserie tratta dal best-seller di Elena Ferrante, che ha già conquistato il pubblico americano. Venduta in cinquantasei paesi, co-prodotta dalla rete HBO, in Italia va in onda dal 27 novembre su Rai Uno e Timvision. Otto episodi sulla storia dell’amicizia tra Elena e Lila, dall’infanzia a Napoli negli anni ‘50. Timido, Costanzo, scelto personalmente da Ferrante, ci racconta dal rapporto con la misteriosa scrittrice, che nessuno ha mai visto in volto e fatto di lunghe e ottocentesche mail, all’evoluzione epica di un paese intero. E il suo sguardo intimo su due donne geniali, forti, assetate di cultura ed emancipazione, conquista ed emoziona.

Da sinistra Margherita Mazzucco (Elena adolescente) e Gaia Girace (Lila adolescente)

Quando le hanno proposto di girare l’Amica Geniale ha subito accettato?

“Quando “L’Amica Geniale” è entrata nella mia vita, stavo leggendo il secondo romanzo. Seguivo Ferrante da lettore, dai suoi primissimi libri. Ho provato nel 2007 a prendere i diritti de La figlia oscura, ma poi nulla, anche se in quell’occasione la Ferrante fu molto gentile. So che la girerà Maggie Gyllenhaal e poi mi hanno proposto il privilegio di lavorare su un universo cosi ben costruito. Ho messo da parte la paura e ho accettato”.

Come è stato il rapporto con Elena Ferrante?

“Ci siamo scritti e mi ha aiutato nella fase di scrittura in un modo mai difensivo ma aperto al cambiamento. E’ stato un “carteggio” ottocentesco molto concreto. Da donna intelligente quale è, non era possessiva rispetto alla sua storia. Sospetto anche che volesse una trasposizione più infedele”.

Dall’alto Elisa del Genio (Elena bambina) e Ludovica Nasti (Lila bambina)

In questo vostro scambio, in che modo Elena Ferrante l’ha sorpresa?

“Ho cercato di disturbarla il meno possibile. Tutte le volte che ho avuto la necessità di coinvolgerla è stata molto sorprendente anche nella velocità di risposta. Non è automatico che una scrittrice sappia scrivere anche per il cinema. Invece lei ha un senso della scena e del cinema molto profondo”.

Che cosa ha provato mentre leggeva la storia di questa intensa amicizia?

“Ero un ragazzino sulle montagne russe. C’era un rapporto molto fisico con la narrazione. Ho cercato di ricreare questo tipo di legame tra lo spettatore e la narrazione. Il nostro approccio è stato quello di mantenere la stessa densità letteraria, piuttosto che trovare Elena o Lilla che tutti s’immaginavano”.

Lo sguardo maschile poteva essere un limite nel racconto?

“Tendiamo sempre a dare categorie. Il mio sguardo è maschile ma dentro di noi ci sono entrambe le parti. In questo caso evidentemente la mia parte femminile mi è venuta in aiuto tutte le volte che quella maschile, limitata per definizione, si fermava. E poi sono stato aiutato dai personaggi che avevo conosciuto nel libro”.

Quali sono i personaggi femminili che ti hanno influenzato?

“Amo molto leggere Virginia Woolf, Dostoevskij, Edna O’Brien, Carver, Joyce Carol Oates. Non riesco a categorizzare l’opera d’arte per orientamento sessuale. E in più il mio imprinting è stato molto femminile per l’ambiente in cui sono cresciuto, di conseguenza mi sento profondamente femminista”.

Elena Ferrante le ha detto se si riconosce nella sua visione?

“Bisognerebbe chiederlo a lei. Mi auguro che sia rimasta soddisfatta perché il nostro modo di approcciare la storia è stato molto onesto e coraggioso”.

 

 

Allora è una donna?

“Parlo di lei al femminile, ma non lo so neanche io. Se mi dici che è nella stanza accanto e ti aspetta, non andrei. Non ho nessuna curiosità. Mi interessa quello che ha scritto. Non ho mai voluto incontrare i miei idoli”.

Sta già lavorando sul secondo capitolo?

“Vivo “L’amica Geniale” come un film. Voglio continuare a raccontare questa storia che mi comunica moltissimo. In realtà per me è un unico film. Sto scrivendo la sceneggiatura con lo stesso gruppo di lavoro e scambiando mail con Elena Ferrante”.

Rispetto ai tantissimi lettori portare la quadrilogia sul piccolo schermo è un’operazione ambiziosa, straordinaria e internazionale pensata per un pubblico planetario. Ha sentito la responsabilità del Ferrante Fever?

“Elena Ferrante è il libro che ha scritto. E i lettori sono poco interessati all’identità dell’autrice ed ero consapevole che il romanzo era stato già capito, compreso e amato. Ma l’operazione effettivamente era più difficile, e volendo fare un lavoro dentro la storia non ci siamo mai domandati a chi fosse rivolto. Chiaramente è più difficile quando realizzi un film da un’opera letteraria e il lettore deve combattere con l’idea che ci siamo fatti noi e quanto riesci a trasmettere ai personaggi”.

Le sono già arrivate richieste dall’estero per progetti internazionali?

“Non ho nessuna ambizione di fare film per gli Studios o di andare a Hollywood. Ho vissuto in America e ho una certa familiarità, priva di pregiudizi. In questo momento c’è “L’Amica geniale”. La mia ambizione è girare gli altri capitoli perché sento che su questa storia si può lavorare anche sul cinema”.

Un film per le tv che diventa anche un racconto cinematografico?

“Ogni decade de “L’Amica Geniale” racconta anche un periodo del cinema. Dentro questo progetto c’è la possibilità di lavorare sulla forma cinematografica e sperimentare tanto. Il primo libro è una fiaba neorealista. Poi negli anni ‘60 le nostre ragazze cominceranno a correre: cambierà la forma del nostro sguardo cinematografico su di loro, come del resto negli anni ‘70 quando arriverà il grande cinema americano a fare da guida al racconto, pensiamo alla New Hollywood da Scorsese a Coppola, da Bogdanovich a De Palma. Matura la storia ma anche la forma che la racconta”.

 

 

 

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